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IDEALISMO, POSITIVISMO, CRITICISMO. "La Critica della ragion Pura fu da me lungamente meditata fin da venti anni or sono" (F. ENRIQUES, "Risposta a Benedetto Croce", 1912).

FEDERIGO ENRIQUES (COME GRAMSCI) CON KANT, E CROCE E GENTILE CON HEGEL. 1911-2011: l’Italia della scienza negata. Un articolo di Armando Massarenti, con alcuni appunti - a c. di Federico La Sala

Il 6 aprile 1911 si tenne il congresso della Società filosofica italiana, fondata e presieduta dal grande matematico Federigo Enriques, un formidabile organizzatore culturale (...)
lunedì 18 aprile 2011 di Federico La Sala
[...] Enriques riteneva che una filosofia degna di una società moderna non potesse che essere pensata in stretta connessione con l’avanzare delle scienze. Sapeva di porsi così in aperto contrasto con l’emergente idealismo di Benedetto Croce e Giovanni Gentile, con i quali cercò di ingaggiare un confronto civile, ma rimase sconcertato dalla violenza con cui questi condussero la disputa. Enriques aveva denunciato il loro atteggiamento nei confronti dei saperi scientifici proprio in quanto (...)

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> FEDERIGO ENRIQUES (COME GRAMSCI) CON KANT ---- «Contro il materialismo» di Pierpaolo Antonello analizza come da noi sia stato sminuito in modo sistematico il pensiero scientifico (di Pietro Greco).

lunedì 1 ottobre 2012


-  Tutta colpa della borghesia
-  Gli idealisti contro la scienza alla base della crisi italiana
-  «Contro il materialismo» di Pierpaolo Antonello analizza come da noi sia stato sminuito in modo sistematico il pensiero scientifico

-  di Pietro Greco (l’Unità, 30.09.2012)

NON È COLPA DEGLI IDEALISTI, SOSTIENE ANNA TARQUINI GIÀ NEL TITOLO DI UN SAGGIO APPARSO DI RECENTE SULLA RIVISTA «IL MULINO». Non è colpa dell’«idealismo italiano» di Benedetto Croce e di Giovanni Gentile, sostiene la storica in forza all’università La Sapienza di Roma, se l’Italia da decenni ha fatto a meno della scienza per alimentare la propria cultura e la propria economia. Le colpe vanno ricercate altrove.

Non è solo colpa solo di Croce e Gentile, sostiene Pierpaolo Antonello, docente di Letteratura italiana contemporanea a Cambridge, Gran Bretagna, in un libro, Contro il materialismo, in uscita in questi giorni per l’editore Nino Aragno. Ma è colpa anche di tanti altri idealisti che, a destra come a sinistra, hanno sminuito, in maniera sistematica e persino deliberata, il valore culturale della scienza e, nel medesimo tempo - sottolinea il Senior Lecture dell’università inglese, nel poderoso volume (oltre 400 pagine) in cui rifà il «bilancio di un secolo» di confronto tra le «due culture» in Italia - la portata di quel «materialismo volgare» che si fonda sulla profonda e ineludibile componente biologica dell’uomo.

Il libro di Pierpaolo Antonello farà certo discutere. Perché è (sanamente) scomodo. Anche per la sinistra italiana. Anche per la comunità scientifica. La tesi di fondo è molto diversa - persino opposta - a quella di Anna Tarquini. Gli idealisti sono colpevoli, eccome. Ma il punto di partenza e il punto di approdo delle due analisi sono i medesimi. Il punto di partenza è una constatazione di fatto: l’Italia è un paese di nuovo in fase di declino perché nel corso del XX secolo e di questo primo scorcio del XXI non ha quasi mai saputo fare i conti con la modernità. Perché continua a «rifiutare la scienza».

Il punto di approdo è il medesimo. Colpevole di questa storica incapacità è, soprattutto, la borghesia italiana, piccina e provinciale, che nel nostro paese, a differenza che in Inghilterra o in Francia, non è mai riuscita a fare la sua rivoluzione. Nel mezzo c’è il ruolo, controverso, degli intellettuali. Anna Tarquini, in buona sostanza, li assolve. Se l’Italia «rifiuta la scienza», la colpa non è dei filosofi, ma dei produttori. Non è dell’idealismo ma del «modello di sviluppo senza ricerca» fatto proprio, unica in occidente, da una borghesia produttiva di corte vedute. La tesi di Pierpaolo Antonello è invece diversa. Molto netta e ben documentata. Anche i filosofi idealisti, anche i letterati hanno la loro buona parte di colpa. Tutta l’Europa nel corso del Novecento ha vissuto lo scontro di quelle che Charles Percy Snow ha definito «le due culture»: quella umanistica e quella scientifica.

