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STORIA DELLA FILOSOFIA: NEW REALISM o, che è lo stesso, NEW IDEALISM. Dopo Marx, dopo Nietzsche, dopo Freud, e dopo Foucault ...

"NUOVO REALISMO", IN FILOSOFIA. DATO L’ ADDIO A KANT, MAURIZIO FERRARIS SI PROPONE COME IL SUPERFILOSOFO DELLA CONOSCENZA (QUELLA SENZA PIU’ FACOLTA’ DI GIUDIZIO). Una nota sul tema - di Federico La Sala

(...) in Europa come nel mondo, ciò che oggi si aggira sempre più forte è il programma di Kant (come di Marx e dello stesso Lenin), il coraggio di sapere e l’uscita dallo stato di minorità (...)
martedì 13 settembre 2011
[...] Ferraris aspira a proporsi - visto che "al posto di individui maturi s’avanzan strani bambocci: adulti mostruosi e mai cresciuti che prendono la vita come un grande gioco, una parodia dei trastulli dei più piccoli"
(Francesco Cataluccio) - come il teorico e il teologo dell’Immaturità di massa e ... del berluscattolicesimo aggressivo e galoppante? Boh?! E Bah?! "Con nostalgia e rispetto, ma anche senza nasconderne le debolezze, le macchinosità, i cetrioli e le Trabant", Goodbye (...)

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> A proposito della «querelle» tra pensiero debole e nuovo realismo in cui è stato coinvolto Umberto Eco: per risolvere la questione una via eccellente sarebbe rilanciare il vecchio Kant con il «volano» di McLuhan (di Renato Barilli)

giovedì 29 marzo 2012

Si può calcolare lo spessore della realtà?

A proposito della «querelle» tra pensiero debole e nuovo realismo in cui è stato coinvolto Umberto Eco: per risolvere la questione una via eccellente sarebbe rilanciare il vecchio Kant con il «volano» di McLuhan

di Renato Barilli (l’Unità, 29.03.2012)

È in atto da qualche tempo nel settore filosofico del nostro Paese una tenzone che vede l’un contro l’altro armato due «opposti estremismi», destinati, come succede in questi casi, ad elidersi reciprocamente e a far auspicare una soluzione intermedia che apparirebbe come la più saggia, e si legherebbe oltretutto a prestigiosi contesti storici che entrambi gli schieramenti sembrano aver dimenticato.

La querelle nasce in seno alla scuola del «pensiero debole» di Gianni Vattimo, da cui un suo allievo di ieri, Maurizio Ferraris, a un tratto si è chiamato fuori aderendo a un preteso «nuovo realismo» cui sarebbe approdato l’Umberto Eco nazionale, il quale accetta quel neofita, ma con qualche imbarazzo e replica avanzando molti «distinguo» e concludendo, come avviene nell’ultimo Alfabeta 2, con la formula di un realismo negativo.

VECCHIE SOLUZIONI IDEALISTE

Il capo d’accusa mosso dall’ex-allievo Ferraris a Vattimo è che nelle sue riflessioni resterebbero solo in campo delle «interpretazioni» da cui la realtà risulta intaccata, logorata, ridotta alla condizione di un gruviera pieno di buchi. In definitiva Vattimo non nega una versione del genere, anzi, in sostanza la conferma in un saggio recente, Della realtà (Garzanti), confermando anche la sua adesione a una linea di pensiero negativo, da Nietzsche a Heidegger. Ma questa è una strada che rassomiglia molto a vecchie e scontate soluzioni idealiste, il mondo non esiste in sé, siamo noi a farlo esistere con i nostri atti di coscienza. Contro questa soluzione già tante volte apparsa sul filo dei secoli, e altrettante volte contestata, ci sta bene l’ennesima protesta inalberata da Ferraris, che ora la affida a un Manifesto del nuovo realismo (Laterza), però a sua volta ha il torto di cadere nel cosiddetto realismo ingenuo, di chi dimentica che comunque siamo noi a vedere, a toccare, a fare congetture su questa ipotetica realtà. In definitiva, l’uno e l’altro sembrano dimenticare il grande padre Kant, usualmente posto all’inizio della nostra età contemporanea (attenzione, non la si chiami moderna, visto che questa etichetta deve restare assegnata al precedente pensiero razionalista-empirista).

