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POLITICA E RETORICA ITALIANA, NELL’EPOCA DEL BERLUSCONISMO GALOPPANTE (1994-2011). Quando non c’è serietà le bugie dilagano, le immagini s’adeguano ...

FARE PAURA. TOGLIERE A LAMPEDUSA E ALL’ITALIA LE LORO VIRTU’: DIGNITA’, CALMA, RESISTENZA, SERIETA’. Lampedusa e la sovranità del panico. Un’analisi di Barbara Spinelli - a c. di Federico La Sala

Giustamente il cardinale Martini mette in guardia contro l’uso dello spauracchio apocalittico: non ha detto, Gesù, che "fatti terrificanti" verranno ma "nemmeno un capello del vostro capo perirà"? (...)
giovedì 7 aprile 2011 di Federico La Sala
[...] la menzogna decisiva riguarda quel che l’Italia pensa di sé. Alla radice della cecità, c’è l’illusione di essere una nazione che ancora può scegliere tra essere multietnica o no. Che non deve nemmeno chiedersi se stia divenendo xenofoba.
In realtà sono 30 anni che siamo un paese d’immigrazione, con punte massime negli ultimi dieci, e quando Berlusconi nel 2009 disse che "non saremo un paese multietnico", mentiva per evitare il ruolo di pedagogo delle crisi. Per negare che la (...)

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> FARE PAURA. TOGLIERE A LAMPEDUSA E ALL’ITALIA LE LORO VIRTU’: DIGNITA’, CALMA, RESISTENZA, SERIETA’. ---- Il mondo là fuori (di Jean Leonard Touadi).

giovedì 7 aprile 2011

Il mondo là fuori

di Jean Leonard Touadi (l’Unità, 7 aprile 2011)

Sono le 13.25 e, mentre scrivo, il Parlamento italiano è bloccato da ore dalla protesta dell’opposizione contro l’ennesimo sopruso della destra e del governo che hanno decretato a maggioranza l’impunità del loro capo sollevando un presunto conflitto d’attribuzione sul caso Ruby. Tra poco, Pdl e Lega chiederanno e otterranno con l’arroganza dei numeri l’inversione dell’ordine del giorno per dare priorità al cosiddetto «processo breve» destinato ad accelerare la prescrizione del “patron” della destra nel procedimento Mills.

Poche ore prima, nel cuore della notte, le agenzie e i siti on-line diramavano notizie drammatiche sul naufragio di un’imbarcazione con 200 persone (non clandestini!) a bordo provenienti dalle coste libiche. Vittorio Alessandro, capitano di vascello del Corpo delle Capitanerie di Porto, spiegava: «Le nostre motovedette hanno intercettato in acque maltesi il barcone che, a causa del mare agitato forza 5/6, si è rovesciato per un’onda anomala quando il motore si è spento. Per paura, i migranti già provati dal viaggio, si sono forse messi tutti su un lato e la barca si è rovesciata».

Questo gravissimo incidente non ha avuto, se non per poco tempo, l’apertura dei siti e l’enfasi delle cronache radiofoniche e televisive. Sarà considerato un dettaglio trascurabile, notizia non degna di una “breaking news” di fronte alle “notizie vere” che monopolizzano l’attenzione e mobilitano le troupe televisive: l’apertura del processo Ruby a Milano e la battaglia sul processo breve. Il paese sente ma non ascolta la voce della disperazione che proviene dal mediterraneo; il parlamento ed il governo vedono ma non guardano in profondità il grido d’aiuto raccontato dai visi sconvolti che approdano sulle coste di quel mare - una volta retoricamente definito mare del dialogo e dell’incontro tra civiltà; collettivamente la nostra mente percepisce ma non interiorizza il tramonto della rassicurante convinzione di una netta separazione tra Noi e Loro.

Il muro dell’indifferenza cinica è crollato e non riusciamo ad avviare un dibattito politico serio che colga, insieme alle criticità emergenziali inevitabili, le opportunità inedite che si aprono per il futuro delle relazioni euro-africane. Il Mediterraneo, diventato da anni un cimitero a cielo aperto, è una provocazione per l’Occidente, un invito ad uscire dalle angustie certezze della mera preservazione di sé dentro le mura dell’opulenza e della stabilità provvisorie.

Provvisorie perché, finché avremo alle porte un miliardo di africani in condizioni di prostrazione economica e di precarietà politica, la nostra stabilità e prosperità saranno come dune nel deserto presto spazzate via dal vento dei cambiamenti in corso sulla sponda sud del mediterraneo. Confesso la mia impotenza di legislatore che non riesce a trasmettere a questo paese l’urgenza di una rivoluzione della nostra agenda nazionale, l’imperativo morale e politico di togliere dalle mani di Berlusconi il compito esclusivo di decidere le cose di cui parlare e di quando farlo.

Dentro e fuori dai confini del nostro colpevole narcisismo nazionale c’è un mondo in cambiamento che ci suggerisce di abbattere il muro tra politica interna ed estera (laddove estera finisce per diventare estranea), tra locale e globale, tra interessi e valori, tra economia ed etica. Invochiamo a gran voce la necessità di uscire dal pensiero unico della globalizzazione dei flussi (finanziari, di merci e delle notizie) che ignora invece i luoghi, considerati come spazi materiali e simbolici. Dove noi europei e gli africani della sponda Sud del mediterraneo siamo destinati a scommettere su di un destino inevitabilmente comune.

L’ossessiva cristallizzazione della nostra vita pubblica intorno alle faccende di Berlusconi è l’onda anomala permanente che rischia di accelerare l’eclissi della politica. Quella vera e buona che governa gli scenari e traccia una visione del bene comune fatta d’interconnessione e d’interdipendenza, nella consapevolezza che noi e gli africani abbiamo per decreto della storia, della geografia ed ora della globalizzazione un destino comune, un avvenire euro-africano che deve essere meticolosamente pianificato.

Quest’anno le nostre uova di Pasqua saranno insanguinate e costeranno qualche centesimo in più,ma non sapremo mai il perché.

La spiegazione si trova nella gigantesca rimozione della crisi in Costa d’Avorio, primo produttore mondiale di cacao, da anni nel vortice di una guerra civile che nelle ultime ore ha subito una drammatica accelerazione. Morti, sfollati, rifugiati, saccheggi, fame e disperazione che non avranno l’onore di una puntata di Ballarò, di Porta a Porta o di Anno zero. La Costa d’Avorio è lontana come l’Africa dell’«Hic Sunt leones» dei romani, ma i suoi cittadini, come quelli dell’Eritrea, della Somalia, del Congo e di tutte le guerre dimenticate d’Africa, muoiono nei deserti di Libia e al largo di Lampedusa.

Deserto e aridità della politica, assuefazione delle masse e autoreferenzialità dell’elite culturale e dei media di questo paese sono un cocktail maledetto che uccide i migranti e, con loro, gli orizzonti del nostro futuro nel cuore del mediterraneo.


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