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EUROPA, EBRAISMO E PSICOANALISI: VA’ PENSIERO (G. VERDI, "NABUCCO" - NABUCODONOSOR). MEMORIA, CREATIVITA’ E INTERPRETAZIONE ....

FREUD, RICORDANDO-SI DI NAPOLI (E DEL SOGNO DI UNA NUOVA "POLIS"), COMINCIA A CAPIRE COSA C’E’ DIETRO LA SUA (E NON SOLO SUA) INFATUAZIONE PER ANNIBALE, PER IL "VENDICATORE". Una breve analisi della "dimenticanza di una parola latina" da parte di un giovane accademico - a c. di Federico La Sala

(...) Ho varie ragioni per attribuire valore a questa piccola analisi e sono grato a quel mio compagno di viaggio di allora per avermela concessa (...)
mercoledì 25 maggio 2011
Exoriare aliquis nostris ex ossibus ultor. La locuzione latina, tradotta letteralmente, significa che nasca un giorno dalle mie ceneri un vendicatore. (Virgilio, Eneide, IV, 625). Imprecazione di Didone nel gettarsi sul rogo, perché abbandonata da Enea. Il vendicatore sarà poi Annibale, il terribile nemico di Roma che, a dodici anni, aveva giurato su gli altari patrii odio eterno contro i Romani (...) (Wikipedia).
[...] il soggetto ha lamentato che la generazione attuale del suo popolo (...)

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> FREUD, RICORDANDO-SI DI NAPOLI (E DEL SOGNO DI UNA NUOVA "POLIS"), COMINCIA A CAPIRE ---- "RACCONTI ANALITICI": IL RITORNO DI FREUD SCRITTORE (di Alberto Luchetti)..

lunedì 9 gennaio 2012

Il ritorno di Freud scrittore

Le storie cliniche del papà della psicoanalisi raccolte in un nuovo volume «Racconti analitici», pubblicato da Einaudi. Dove si evidenzia la rivoluzione estetica che aveva messo in crisi i canoni narrativi correnti del Novecento

di Albero Luchetti (l’Unità, 09.01.2012)

È forse noto che la prima delle pazienti grazie alle quali si costruì la psicoanalisi freudiana, la famosa «Anna O.», con un termine inglese definì talking cure, «cura parlata», quella strana terapia cui si stava sottoponendo centotrenta anni fa e che affidava alla «magia lenta» della parola la possibilità di liberare dagli affetti collegati ad eventi traumatici rimossi. Meno noto è forse il fatto che la psicoanalisi sia però nata, almeno nella stessa misura, come writing cure, come «cura scritta»: la scrittura fu infatti il vero e proprio «mezzo», nel senso biologico della sostanza o ambiente in cui avviene un fenomeno, in cui germogliò e poi fiorì la nuova disciplina. Freud scrisse instancabilmente giorno e notte: non solo le migliaia di pagine dei suoi numerosissimi saggi e libri, ma migliaia di lettere a colleghi, amici e familiari (oltre novecento solo alla fidanzata). La sua stessa «autoanalisi» procedette per iscritto, diligentemente annotando quasi ogni giorno i propri sogni, i propri lapsus e dimenticanze e le libere associazioni ad essi. Peraltro, già da adolescente Freud, accanito lettore, per un decennio aveva scritto lettere all’amico Silberstein con cui aveva fondato una scherzosa «Accademia spagnola» ispirandosi a Cervantes, e inoltre aveva composto racconti, poesie ed altri tipi di composizione.

LEGAME CON LA LETTERATURA

Fin dall’origine, questo stretto legame della psicoanalisi con la scrittura si articolò con un altrettanto forte legame con la letteratura, in cui Freud ritrovava intuizioni che brillantemente avevano anticipato scoperte che solo con fatica il metodo psicoanalitico riusciva a corroborare scientificamente. Da opere letterarie classiche (Shakespeare, Schiller, Goethe, Heine, per citare solo alcuni autori) sono tratte non solo le innumerevoli citazioni che accompagnano i testi scientifici freudiani, ma altresì quei personaggi che diverranno figure emblematiche della stessa teoria psicoanalitica: uno per tutti, Edipo. Cosicché è comprensibile che, come racconta l’aneddoto, un fisico abbia potuto definire la psicoanalisi come la più scientifica delle discipline umanistiche ed un letterato come la più umanistica delle scienze, e che la sua opera valse a Freud, se non il premio Nobel, almeno l’altrettanto ambito «premio Goethe».

Il nodo che unisce psicoanalisi, scrittura e letteratura peraltro non è affatto formale né estrinseco, bensì intimo e sostanziale, giacché la psicoanalisi mira a fare scienza proprio di quell’inconscio che nell’essere umano è alla base tanto del suo funzionamento psichico e corporeo quanto delle sue creazioni più astratte e sublimi. Inevitabile però che tutto ciò gli procurasse l’accusa di raccontare «favole» inizialmente mossagli dal grande psichiatra dell’epoca Emil Kräpelin, e periodicamente riproposta dal demolitore di turno, nonostante lo stesso Freud subito ammettesse onestamente la propria sorpresa ed imbarazzo per il fatto che le storie cliniche che riferiva si leggessero «come novelle». Quell’accusa e questo imbarazzo egli finì però col ribaltarli in una ricerca narrativa altrettanto innovativa dell’impresa scientifica che aveva intrapreso, come ci mostra efficacemente il volume Racconti analitici recentemente pubblicato da Einaudi, progettato e introdotto da Mario Lavagetto, che raccoglie la maggior parte delle storie cliniche freudiane, tutte in una nuova traduzione di Giovanna Agabio, con note di Anna Buia e illustrazioni di Lorenzo Mattotti.

La tesi del libro, indicata nella esauriente e avvincente introduzione di Mario Lavagetto, è illustrare come Freud si sia trovato «preterintenzionalmente in sintonia con gli esiti di quella rivoluzione estetica che aveva messo in crisi la possibilità di organizzare le storie in base al sistema della verosimiglianza, al gioco di cause ed effetti, all’alternarsi di aspettative, sorprese, riconoscimenti e scioglimenti». Il contrasto tra i paradigmi acquisiti con la sua formazione nella Vienna della seconda metà dell’Ottocento e la necessità di mettere a punto una nuova forma narrativa si trasferirà all’interno della forma di racconto utilizzata per i suoi casi clinici. Storie che, come giustamente nota Lavagetto, «sarà sempre meno possibile leggere “come novelle” o almeno come novelle conformi a un prototipo collaudato».

Non c’è dunque da stupirsi se alla fine Freud stesso si trovasse «davanti la propria opera come qualcosa di “indipendente, perfino di estraneo”», come parallelamente capita in fondo a ogni persona che si affidi alla psicoanalisi per scrivere o riscrivere la propria storia e cercare di ridisegnare la propria vita, allorché le riscopre come qualcosa di altro da sé, nella misura in cui rivelano l’alterità che abita la stessa possibilità di dire «io». E nemmeno meraviglia che la letteratura scaturita dalla rivoluzione estetica a lui contemporanea possa scorgere nell’opera di Freud un sintomo del progressivo e inesorabile dissolversi delle forme classiche della narrazione, riconoscendolo come uno dei padri del pensiero novecentesco non solo in quanto scienziato dell’apparato dell’anima dell’essere umano, ma anche come scrittore.


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