Pompei
Prima dell’eruzione, una città che amava le sue attrici
Methe, Cestilia e le altre Le donne di scena come star
di Eva Cantarella (Corriere della Sera, 15.09.2014)
Nel 79 d.C., quando scomparve, Pompei era una città fiorente, vivace e cosmopolita, nella quale diverse etnie e culture si erano nel tempo incontrare e al di là degli inevitabili problemi (e a volte veri e propri conflitti bellici) si erano alla fine amalgamate. Il primo nucleo di abitanti del luogo, nel VII sec. a.C., era composto da popolazioni osche.
Grazie alla posizione particolarmente felice dello stanziamento, allo sbocco marittimo della ricca e produttiva area agricola dell’entroterra campano, la comunità divenne presto una fiorente cittadina, che nei primi secoli della sua vita subì l’influsso sia degli Etruschi (all’epoca ampiamente presenti nella zona), sia dei Greci la cui cultura (a seguito della sconfitta degli Etruschi da parte di una coalizione cumano-siracusana, nel 474 a.C.) prese peraltro il sopravvento. Verso la fine del V secolo una nuova popolazione, i Sanniti, calò dalle sue povere montagne stanziandosi tra l’altro anche a Pompei, e per finire nell’81 (secondo alcuni l’80) a.C. giunsero i Romani.
Pompei, infatti, insieme agli altri alleati italici di Roma (i socii italici), stanchi di essere di fatto trattati come dei sudditi, aveva preso le armi per ottenere la cittadinanza romana, ma nell’89 era stata assediata da Silla, che dopo averla espugnata vi aveva stanziato una colonia. Pompei, insomma era un amalgama di etnie e di culture diverse, ciascuna delle quali aveva lasciato le sue tracce, contribuendo a renderla una città aperta, viva e pronta a recepire le novità.
La sua economia era fiorente. La straordinaria fertilità dell’agro campano aveva consentito di sviluppare diverse industre che esportavano i suoi prodotti. Il vino locale veniva venduto oltre che in Italia in Francia, Spagna, Africa e Germania. Fiorenti anche l’industria della ceramica e quella tessile , nonché la produzione di calzature.
Tutto contribuiva a consentire agli abitanti della città una vita piacevole e varia, arricchita da una intensa vita culturale e da una serie di svaghi tra i quali, in particolare, frequenti rappresentazioni teatrali. Dopo un lungo periodo nel quale queste avevano avuto luogo in strutture provvisorie di legno erette nelle piazze e davanti ai templi, nel secolo a.C. la città si dotò di un edificio teatrale in muratura, il Teatro Grande, eretto presso il margine meridionale della città, la cui capienza, a seguito dei restauri di età augustea, arrivò fino a 5.000 persone. A darci un’idea delle popolarità di queste rappresentazioni sono i graffiti conservati sui muri della città, che testimoniano, in particolare, dell’entusiasmo dei pompeiani per le attrici che giungevano al seguito di compagnie girovaghe.
Anche se non potevano recitare nelle tragedie e nelle commedie, ma solo nelle pantomime e nei mimi vi erano infatti numerose donne che calcavano le scene pompeiane: una certa Methe, ad esempio, definita attrice della «atellana» (un tipo di commedia di origine italica, così chiamata da Atella, in Campania); una Histrionica Actica, della compagnia di Aniceto; una Novella Primigenia, forse identificabile con una Primigenia di Nocera, il cui nome appare insieme a una serie di graffiti di saluto di una troupe di attori girovaghi. E poi una Cestilia, evidentemente molto apprezzata e popolare al punto da essere salutata come «la regina dei pompeiani».
L’attività teatrale a Pompei, insomma, era intensa, non solo nel Teatro Grande ma anche nell’Odeion (che poteva ospitare circa 1.500 persone), costruito a fianco del teatro nei primi decenni della colonia sillana, verosimilmente destinato ad audizioni musicali, scene mimiche, recitazioni e forse anche declamazioni letterarie e poetiche.
L’interesse per il teatro dei pompeiani traspare anche dalle raffigurazioni parietali con soggetti tratti da tragedie e commedie, e dall’ingente numero di maschere realizzate in marmo, in mosaico e in pittura, che decorano molte case della città. È bello, a distanza di quasi due millenni, vedere questo teatro tornare a vivere. Peccato solo (impossibile tacerlo) che ciò accada in un edificio, come il Teatro Grande, irrimediabilmente devastato da improvvide (a dir poco) opere di cosiddetto restauro.