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LA SCUOLA, IL WEB, E LA LEZIONE DI KANT. "SAPERE AUDE!": IL CORAGGIO DI SERVIRSI DELLA PROPRIA INTELLIGENZA E L’USCITA DALLO STATO DI MINORITÀ

IL MONDO COME SCUOLA, LA FACOLTÀ DI GIUDIZIO, LA CREATIVITÀ, I NATIVI DIGITALI, E L’ATTIVISMO CIECO NELLA CAVERNA DI IERI E DI OGGI. Materiali per riflettere: testi di Gianni Rodari, Immanuel Kant, Emilio Garroni, Roberto Casati, e Armando Massarenti - a c. di Federico La Sala

CREATIVITA’: KANT E LA CRITICA DELLA SOCIETÀ DELL’UOMO A "UNA" DIMENSIONE. Da Emilio Garroni, una sollecitazione a svegliarsi dal sonno dogmatico
mercoledì 6 aprile 2011
[...] un medico, un giudice, o un
uomo politico, può avere in capo molte belle regole patologiche,
giuridiche o politiche, al punto da poter diventare
egli stesso un profondo insegnante in proposito, e tuttavia cade facilmente in errore nell’applicazione di esse, o perché
manca di capacità naturale di giudizio (sebbene non
manchi d’intelletto), ed egli può sì intendere l’universale
in abstracto, ma non sa distinguere se un caso in concreto
sia subordinato ad esso, o anche per il fatto che (...)

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> IL MONDO COME SCUOLA, LA FACOLTA’ DI GIUDIZIO, LA CREATIVITA’ --- GAVIRATE. Angela Lischetti: La maestra che insegna il rispetto del futuro (di Nando Dalla Chiesa)

domenica 4 marzo 2012

La maestra che insegna il rispetto del futuro

di Nando Dalla Chiesa (il Fatto Quotidiano, 4 marzo 2012)

Hai voglia a dire che basta con le scuole, che di insegnanti ne hai già raccontati a sufficienza. Ne lasci uno, ne lasci due, poi decidi che non è giusto. Che in fondo la gente deve sapere. Che a Gavirate, provincia di Varese, sulle sponde del lago, funziona una delle più straordinarie esperienze di formazione civile in corso nelle scuole medie del Paese. Otto istituti di otto comuni diversi. In rigoroso ordine alfabetico: Besozzo, Brebbia, Cocquio, Comerio, Casciago, Cittiglio e Gemonio, già, il paese del Senatùr: tutti messi in rete con Gavirate, scuola media intitolata a Giosuè Carducci, che - così si narra - da queste parti si concesse qualche indebita licenza d’amore.

Crocevia di questo impegno è una professoressa con i capelli a caschetto, alle spalle una famiglia operaia con il culto del lavoro. Si chiama Angela Lischetti. Tre lauree, “ma non ci faccia caso, sono tutte uguali”: lettere, storia e filosofia. “Insegno lettere in una seconda; e in più cittadinanza e Costituzione in tre seconde, un’ora a settimana. Che facciamo? Il primo anno abbiamo lavorato sui diritti, il secondo sui doveri, compresi quelli dello Stato, e il terzo sulla libertà religiosa. Abbiamo riunito sul palco esponenti delle religioni cattolica, ebraica e islamica, e già il solo vederli abbracciarsi è stata una lezione. Poi l’anno scorso abbiamo invitato Maria Falcone e lei ci ha suggerito: perché non vi occupate della mafia? E così quest’anno l’abbiamo fatto. Incontri con magistrati, preti di trincea, familiari. Insomma con testimoni. Sa, io credo che avesse ragione Montini: questi sono tempi in cui non servono maestri ma testimoni. Il nostro è un impegno collettivo: dal preside Carretta, che è uno che ci crede, alla più giovane, Claudia, la mia collega napoletana, che prepara benissimo gli alunni nelle attività teatrali”.