Ma solo in Italia - attraverso quattro diverse ondate, lunghe ciascuna una trentina di anni, l’ultima delle quali dura tuttora - hanno prevalso sempre e regolarmente gli «umanisti». Determinando l’anomalia italiana, che è culturale oltre che economica. Pierpaolo Antonello ha analizzato in dettaglio due componenti (più una) della cultura italiana del XX secolo e della prima parte del XXI secolo: quella filosofica e quella letteraria. In entrambe non solo si è scavato un solco tra le «due culture». Ma «quel solco è stato deliberatamente scavato in profondità e difeso strategicamente» da una parte prevalente dei nostri intellettuali.

Nella componente letteraria, in realtà, il confronto tra «umanisti» e «scientifici» è stato abbastanza ricco e ha avuto un esito non sempre a senso unico. Figure come Italo Calvino, Primo Levi, Carlo Emilio Gadda e, aggiungiamo noi, Gianni Rodari hanno rinnovato la «vocazione profonda» della letteratura italiana, che - da Dante a Leopardi - è quella del confronto con la «filosofia naturale». In ambito filosofico, invece, non c’è stata partita. Hanno sempre vinto gli idealisti. E, sostiene Antonello riprendendo esplicitamente una tesi espressa da Sebastiano Timpanaro nel saggio Sul materialismo del 1970, hanno sempre perso i materialisti.

PROVINCIA DEL REICH FILOSOFICO

Nel corso di tutto il Novecento e in questi primi anni del XXI secolo, l’Italia è stata, come sosteneva Lucio Colletti, «una provincia del Reich filosofico germanico». La vittoria ha arriso agli idealisti non solo negli ambienti culturali conservatori, quelli di Benedetto Croce e Giovanni Gentile, per intenderci, che hanno esercitato una forte egemonia nella prima parte del XX secolo, sia negli anni dell’Italia liberale sia in quelli, oscuri, dell’Italia fascista.

Ma un certo idealismo antiscientifico - una vena adorniana che si è rifiutata sia di guardare all’uomo come portatore anche di bisogni materiali «volgari»; sia di guardare alla scienza come fonte di conoscenza; sia di guardare alla tecnica come fonte possibile di emancipazione e non solo come fonte di preoccupazione - ha prevalso anche nella cultura cattolica e nella cultura della sinistra che hanno dominato la seconda parte del XX secolo.

Qui, forse, la tesi di Pierpaolo Antonello diventa più scomoda. Perché sostiene che la gran parte degli intellettuali della sinistra italiana, ha rinunciato all’approccio materialista e illuminista, per abbracciare la retorica antiscientifica, apocalittica e adorniana.

Anche a sinistra ha prevalso un certo idealismo, che ha continuato a scavare un solco tra le due culture che, scrive Antonello, è servito «soprattutto agli umanisti per mantenere il loro residuo prestigio sociale...andando contro, da un punto di vista marxiano, agli interessi di quelle classi che avrebbero dovuto difendere e promuovere, disattendendo le stesse indicazioni gramsciane». Dunque l’idealismo crociano, l’idealismo cattolico e l’idealismo di sinistra hanno (avrebbero) avuto sempre partita vinta. Un paese che non sa fare i conti con la modernità e che oggi, con un declino economico e non solo economico che dura da almeno vent’anni, ne paga il conto. Una scuola senza cultura scientifica. Un’industria senza innovazione di prodotto. Un mondo politico che fa a meno, anche in Parlamento, degli scienziati che altrove - dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti - sono parte decisiva della classe dirigente.

Ad aiutare questa egemonia dell’idealismo antiscientifico, sostiene Antonello, ha contribuito anche la comunità scientifica italiana. Che è stata spesso divisa e quasi mai è riuscita ad affermare il proprio ruolo. Anche se molte sono state le figure degli scienziati italiani con una lucida visione dei rapporti tra scienza e società e, in alcuni casi queste figure sono riuscite a produrre effetti di così straordinaria importanza (i computer Olivetti, lo sviluppo dell’aerospazio, della farmaceutica, della chimica dei polimeri) da sembrare sul punto di cambiare la fisionomia del paese.

Ma è tempo di giungere all’approdo. E di chiederci: come mai i diversi tipi di idealismo hanno vinto sistematicamente per un secolo e più? Come mai il paese da 120 anni non riesce a fare i conti con la modernità? La risposta sta, probabilmente, lì dove la cercava Antonio Gramsci. Nella natura peculiare della nostra borghesia produttiva. Quasi sempre provinciale e piccina piccina. Spesso eversiva.


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