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UOMINI E DONNE, PROFETI E SIBILLE, OGGI: STORIA DELLE IDEE E DELLE IMMAGINI. A CONTURSI TERME (SALERNO), IN EREDITA’, L’ULTIMO MESSAGGIO DELL’ECUMENISMO RINASCIMENTALE .....

RINASCIMENTO ITALIANO, OGGI: LA SCOPERTA DI UNA CAPPELLA SISTINA CON 12 SIBILLE. Sul tema, la prefazione di Fulvio Papi e parte della premessa del lavoro di Federico La Sala

Le Sibille di Contursi hanno parentele più celebri nella Cattedrale di Siena, nell’appartamento Borgia in Vaticano, nel Tempio Malatestiano di Rimini, nella Cappella Sistina di Michelangelo. La pittura disegna l’ eclettismo ermetico-cabalistico-neoplatonico rinascimentale (...)
martedì 9 aprile 2013
TONDO DONI. Attenzione: nella cornice "raffigurate la testa di Cristo e quelle di quattro profeti" (Galleria degli Uffizi)? Ma, per Michelangelo, non sono due profeti e due sibille?!

[...] La pittura disegna l’ eclettismo ermetico-cabalistico-neoplatonico rinascimentale che colloca la filosofia e la teologia pagana in sequenza con il Cristianesimo. Ne deriva un’immagine del mondo come presenza divina nella quale abita l’uomo cóme unità di corpo (...)

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> RINASCIMENTO ITALIANO, OGGI --- PICO DELLA MIRANDOLA, ORIGENE E LA DIGNITA’ DELL’UOMO - LA LIBERTA’ (di Giulio Busi - Origene, uomo senza qualità).

lunedì 25 giugno 2012

Origene, uomo senza qualità

di Giulio Busi (Il Sole 24 Ore, 24 giugno 2012)

Quando nasce l’uomo senza qualità? Verrebbe da dire tra il 1930 e il 1932, gli anni in cui Robert Musil pubblica il suo romanzo-sfogo contro la società di massa. O forse è meglio risalire di qualche decennio indietro, quando l’ottimismo borghese dell’Ottocento comincia a sfiorire? Certo, il personaggio che non sa decidersi su se stesso è icona recente, espressione di crisi e smarrimento. Ma a ben guardare, ha un progenitore più antico e più nobile.

L’individuo senza qualità precede di molto il naufragio dell’età moderna. Spunta già nell’Orazione sulla dignità dell’uomo di Giovanni Pico, scritto emblematico del Rinascimento italiano. Per il Conte della Mirandola, solo l’uomo, tra tutte le creature, non ha un ruolo determinato, una natura prefissata a cui restare ancorato.

Trascinato dall’entusiasmo dei suoi 23 anni, Pico vede l’essere umano come un camaleonte, capace di trasformarsi senza posa. Può innalzarsi al cielo come un angelo o sprofondare in basso, a modo di belva o di demone: «L’uomo è animale di natura varia, multiforme e cangiante» solo a lui «è concesso di ottenere ciò che desidera, di essere ciò che vuole». La mancanza di qualità significa per Giovanni la massima libertà e il vero fondamento dell’autonomia dell’uomo.

Questo pensiero, nel 1486, parve pericoloso e valse al Conte una condanna pontificia. L’enfasi sulla capacità di giudizio autonomo non piacque a Innocenzo VIII e ai suoi inquisitori. E ancor meno piacquero i maestri da cui Pico aveva appreso ad amare l’amorfa potenzialità umana.

Uno fra tutti, tra i nomi citati nell’Orazione, destava i sospetti dell’ortodossia. Era quello di Origene, padre della chiesa censurato come eretico, e vero ispiratore di tratti decisivi dell’antropologia pichiana.

Probabilmente nessuno è stato tanto amato e odiato, letto e censurato come Origene. Il più grande teologo dell’età tardo antica (prima e accanto Agostino) condannato per le sue idee dal concilio di Costantinopoli del 533. Giustiniano ordinò che tutta la sua opera fosse distrutta. Fu un atto di barbarie che, secondo il teologo Henri de Lubac, getta sull’imperatore una macchia che neppure la costruzione di Santa Sofia basta a compensare. Per fortuna, Origene aveva scritto moltissimo, e parecchio si salvò dall’ardore distruttivo. Letto di nascosto, o spesso trasmesso in forma anonima, il pensiero di Origene ha lavorato durante il Medioevo come un lievito occulto.

