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IDEALISMO, POSITIVISMO, CRITICISMO. "La Critica della ragion Pura fu da me lungamente meditata fin da venti anni or sono" (F. ENRIQUES, "Risposta a Benedetto Croce", 1912).

FEDERIGO ENRIQUES (COME GRAMSCI) CON KANT, E CROCE E GENTILE CON HEGEL. 1911-2011: l’Italia della scienza negata. Un articolo di Armando Massarenti, con alcuni appunti - a c. di Federico La Sala

Il 6 aprile 1911 si tenne il congresso della Società filosofica italiana, fondata e presieduta dal grande matematico Federigo Enriques, un formidabile organizzatore culturale (...)
lunedì 18 aprile 2011 di Federico La Sala
[...] Enriques riteneva che una filosofia degna di una società moderna non potesse che essere pensata in stretta connessione con l’avanzare delle scienze. Sapeva di porsi così in aperto contrasto con l’emergente idealismo di Benedetto Croce e Giovanni Gentile, con i quali cercò di ingaggiare un confronto civile, ma rimase sconcertato dalla violenza con cui questi condussero la disputa. Enriques aveva denunciato il loro atteggiamento nei confronti dei saperi scientifici proprio in quanto (...)

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> 1911-2011: l’Italia della scienza negata. ---- Scienza debole? Non è colpa di Croce e Gentile (di Alessandra Tarquini)

sabato 17 marzo 2012

Scienza debole? Non è colpa di Croce e Gentile

-  Il declino della ricerca è iniziato negli anni Sessanta quando essere gentiliani non era di moda
-  Le responsabilità, casomai, vanno cercate tra gli attori coinvolti direttamente: industria, enti pubblici, governi, università

di Alessandra Tarquini (l’Unità, 17.03.2012)

Nel dibattito pubblico è ricomparso un antico luogo comune: quello secondo cui la ricerca scientifica italiana ha avuto uno sviluppo stentato grazie all’influenza del neoidealismo di Croce e Gentile. Dunque, se siamo un Paese diverso dagli altri, con una mentalità retorica e antiscientifica, se studiamo poco la matematica, e, soprattutto, se non abbiamo colto fino in fondo l’importanza del progresso scientifico e tecnologico, lo dobbiamo principalmente a loro. Ma davvero il neoidealismo monopolizzò la cultura italiana del XX secolo? E cosa accadde nel nostro paese quando i filosofi neoidealisti esercitarono la loro maggiore influenza sulla società e sulla politica? E, ancora, come cambiò la scienza quando la fortuna di Croce e Gentile lasciò il posto ad altri sistemi di pensiero?

Iniziamo dall’egemonia degli idealisti: nel 1903 Croce fondò la «Critica» con la collaborazione di Gentile e con l’obiettivo di suscitare una discussione che attraversasse diverse discipline e contribuisse al rinnovamento della cultura nazionale, allora dominata dal positivismo. E in effetti, in quei primi anni del Novecento, senza alcun potere accademico o politico, Croce rappresentò un riferimento teorico per moltissimi intellettuali italiani. Proprio allora, a giudicare da Camillo Golgi e Guglielmo Marconi, da Vito Volterra e Ulisse Dini, la scienza visse una stagione di grandi successi, che non rimasero confinati al mondo dei ricercatori. Come hanno recentemente ricordato Pietro Nastasi e Angelo Guerraggio, gli scienziati dell’Italia liberale furono fra gli esponenti più autorevoli della classe dirigente: alcuni erano membri del Parlamento, altri ricoprivano posizioni di responsabilità politica.

Il ruolo di Croce cambiò con la guerra di Libia. Da allora fu Gentile a esercitare una maggiore influenza sui giovani e, con l’avvento del fascismo, un vero e proprio potere sull’organizzazione della cultura. Nominato ministro dell’istruzione nel 1922, portò in Parlamento la riforma che istituì il liceo scientifico e rese il liceo classico, già previsto dalla legge Casati, una scuola d’élite dove, com’è noto, si insegnavano le scienze in misura decisamente meno rilevante rispetto alle discipline umanistiche. Nel 1925 Gentile fu nominato direttore scientifico dell’Enciclopedia Treccani che diede alle scienze applicate e a quelle pure uno spazio considerevole; nel 1928 divenne direttore della Scuola Normale di Pisa e nel 1941 fondò la domus galileiana, un importante centro di ricerca per la storia della scienza.

