Quello che la legge non potrà mai dare e dire
di Laura Colombo *
Comunicare il senso di una politica che mira alla creazione di libertà e non alla conquista dei diritti è spesso un’impresa difficile. Riconoscimento dei diritti e divenire della libertà sono due modi incommensurabili dell’azione politica, vale a dire non possiamo metterli direttamente in relazione tra loro, anche se hanno il medesimo intento: rendere più vivibile lo stesso mondo. Tuttavia c’è un primato della libertà sui diritti che non è temporale, bensì ontologico.
Pensiamo per esempio ai neri d’America: il Proclama di Emancipazione di Lincoln, che abolisce la schiavitù, è del 1863, ma la politica e la cultura restano ancora per molto tempo segregazioniste. Un secolo dopo sarà Rosa Parks ad accendere la rivolta dei neri, rifiutandosi di cedere il posto a un bianco sull’autobus. Stanca di arrendersi alle ingiustizie, indicherà la via senza ritorno della ribellione e della libertà.
Voglio dire che il problema sociale esiste, ma riguarda in grande misura la sfera interiore: se hai sempre avuto sotto gli occhi il modello della superiorità dei bianchi, non riesci a immaginare qualcosa di diverso. La sfida dell’azione politica che fa leva sulla libertà è proprio di immaginare qualcosa che non c’ è, creare ciò di cui hai bisogno (come diceva Carla Lonzi).
Altro esempio: fino a pochi decenni fa, le donne hanno avuto forti modelli di sottomissione all’uomo. Il femminismo degli Anni ’70 ha criticato l’ordine simbolico patriarcale e ha scelto di separarsi dai luoghi misti, per disegnare un ambito di autonomia femminile. Sappiamo che non si è trattato solo di una critica alla realtà data, è stato soprattutto la ricerca di nuove possibilità perché l’esperienza femminile autentica potesse trovare parole.
Leggendo il Diario di Carla Lonzi avvertiamo i dubbi, gli smarrimenti e le invenzioni che una donna deve affrontare quando nega l’identità femminile precostituita, il posto che gli uomini hanno previsto per le donne. Da questo rifiuto è nata la libertà che oggi si riflette in conquiste sociali stabili: puoi studiare, uscire di casa senza sposarti, viaggiare con le amiche, avere o no un figlio, amare chi vuoi, stare da sola, cose impensabili fino a pochi decenni fa. A livello legislativo, questa libertà è registrata, per esempio, nel nuovo diritto di famiglia del 1975, dove sparisce la figura del capofamiglia e si stabilisce che ogni decisione sulla coppia e i figli debba essere presa di comune accordo.
Si potrebbe pensare che una buona legge faccia il lavoro per me, che il legislatore, con lungimiranza, predisponga quello spazio in cui potrò agire la mia sconosciuta libertà. Ma la vera prima mossa è lo scatto interiore di consapevolezza, la messa a fuoco, insieme ad altre, dei miei bisogni.
Prendiamo la legge sui congedi parentali del 2000, che prevede permessi per la cura dei figli anche per il padre. Gli uomini, per lo più, non colgono questa occasione. Non c’è da stupirsene: solo quando riusciranno a fare una mossa interiore di libertà, capiranno di sé ciò che la legge non potrà mai dare e dire.
Le nostre schiavitù non finiranno a colpi di legge, sono vincoli che abitano la nostra mente. È da lì che devono cominciare a sparire.