Per districarsi dalle spire dello gnosticismo, Origine immaginò ciò che la filosofia greca non aveva ancora saputo fare. Ovvero una seconda natura, accanto a quella rigorosamente codificata dalle leggi fisiche. Le azioni degli uomini (e degli esseri celesti, a cui Origene credeva fermamente) sono determinate da un atto individuale di volontà. Per esempio, chi sceglie la menzogna, «non lo fa in obbedienza a una struttura preesistente, ma solo per decisione propria o, per dirla con una parola nuova, facendosi egli stesso natura».

In questa frase del commento al Vangelo di Giovanni, e nei molti passi paralleli sparsi per gli altri suoi libri, Origene costruisce la grandezza dell’essere senza qualità. Capace di sbagliare certo, e colpevole nel farlo, ma anche in grado di spezzare le catene del destino.

Questo fondamento metafisico della libertà nasceva dalla lotta contro gli gnostici, i quali propugnavano un soffocante determinismo, una gerarchia dell’essere che inchiodava ciascuno a un posto prefissato. Illuminati da una parte, schiavi della materia dall’altra, e poi angeli e demoni obbligati a ripetere in eterno azioni buone o malvage, in un perenne dejà vu.

Secondo Origene, invece, l’uomo, che di per sé non è nulla, può essere ciò che vuole, se solo lo vuole. D’altra parte, questa indeterminatezza rende reversibile ogni conquista (e ogni colpa). Il bene non è mai raggiunto una volta per tutte, così come il male non è dannazione eterna. Un’opinione, quest’ultima, che pesò molto nel dossier eretico a carico di Origene.

Nelle sue Conclusiones del 1486, Pico non fa mistero della propria simpatia per il vecchio eresiarca alessandrino e anzi, ne proclama a gran voce l’innocenza: «È più razionale ritenere che Origene sia salvo piuttosto che darlo per dannato». Con un colpo di teatro, il giovin signore di Mirandola pretende di sostituirsi ai Concili e al magistero della Chiesa, e non c’è da meravigliarsi se proprio su questa riabilitazione postuma, sostenuta da Pico, si siano concentrati gli strali della commissione papale incaricata di vagliare le Conclusiones.

Ma a parte il gusto per il paradosso e l’intenzione di stupire il proprio uditorio, nel farsi promotore di una rinascita origeniana Pico aveva precise ragioni filosofiche. Un solido filo intellettuale lega il Conte al teologo del III secolo. Un filo che si chiama libertà. È infatti proprio dagli scritti di Origene, che Pico attinge la particolare idea di uomo che è alla base del suo progetto di "dignitas".

Un nuovo libro, curato da Alfons Fürst e da Christian Hengestermann, percorre la carriera dell’uomo senza qualità in panni filosofici, attraverso un ambizioso progetto interdisciplinare tra storia del pensiero politico, teologia, filosofia e letteratura.

Se Pico fu il primo moderno ad accettare la sfida di una simile «teologia della liberazione» ante litteram, la filosofia dei secoli successivi ebbe in Origene un costante punto di riferimento. Da Erasmo ai platonici di Cambridge, a Shaftesbury e, attraverso di questi, a Kant e fino a Schelling, l’antropologia tra Cinque e Ottocento si nutre dell’universalismo origeniano. Riportata alla sua prima matrice storica, l’idea della dignità dell’uomo rivela inaspettate radici teologiche.

Anziché essere frutto esclusivo del secolarismo illuministico, la libertà come diritto inalienabile dell’individuo nasce piuttosto dalla rottura della gabbia cosmica intuita da Origene nel III secolo. È uno sguardo che ci fa riscoprire una corrente sopita del pensiero occidentale, a patto però di chiamare una simile teologia col nome che gli fu dato a suo tempo, tanto a proposito di Origene quanto di Pico: eresia.


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