ASCESA E DECADENZA

In che modo, dunque, la sua indiscutibile egemonia sulla cultura italiana pesò sulla scienza? A giudicare dagli enti di ricerca fondati dal regime totalitario, con la volontà di controllare e dare spazio agli scienziati, dovremmo pensare che la presenza di un filosofo neoidealista, ai vertici dell’organizzazione culturale del fascismo, fu un fatto sicuramente positivo: nel 1923 nacque il Consiglio nazionale delle ricerche; nel 1926 l’Istituto centrale di statistica; sempre nel 1926 l’Accademia d’Italia che negli anni Trenta assunse il patrimonio dell’Accademia dei Lincei; nel 1927 l’Istituto di storia delle scienze; nel 1934 l’Istituto di sanità pubblica e nel 1939 l’Istituto nazionale di alta matematica e quello di geofisica. In realtà, nella seconda metà degli anni Trenta, l’influenza di Gentile sulla cultura italiana entrò in una fase di decadenza.

Ad esempio, nel 1933 a Roma, durante l’ottavo congresso nazionale di filosofia, i filosofi realisti insieme ai neopositivisti, a molti cattolici e ad alcuni neokantiani sferrarono un attacco durissimo contro il filosofo, dichiarando, dopo trent’anni di neoidealismo, il ritorno al realismo.

Gentile morì nel 1944, Croce nel 1952. Nel dopoguerra la sconfitta proseguì provocando il tramonto irreversibile di una cultura considerata nazionalista e, in ogni caso, responsabile dell’avvento del regime fascista. Norberto Bobbio raccontava che dopo il fascismo, i giovani iniziarono a esplorare le filosofie «straniere», decisi a debellare per sempre lo spiritualismo della cultura italiana nelle sue diverse forme. Ancora più esplicitamente, Paolo Rossi scrisse che la sua generazione si era impegnata nella critica contro Croce e Gentile, come ci si dedica a uno sport praticato con tenacia, continuità e un certo sadismo.

In effetti, dagli anni Quaranta gli idealisti costituirono una minoranza degli intellettuali italiani, ben più affascinati dall’esistenzialismo, dalla fenomenologia, dal marxismo e dal neoilluminismo e, negli anni Sessanta, pronti ad accogliere gli stimoli offerti dallo strutturalismo, cioè da una riflessione che non nasceva in Italia e mostrava una forte attenzione alle scienze sociali. Da allora l’antropologia, la ricerca sociale, la psicologia, la critica letteraria e, ovviamente, la linguistica divennero campi del sapere di una cultura che faceva della distanza da Croce e da Gentile un suo tratto distintivo.

Ora, a ben vedere, fu proprio in quel periodo che iniziò il lento e irreversibile declino della scienza. Come ha ricordato Giovanni Paoloni, negli anni Sessanta sia le politiche della ricerca pubblica, sia gli orientamenti del sistema privato dovettero misurarsi con cambiamenti di vasta portata. L’Olivetti e la Montecatini, per citare due aziende molto note che avevano prodotto ricerca industriale di altissimo livello, tagliarono i settori innovativi e rafforzarono quelli economicamente più sicuri. A sua volta lo Stato investì sempre meno nelle politiche che avrebbero potuto promuovere la ricerca industriale e facilitò l’espansione della piccola e media imprenditoria, tradizionalmente estranee ai processi di innovazione.

Dalla metà degli anni Sessanta, insomma, quando essere crociani o gentiliani non era certo di moda, abbiamo seguito un modello diverso da quello dei paesi che hanno impiegato risorse economiche e le hanno messe a disposizione dello sviluppo scientifico e tecnologico. Ma allora, se è così, invece di attribuire le colpe al liceo classico voluto da Gentile, o alla concezione crociana della scienza, perché non ricordiamo che la ricerca scientifica coinvolge una grande quantità di soggetti come le industrie, le università, gli enti privati, la pubblica amministrazione, i governi e, non da ultimo, le imponenti agenzie sovranazionali?

Ma soprattutto perché non diciamo che gli imprenditori, i tecnologi, gli scienziati ostacolati da Croce e da Gentile non ci sono mai stati? Forse dovremmo iniziare a chiederci se la responsabilità di una sconfitta non sia prima di tutto di chi la subisce. Se in Italia non si è avvertita l’importanza della ricerca, se le dedichiamo l’1,2 per cento del nostro Pil contro il 2 per cento della media europea, non dipenderà forse dagli scienziati, dalle politiche pubbliche e dalle industrie private? E allora lasciamo in pace Croce e Gentile. Semmai studiamo la loro filosofia e il rapporto che ebbe con il proprio tempo, senza dimenticare che fu un tempo assai generoso con la ricerca scientifica.


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