«Un no al governo»
I cattolici di base trainano le gerarchie
di Luca Kocci (il manifesto, 14 giugno 2011)
Ci sono molti cattolici in quel 57% di votanti che hanno consentito di raggiungere il quorum e vincere i referendum. Non decisivi come quando nel 2005, obbedendo agli ordini dell’allora presidente della Cei cardinale Ruini e alla militaresca mobilitazione per l’astensione delle associazioni ecclesiali, fecero fallire il referendum per abrogare la legge sulla procreazione assistita portando la percentuale delle astensioni al 74,1%, ma sicuramente sono stati importanti.
I vescovi non hanno remato contro, anzi più di qualcuno, da Morosini di Locri a Tettamanzi di Milano a Caprioli di Reggio Emilia, ha suggerito di andare a votare. Il papa stesso, correggendo la posizione vaticana favorevole «all’uso pacifico del nucleare» più volte espressa dall’ex presidente del Pontificio consiglio Giustizia e Pace cardinale Martino, alla vigilia del voto, ha tirato la volata al referendum invitando ad usare «energie pulite» non pericolose per l’uomo.
La grande maggioranza dei 189 settimanali diocesani, nonostante molti l’anno scorso avessero pubblicato l’opuscolo pronucleare Energia per il futuro (realizzato dalla concessionaria pubblicitaria di Radio Vaticana che, non a caso, annovera fra i suoi inserzionisti a pagamento l’Enel, in prima fila a fare il tifo per la riapertura delle centrali atomiche in Italia), si sono schierati per il Sì, così come diverse riviste cattoliche, da Famiglia Cristiana al mensile dei gesuiti Aggiornamenti sociali.
Sono scesi in campo i religiosi, dai domenicani ai francescani, i missionari, suore e preti di base, che il 9 giugno hanno chiuso la campagna elettorale digiunando in piazza San Pietro, guardati a vista dalla gendarmeria vaticana. E gran parte dei movimenti e delle associazioni laicali, con la solitaria eccezione dei privatizzatori incalliti e non pentiti di Comunione e Liberazione, hanno invitato i loro iscritti al voto - dall’Azione cattolica alle Acli fino agli scout dell’Agesci - o si sono impegnati direttamente nei comitati per il Sì, come Pax Christi, la Rete interdiocesana nuovi stili di vita e le Comunità di base.
Anzi sono stati proprio loro, religiosi, associazioni e gruppi di base, a trascinare le gerarchie ecclesiastiche, costringendole a rivedere le proprie posizioni e a schierarsi. «Il responso del referendum, e prima delle elezioni amministrative - legge il voto dei cattolici Giovanni Avena, direttore editoriale dell’agenzia di informazione Adista, espressione del mondo cattolico di base -, dice basta a Berlusconi e ricorda ai vescovi le loro responsabilità, e qualche volta complicità, nelle scelte politiche del governo, in cambio di privilegi non a vantaggio dei poveri ma a beneficio delle scuole cattoliche e degli enti ecclesiastici. Se la gerarchia saprà finalmente rinunciare a questo enorme piatto di lenticchie dovrà dire grazie al popolo del referendum».
L’agenzia ufficiale della Cei non si sofferma sui cattolici ma interpreta comunque il risultato come un nuovo «messaggio diretto al governo», perché «il quorum superato di slancio va ben al di là del merito dei quesiti» e apre «una fase di cambiamento».
Un voto politico insomma, che alla vigilia del referendum il quotidiano dei vescovi Avvenire invece negava. E voto politico anche per Famiglia Cristiana: «Un altro no al governo», titola l’edizione online del settimanale diretto da don Sciortino, che segnala che «c’è molto mondo cattolico nel raggiungimento del quorum».