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EUROPA E FILOSOFIA. DALL’UNGHERIA UN APPELLO PER RIPRENDERE E RILANCIARE IL FILO DELLO SPIRITO CRITICO E DELL’ILLUMINISMO KANTIANO

LA FILOSOFIA E IL CASO UNGHERIA. Ágnes Heller racconta la campagna di diffamazione che il governo di Budapest ha organizzato contro di lei e altri suoi colleghi. La sua denuncia - a c. di Federico La Sala

(...) che la libertŕ di espressione, la libertŕ di opinione, la libertŕ di pensiero siano concetti che non conoscono confini. E che anche la filosofia, alla fine, non sia diventata un vecchio leone sdentato (...).
martedì 22 marzo 2011 di Federico La Sala
[...] Il nuovo Governo ungherese, appena entrato in carica, ha lanciato una campagna di diffamazione contro i filosofi ungheresi, e attraverso di loro contro tutta la filosofa critica, sottoposta ad attacchi in serie lanciati simultaneamente da tre quotidiani e tre reti televisive. La campagna č durata quasi due mesi, insistendo sempre sulle stesse accuse, asserzioni stucchevoli e reiterate da tempo smentite. L’accusa, ripetuta fino alla nausea, era che «la banda Heller», con mezzi (...)

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> LA FILOSOFIA E IL CASO UNGHERIA. Ágnes Heller, 1929-2019. Filosofa eretica contro i totalitarismi. Allieva di Lukács, marxista dissidente, esule politica, critica di Orbán (di Antonio Carioti).

sabato 20 luglio 2019

1929-2019

Morta Ágnes Heller

Filosofa eretica contro i totalitarismi

Ebrea ungherese, nota per la teoria dei bisogni, era scampata alla Shoah

Allieva di Lukács, marxista dissidente, esule politica, critica di Orbán

di Antonio Carioti *

Nel corso degli anni Settanta la filosofa ungherese Ágnes Heller, scomparsa all’etŕ di 90 anni, era stata un’autrice molto apprezzata dagli intellettuali di estrema sinistra, in Italia e anche altrove, perché la sua teoria del bisogni offriva una lettura del marxismo in sintonia con le esigenze espresse dalla contestazione del Sessantotto. Poi perň l’evoluzione del suo pensiero in senso liberale, accompagnata da taglienti critiche all’ideologia pacifista, aveva raffreddato quelle simpatie fino a spegnerle. E dopo l’11 settembre era stata persino accomunata ai neoconservatori per via della sua ferma denuncia del fanatismo islamico. In realtŕ il percorso di Ágnes Heller puň essere considerato abbastanza lineare, analogo a quello di altri esponenti del dissenso di sinistra nei Paesi dell’Est. Semplicemente l’esperienza diretta del comunismo, sia pure nella variante morbida vigente a Budapest dopo la rivoluzione del 1956 soffocata nel sangue, l’aveva convinta che il modello occidentale «in quanto depositario della democrazia», fosse «in sé un valore», meritevole di essere difeso.

Nata nel 1929 in una famiglia ebraica del ceto medio, nel 1944 aveva perso il padre, deportato ad Auschwitz dai nazisti, ed era rimasta profondamente segnata dal trauma della persecuzione genocida. Nel dopoguerra si era indirizzata verso studi scientifici, ma poi era rimasta affascinata da una lezione del brillante pensatore marxista György Lukács e ne era divenuta allieva, dedicandosi anima e corpo alla filosofia. Si era iscritta nel 1947 al partito comunista, che si era accaparrato il monopolio del potere a Budapest con l’appoggio dei sovietici, per essere poi espulsa nel 1949 al culmine della repressione stalinista. Anche in seguito le vicende personali di Ágnes Heller avevano seguito il corso oscillante della politica magiara. Dopo la morte di Stalin, nel 1953, era riuscita a intraprendere la carriera accademica con l’appoggio di Lukács. Ma aveva poi suběto il contraccolpo della rivoluzione, che nel 1956 aveva visto il suo maestro partecipare al governo del comunista riformista Imre Nagy, abbattuto dai carri armati sovietici. Cacciata dall’universitŕ nel 1958, era stata tuttavia riabilitata e ammessa all’Accademia delle Scienze di Budapest nel 1963, in virtů dell’approccio conciliante assunto dal nuovo leader János Kádár, insediato al potere dall’Armata rossa, ma propenso a stemperare i conflitti.

