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MARX E LA CRITICA DELL’ECONOMIA TEOLOGICO-POLITICA. " Me ne stavo seduto pensieroso, misi da parte Locke, Fichte e Kant e mi dedicai a una profonda ricerca per scoprire in che modo una lisciviatrice può essere connessa al maggiorascato, quando mi trapassò un lampo (...)" (K. Marx, "Scorpione e Felice").

"SCORPIONE E FELICE". RIDENDO E SCHERZANDO, MARX TROVA "LA PIETRA FILOSOFALE" DEL SUO CAMMINO. Una nota di Michele Serra e un passo dal romanzo giovanile di Marx - a c. di Federico La Sala

Ovvio che i sacerdoti del marxismo, nella loro esegesi, non abbiano mai tenuto in gran conto il giudizio (non neutrale ma molto partecipe) che la figlia Eleanor diede del padre Karl Marx: «Era il più allegro e giocondo di tutti gli uomini».
giovedì 12 maggio 2011 di Federico La Sala
[...] È destino, peraltro, di molti culti umani vedere il fondatore trasfigurato in idolo, e un clero trasformare, nei secoli, l’energia intellettuale degli inizi in una cupa costruzione dogmatica - cioè in puro potere [...]
[...] un lampo che, affastellando pensieri su pensieri, illuminò il mio sguardo e apparve davanti ai miei occhi una configurazione luminosa.
Il maggiorascato è la lisciviatrice dell’aristocrazia, poiché una lisciviatrice serve solo per lavare. Ma il lavaggio sbianca, (...)

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> "SCORPIONE E FELICE". ---- Siamo seri, torniamo al dottor Karl Marx (di Bruno Gravagnuolo).

mercoledì 8 giugno 2011

Eric Hobsbawm 60 anni di studi in un volume che fa il punto su una teoria controversa e vitale

La profezia. Ci sono gli errori politici marxiani ma la visione di capitalismo e finanza è valida

Siamo seri, torniamo al dottor Karl Marx

Saggi di ieri e di oggi nell’ultimo volume dello storico britannico di origini ebraiche nato ad Alessandria d’Egitto nel 1917. E una nuova tesi: il secolo breve finito nel 1989 torna ad allungarsi col ritorno di Marx dopo il 2008.

Ci sono anche delle pagine inedite sul pensiero di Antonio Gramsci nel libro che raccoglie alcuni saggi su Karl Marx e il marxismo dello storico, icona della sinistra anglosassone, convinto che «il superamento del capitalismo» resti tuttora una prospettiva «plausibile».

di Bruno Gravagnuolo (l’Unità, o8.06.2011)

Inattesa fortuna. Già prima del 2008 le «azioni» del pensatore di Treviri si erano alzate «Taking Marx seriusly», prendere Marx sul serio. Di nuovo. È ora di farlo. La tesi di Eric Hobsbawm, grande storico marxista, riassunta nell’ultima pagina del suo ultimo libro, è tutta qui: Come cambiare il mondo. Perché riscoprire l’eredità del marxismo. Non è una tesi riduttiva e nemmeno scontata, benché Karl Marx un ruolo rilevante lo abbia sempre avuto nelle idee e nei conflitti del mondo. Anche nei periodi di peggior fortuna del suo pensiero, e prima che tornasse di moda... Non è riduttiva perché allude a un giudizio analitico di base che pervade tutto libro: mai come oggi la «chiave marxiana» apre le porte dell’economia globale e delle sue crisi deflagranti. Di là del fatto incontrovertibile che le soluzioni politiche prospettate da Marx si siano rilevate fallimentari. Abbiano generato effetti perversi, o diversi rispetto alle attese (neodispotismi asiatici, nazionalcomunismi, riformismi socialdemocratici).