Kant aveva posto in campo la perfetta e non superabile formula del giudizio sintetico a priori, un match alla pari, dove noi essere umani mettiamo in gioco la nostra sensibilità e le nostre categorie mentali con cui andiamo a plasmare l’altrimenti amorfa materia d’esperienza, la quale però deve esserci, fornire un ineliminabile supporto ai nostri interventi. Naturalmente molta acqua è passata sotto i ponti, e del resto la geniale soluzione kantiana soffriva di tanti limiti storici. Infatti egli conferiva al soggetto umano il vecchio apparato di forme e categorie risalenti alla geometria euclidea, al pensiero classico, e non teneva in alcun conto l’asse del mutare dei tempi e delle situazioni materiali e sociali.

Da qui l’ampia produzione dei «filosofi della crisi» di fine Ottocento, i pragmatisti, con Peirce e Dewey in testa, Bergson e Husserl e tanti altri, a loro volta in piena sintonia con le rivoluzioni di Freud e di Einstein. Di tutto questo, in reazione agli anni cupi della dittatura fascista, era stato buon erede presso di noi Antonio Banfi, pronto in definitiva a formulare una sorta di «pensiero debole» dell’epoca, cioè a mettere in moto le categorie, troppo rigide in Kant, proclamando che ogni tempo deve allontanare le ipotesi ormai invecchiate e rifarsi un guardaroba ben commisurato sui fatti da valutare. Da lui è venuto il fronte che nel dopoguerra ha provveduto a reintegrare l’Italia in un quadro di pensiero internazionale, partecipando alla nostra ricostruzione e aprendo anche il dialogo col marxismo. Mi riferisco a Enzo Paci, Giulio Preti, Luciano Anceschi...

Bei tempi, quelli, in cui lo stesso Eco, allora funzionario della Bompiani e in procinto di varare una enciclopedia della filosofia, poi non realizzata, mi scriveva che ci saremmo ispirati a Husserl e non a Heidegger, allora sospetto di un forse ingiusto fiancheggiamento del nazismo. Poi, Vattimo ha promosso un suo eccessivo sdoganamento, ereditando anche gli eccessi di nichilismo e terrorismo concettuale che ora gli vengono imputati dall’allievo ribelle.

Eco allora si collocava assai bene in quel quadro, ponendosi anche alla testa della neoavanguardia sul fronte letterario, e producendo quello che forse resta il suo miglior apporto saggistico, l’Opera aperta.

Dopo, ha provveduto anche lui ad assottigliare lo spessore della realtà attraverso l’impresa semiotica, in cui i segni, anzi, le loro due facce, significanti e significati, giocano di specchi e rimandi tra loro, mancando di andare ad ancorarsi, al termine della trafila, sulla realtà.

Nel suo articolo sopra menzionato Eco dimentica del tutto il grande sfondo del miglior pensiero del primo Novecento, come se fossimo nati solo ieri, o ieri altro, e nel tentativo di salvare capra e cavoli si rifugia in una formula compromissoria, proponendo un «realismo negativo», che in definitiva è un modo di avvicinarsi o rendere omaggio al compagno dei vecchi tempi, Vattimo, in fondo entrambi sono venuti fuori dal pensiero di uno spiritualista come Luigi Pareyson.

E dire che oggi ci sarebbe una via eccellente per rilanciare il vecchio Kant, si pensi alla formula centrale del McLuhan-pensiero, ricordata tante volte l’anno scorso per celebrarne il centenario dalla nascita, «il medium è il messaggio», al centro di tutto c’è il nesso, la connessione, che stringe in un nodo stretto, inscindibile, il soggetto e l’oggetto, senza che l’uno possa pretendere di cancellare l’altro.


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