Fu in questa fase che la filosofa si affermň come capofila della cosiddetta «scuola di Budapest» e prese a elaborare una visione del marxismo decisamente eretica rispetto all’ortodossia sovietica. Il momento della veritŕ giunse nel 1968. Insieme ad altri studiosi del suo gruppo Ágnes Heller sottoscrisse un documento contro l’invasione della Cecoslovacchia, con cui il Cremlino aveva posto fine alla Primavera di Praga, ed entrň di nuovo nel mirino del regime magiaro. Al tempo stesso vide nei moti giovanili in corso all’Ovest la prefigurazione di un’ipotesi rivoluzionaria non piů condannata alla stagnazione burocratica e autoritaria del «socialismo reale», ma fondata sulla trasformazione dei rapporti umani nella vita quotidiana, attraverso la valorizzazione dei bisogni qualitativi che il capitalismo alimenta, ma non puň soddisfare. Ne erano derivate due conseguenze importanti. In Ungheria Ágnes Heller e altri studiosi della «scuola di Budapest» - tra cui suo marito Ferenc Fehér (morto nel 1994), Mária Márkus, Mihály Vajda, András Hegedüs, György Márkus, János Kis - furono allontanati dall’Accademia delle Scienze nel 1973 sulla base di un documento che li accusava di professare un revisionismo filoborghese e al tempo stesso un sinistrismo anarcoide, incline a negare il primato della classe operaia per abbracciare la controcultura degli hippies. Intanto in Occidente testi di Ágnes Heller come Sociologia della vita quotidiana (Editori Riuniti, 1970), La teoria dei bisogni in Marx (Feltrinelli, 1974) e i saggi inclusi nel volumetto La teoria, la prassi e i bisogni (Savelli, 1978) raccoglievano vasti consensi per il loro radicalismo utopistico, che prospettava ad esempio il superamento della famiglia nucleare monogamica in favore delle comuni e l’autogestione delle imprese come rimedio al lavoro alienato.

L’emigrazione in Australia assieme al marito, nel 1977, aveva segnato un’altra svolta. Ágnes Heller cominciň a mettere in discussione il marxismo e abbandonň il progetto di una grande opera antropologica, in diversi volumi, volta a dimostrare la compatibilitŕ del socialismo con la natura umana: la sua ricerca s’indirizzň piuttosto verso la dimensione morale, con volumi come Oltre la giustizia (il Mulino, 1990), Etica generale (il Mulino, 1994), Filosofia morale (il Mulino, 1997). Nel frattempo, assieme a Fehér, aveva pubblicato importanti libri di argomento politico: in Ungheria 1956 (SugarCo, 1983) i due studiosi rivendicarono l’ereditŕ ideale dell’insurrezione di Budapest come tentativo di realizzare un socialismo diverso da quello sovietico, criticando a fondo il regime di Kádár e i suoi estimatori occidentali; con La dittatura su bisogni (SugarCo, 1984), scritto insieme a György Márkus, evidenziarono il carattere profondamente oppressivo del collettivismo burocratico vigente all’Est; nel pamphlet Apocalisse atomica (SugarCo, 1984) accusarono i pacifisti e i neutralisti occidentali, compreso Günter Grass, di essere pronti ad accettare la «vichyzzazione» dell’Europa, con la fine dell’alleanza con gli Stati Uniti e la sottomissione di fatto all’influenza del Cremlino. Di pari passo con lo spostamento dei suoi interessi filosofici si era dunque realizzato il passaggio di Ágnes Heller sul versante liberaldemocratico.

Dopo la caduta del comunismo era tornata in Ungheria e negli ultimi anni si era opposta alla deriva «bonapartista» del primo ministro di destra Viktor Orbán. Non aveva del resto rinnegato la teoria dei bisogni e continuava a difendere i movimenti degli anni Sessanta, la cui ereditŕ le appariva nel complesso positiva. Ma aveva anche indicato nella minaccia jihadista un nuovo nazismo da combattere senza quartiere. E non si faceva illusioni sulla diffusione della democrazia, temeva anzi per la sua tenuta in Europa. Assai significativo quanto aveva detto a Danilo Taino, in un’intervista per «la Lettura» apparsa nel maggio 2016: «Cambiano i modi in cui il potere si manifesta, ma la sostanza tende a restare uguale».

* Corriere della Sera, 20 luglio 2019


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