Un lavoro serio, scrupoloso. L’altro giorno chi ha partecipato all’ultimo incontro in auditorium, nel silenzio religioso di più di 400 ragazzini giunti dagli 8 comuni, si è trovato davanti a uno spettacolo meraviglioso. Striscioni preparati dagli alunni con su i nomi delle vittime dei clan, uno striscione per ogni categoria (magistrati, politici, giornalisti, forze dell’ordine, ragazzini innocenti...).

E soprattutto un filmato su Paolo Borsellino realizzato da due ragazzini in modo semplicemente fantastico: a colpi di youtube è venuto fuori il magistrato che racconta di sé dopo la strage di Capaci, le sue frasi che si fanno anima e storia. Emozioni, memoria. Certo, la celebre abilità tecnica dei ragazzi; ma soprattutto una sensibilità civile sconosciuta a tanti adulti. Frutto di un clima scolastico con pochi eguali. Anche se, o forse proprio perché, Angela Lischetti non è “solo” una benemerita prof di educazione alla legalità. Basta parlarci per capire che c’è altro. Gratti pochissimo e sotto la legalità e l’antimafia scopri l’educatrice che ha fatto del futuro dei ragazzi la sua religione.

Trovi la donna che li difende con il piglio combattivo richiesto da una società fatta di soldi, consumi e affetti traballanti. Spiega infervorandosi le conseguenze delle tante situazioni familiari difficili. Di ragazzini in balia di capricci o insensibilità adulte. Delle coppie che si sfaldano e dei ragazzi che arrivano a scuola smarriti, costretti in ruoli impropri. Racconta delle telefonate perentorie a qualche genitore.

Nell’epoca in cui tanti padri e madri amano piombare a scuola per fare sfuriate agli insegnanti, ecco questa professoressa mingherlina e armata di buon senso operaio che mette in scena un copione opposto: e che appena capisce le difficoltà o i tormenti di un allievo o di un’allieva chiama l’adulto e chiede conto. “Il principio di autorità. È questo che manca. Inteso come rispetto di doveri e ruoli. E occorre ricostruirlo. Come occorre dare il senso della partecipazione, del futuro. Vede, in questi incontri io voglio che ogni ragazzo capisca di non essere escluso dalla storia. Tu non sei lontano da dove pulsa la nazione, ma ci sei dentro. E il destino del paese lo decidi anche tu. Ma devono abituarsi alla fatica.

Anche per questo chiedo spesso di imparare a memoria. La memoria educa, dà riferimenti. Imparare a memoria gli articoli della Costituzione, per esempio, l’articolo 3 sulla eguaglianza dei cittadini. L’altro giorno una mia allieva ne ha sentito parlare intelevisione e lo ha detto subito ai genitori: questo è l’articolo 3. Non è bello? Imparare a memoria anche le poesie. Qui poi abbiamo avuto il massimo poeta dell’infanzia, Gianni Rodari. Era di Omegna, ma venne ad abitare qui. Era povero, e i suoi non potevano permettersi di sprecare l’energia elettrica.

Così la sera, da bambino, si metteva il cappotto e andava a leggere sotto a un lampione. Questa è la sua storia. La vede quella casa com’è degradata? Era la sua. Ma non ne fanno un museo, né una biblioteca. Non lo si vuole onorare perché era comunista.” Mentre dice così, la prof riceve al cellulare la notizia che la seconda figlia si è laureata a Padova in scienze e tecnologie dei beni culturali. È felice, 110 e lode. E lei non c’è andata? “Mica potevo lasciare questo incontro; l’ho organizzato io, dovevo seguirlo fino in fondo, no?”. Rinunciare ad assistere ai trionfi accademici della figlia per garantire che la grande mattina a scuola, con l’intitolazione della biblioteca a Danilo Dolci, vada nel modo migliore. È questa la regola a Gavirate, patria di Gianni Rodari, il poeta comunista che non mangiava i bambini ma li faceva sognare.


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