De Mauro: “L’Italia è in ritardo
e nessuno se ne preoccupa”
Qualche domanda al noto linguista su cultura e scuola nell’era digitale
di Anna Masera (La Stampa, 03/12/2012)
Il professor Tullio De Mauro ( www.tulliodemauro.it), linguista di nomea mondiale con un’intensa seppur breve esperienza di ministro dell’Istruzione (durata 13 mesi), ha molto da dire sulla cultura e la scuola nell’era digitale. Lo contattiamo via email all’Università di Roma chiedendogli il numero di telefono per intervistarlo e risponde subito. Chiede domande scritte e quando per problemi di connessione, che attribuisce a un server evidentemente poco affidabile, non riesce ad inviare ed è costretto a rispondere a voce, chiede di poter dettare parola per parola (“Un tempo avevate i dimafonisti”), svelando una certa sfiducia verso il mestiere del giornalista. Dall’alto dei suoi 80 anni e del suo pedigree, ha la nostra totale disponibilità ad accontentarlo. Ricostruisce a braccio le risposte che sono andate perse. E senza dimafonisti, ci sembra di tornare sui banchi delle elementari nell’ora del dettato.
Professor De Mauro, gli italiani sono in grado di partecipare alla rivoluzione digitale?
“Purtroppo poco e male. L’uso della Rete presuppone le capacità almeno elementari di lettura, scrittura e calcolo. Due indagini del 2000 e del 2006 dicono che siamo messi molto male nel confronto internazionale. Io cerco di divulgare questi dati, con poco successo. Classi dirigenti pensose delle sorti del nostro Paese dovrebbero sobbalzare a sentire gli esperti internazionali concludere che “la popolazione italiana in età di lavoro (16-65 anni) soltanto per il 20% ha le capacità minime indispensabili per orientarsi nella vita di una società moderna”. Il deficit delle capacità di leggere, scrivere e far di conto spiega perché l’accesso alla Rete, anche per chi possiede un pc in casa, arriva a percentuali modeste nel confronto internazionale. Abbiamo difficoltà a usare la Rete perché abbiamo difficoltà a leggere, scrivere e far di conto”.
Che cosa manca per dare a tutti pari opportunità di accesso alla Rete?
“Manca un deciso rialzo delle capacità elementari, innanzitutto. Inoltre manca per molti, e soprattutto manca nelle scuole, l’accesso alla banda larga, per cui l’uso di Internet è lento e macchinoso”.
Che cosa dovrebbe fare la politica?
“La politica dovrebbe fare quello che fa negli altri paesi bene ordinati nel mondo. Nell’età adulta è fisiologico che si perdano competenze acquistate da giovani a scuola. Altri paesi fronteggiano questo problema, ormai noto e ben individuato, sviluppando corsi di apprendimento per tutta la vita. Ciò che in inglese viene detto il life long learning. Noi abbiamo alcuni progetti di legge, uno anche di iniziative popolari, giacenti in Parlamento, con nessuna concreta iniziativa per creare un sistema nazionale, per un’educazione ricorrente. Da molti anni l’Ocse rimprovera all’Italia questo punto debole del suo sistema di istruzione, di mancanza di educazione per gli adulti. Classi dirigenti responsabili dovrebbero metterlo in primo piano”.
Ci sono modelli a cui ispirarsi (per proteggere e far crescere la scuola, l’università, la ricerca, l’arte, la cultura in Italia)?
“Ho già ricordato l’Ocse che ogni anno pubblica un rapporto sullo stato dell’Istruzione nel mondo che offre modelli svariati a cui potremmo ispirarci. Un tratto comune alle politiche scolastiche in tutto il mondo è che sono gestite in prima persona da capi di Stato o di governo. Obama o Cameron, Sarkozy o Chavez o Merkel. E questo è giusto, sia per l’entità dell’investimento necessario dappertutto a far funzionare scuola e formazione, sia per il ruolo centrale che per lo sviluppo del Paese viene assegnato altrove a scuola e formazione”.
Se bisogna fare i conti con un’autorità pubblica deficitaria, che cosa possiamo fare noi cittadini (come società civile) per istruire noi stessi e i nostri figli?
“Il fai-da-te è una antica arte nazionale, spero non estinta. Ci sono varie cose possibili, non troppo onerose. Uno: avere in casa un po’ di libri. Due: leggerli abitualmente. Tre: Leggerli ai bambini quando ancora non vanno a scuola, abituarli alla lettura per quello che dà alle nostre emozioni e alle nostre intelligenze. Quattro: cercare di persuadere le autorità comunali, biblioteche e centri di lettura, creando una rete paragonabile a quelle che troviamo in Trentino Alto Adige e Val d’Aosta. Queste cose non particolarmente onerose come sappiamo da indagini svolte nel mondo sono decisive per il buon successo scolastico dei ragazzi, per la loro formazione e quindi per l’accesso intelligente alla Rete. In attesa che il governo capisca che deve dotare la scuola non di tablet, ma dell’accesso alla banda larga per sfruttare le opportunità che la Rete offre”.
Internet ha portato l’uso di un linguaggio tecnologico pieno di inglesismi: é accettabile o dobbiamo inventarci termini equivalenti in italiano (come fanno un po’ in Francia per preservare la lingua)?
“E’ vero che le centrali tecnologiche soprattutto Usa diffondono nel mondo con i loro prodotti anche parole inglesi. E’ meritorio lo sforzo di utilizzare parole del patrimonio nazionale invece che inglesi, possibilmente senza cadere nelle pacchianerie che abbiamo conosciuto durante il fascismo, quando era vietato dire cognac ma bisognava dire “arzente” e il bar “qui si beve”. Naturalmente a qualcuno riesce difficile un’operazione del genere se pensiamo che sia la Rai sia Confindustria continuano a chiamare “Education” i loro settori educativi pensando alla parola educazione”.
Lei e’ ottimista o pessimista sul nostro futuro?
“Sarei molto ottimista se sapessimo selezionare dei gruppi dirigenti capaci di elaborare programmi a medio e lungo termine per la vita del nostro Paese. In Italia non vedo candidati politici che abbiano messo la scuola in testa alla loro agenda politica, a parte qualche vago accenno nel programma di Vendola, per il resto è silenzio totale”.