E allora approfondiamo la tesi di base di Hobsbawm, il cui libro è fatto per metà di cose già pubblicate, come i saggi della Storia del Marxismo Einaudi, e per metà di cose più recenti, come nel caso dell’ultimo saggio, quello dedicato al ritorno clamoroso di Marx con lo tsunami finanziario del 2008 (Marx e il Movimento operaio, il secolo lungo). Il primo punto è il seguente: il lavoro dipendente è la stragrande maggioranza delle forze produttive, sia in Europa che su scala globale. Anche se nel vecchio continente la classe operaia è (ancora) pari a circa un terzo del totale. Il che liquida tante false retoriche sociologiche sul trionfo del lavoro autonomo. Non c’è impoverimento assoluto, ma crescita dentro una forbice, che vede le ineguaglianze crescere esponenzialmente (con redistribuzioni tra poveri). Secondo: il ceto medio si assottiglia e la ricchezza si concentra verso l’alto, in modo sempre più anonimo e incontrollato.

La crisi del 2008, rileva Hobsbawm, è frutto di un’economia a debito privato sul quale si è costruito un gigantesco castello finanziario, poi franato. Al contempo i salari si sono abbassati per via della tecnologia, della precarietà e della concorrenza mondiale tra salariati, usati come immenso esercito di riserva da comprimere flessibilmente. Tutto questo nel quadro dello smantellamento delle protezioni di welfare, che generavano inflazione, e dell’ascesa di economie emergenti capaci di produrre a costi tali da metere in ginocchio il primo mondo. Che a un certo punto ha cominciato a delocalizzare gli investimenti.

Conclusione: ce ne è abbastanza per rendere attuale Marx. Che scommetteva esattamente su crolli ciclici del mercato, determinati da incrementi del macchinario (capitale fisso) e decrementi di quello «variabile»: salari. Sempre più incapaci di assorbire o di stimolare la produzione (a meno di non drogare il tutto con il credito al consumo, che ha prodotto lo tsunami negli Usa). Infine, aggiunge Hobsbawm, il saccheggio mercatista della natura con l’esaurimento delle fonti non rinnovabili, incrementa costi e rischi, spiantando economie di autosussistenza e generando migrazioni incontrollate. E quindi: complessità della crisi globale all’apice. E vittoria delle merce come forma dominante. Nella spettralità del consumo-immagine, e delle attese finanziarie, che a loro volta destabilizzano le econome degli stati sovrani, sempre più indebitati (nel pubblico e nel privato).

Fin qui in Hobsbawm la pars destruens. Che include critiche all’incapacità in Marx di concepire istituzionalmente la democrazia, per lo più intesa da lui solo come «maschera giuridica borghese» e non anche come forza propulsiva ideale e materiale (con i risultati totalitari che ben conosciamo). E la pars construens? Qui cominciano le difficoltà. Perché lo storico britannico non riesce a indicarla con precisione. Due le sue ricette: una nuova idea di stato-nazione, che a suo (giusto) avviso non declina affatto e che resta l’unica entità in grado di associare i cittadini alle politiche. Uno stato-nazione collaborativo con altri stati, dentro entità sovranazionali più vaste, che concorra a regolare diritti, salari, fisco e meccanismi finanziari. Seconda idea: una generale idea di società cooperativa che ripristini l’alleanza tra democrazia e mercato e stia in guardia contro l’anarchia selvaggia del capitalismo.

Insomma, se ben capiamo, una proposta neokeynesiana bilanciata da regole transnazionali, per rilanciare l’accumulazione con politiche pubbliche volte ad accrescere i salari e redistribuire la ricchezza. Incluso il «valore d’uso» di una natura non depredata. Ma qui il discorso, con l’inversione del ciclo liberista post-2008, è solo agli inizi. E l’agenda sarebbe lunghissima: dall’invenzione di una finanza sociale e democratica, alla lotta contro gli sprechi del ceto politico. Fino a intravedere forme nuove di socialismo: economia civile, cooperativa e solidale. Con politiche industriali e di sdoganamento del ruolo dello stato (purché non sprechi e funzioni). Intanto però contentiamoci della proposta di uno dei massimi storici viventi: riprendiamo sul serio Marx.


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