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"PREFACE TO PLATO"(Eric A. Havelock, 1963): "CULTURA ORALE E CIVILTA’ DELLA SCRITTURA. Da Omero a Platone".

RILEGGERE HAVELOCK PER RICOMPRENDERE (ANCORA E MEGLIO) PLATONE - E NOI. Una sintesi (in pdf) del suo importante lavoro - di Federico La Sala

(...) un contributo essenziale a meglio comprendere la mutazione mentale (Vernant) che diede origine a quell’intellettualismo astratto che i Greci chiamarono filosofia (...)
lunedì 19 settembre 2011 di Federico La Sala
La "Repubblica" di Platone - un documento fondamentale nella storia della cultura europea, non il manifesto di un’improbabile società utopica, ma il momento decisivo nellal otta contro la tradizione e la cultura orale, e in sieme il programma di un’epoca e di un tempo futuro (quelli stessi della storia dell’occidente, poi) [...] I percorsi critici della filosofia e dell’antropologia culturale, come le lotte di liberazione dei popoli di tradizione orale sopravvissuti ai vari imperialismi (da ricordare gli stessi indiani di America) sono del tutto fuori dall’ottica etno-logocentrica del lavoro - pur prezioso - di Havelock).

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> RILEGGERE HAVELOCK PER RICOMPRENDERE (ANCORA E MEGLIO) PLATONE - E NOI. --- Il debito «scolpito». I primi banchieri? I sacerdoti babilonesi. Sulle tavolette nasce l’economia disumana (di Carlo Sini)

martedì 15 settembre 2015

il debito «scolpito»

I primi banchieri? i sacerdoti babilonesi

Sulle tavolette nasce l’economia disumana

di Carlo Sini (Corriere della Sera, 15.09.2015)

Per gli abitanti dell’Eurozona il problema del debito è quanto mai attuale. Recenti vicissitudini, per nulla concluse, ne hanno riproposto lo spessore, non soltanto economico, ma anche culturale e morale. Vale la pena allora di insistere sulla straordinaria antichità della questione, rievocando per sommi capi una vicenda vecchia di 5000 anni: quando per la prima volta il debito si collegò con la scrittura.

Lo scenario è quello della nascita dei primi grandi agglomerati urbani in Mesopotamia e della economia del palazzo e del tempio. Siamo in un mondo sacrale governato dal principio del dono. In particolare la terra da coltivare è un dono degli dèi, è il loro stesso corpo, e non può diventare proprietà di alcuno: proprietari sono gli dèi. I sacerdoti amministrano e assegnano parti della terra da coltivare alle famiglie contadine. Una parte del raccolto è destinata al sacrifico quotidiano: ringraziamento e promessa di fecondità futura. Il tutto si svolge nell’ambito di una cultura orale, la cui memoria è vaga e imprecisa.

Intorno al 3000 a.C., con il diffondersi della scrittura cuneiforme sulle tavolette, si mette in moto una svolta, che alla lunga sostituisce l’economia del dono con i primi fenomeni di un’economia fondata invece sullo scambio. I sacerdoti infatti registrano, con sempre maggiore precisione e dovizia di particolari, i debiti dei contadini, i quali ricevono dal tempio le derrate, gli strumenti e altri servizi e dovranno restituire, esattamente nel tempo registrato, quanto stabilito. Dovranno, come si dice, «onorare» il debito: formula ambigua, nella quale elementi sacrali e puramente economici si mescolano con notevole attrito.

Accadono allora due grandi fatti conseguenti. Anzitutto la regolamentazione introdotta dalla scrittura, cioè da veri e propri contratti, stimola enormemente la produzione e i sacerdoti divengono in breve depositari di numerosi beni e di grandi capitali in denaro. Nel contempo si diffondono sempre più casi di inadempienza dei termini dei contratti e di conseguenza intere famiglie contadine divengono schiave del tempio. La loro vita, i loro corpi, il loro lavoro sono stati catturati dalla scrittura.

Con la scrittura infatti prendono vita due mondi, prima inesistenti. Da un lato il mondo delle coordinate e delle vicende «pubbliche»: sono le verità garantite dalle scritture; esse resistono nel tempo e costituiscono la realtà comune di tutti. Dall’altro lato il mondo delle vicende personali, dei fatti «privati», degli affari miei o tuoi, che non interessano i contratti e le scritture. I comuni casi della vita possono essere intervenuti con disgrazie, malattie, carestie e altre sventure, ma questo non autorizza nessuno a disattendere gli impegni scritti. Né i sacerdoti, fattisi funzionari, potrebbero esentare il debitore, anche se lo desiderassero. L’economia generale però, dopo essersi enormemente accresciuta, ora soffre per i minori frutti di un lavoro servile. Nasce la consuetudine della «rottura delle tavolette» che registrano i debiti dei contadini, in occasione di ogni elezione di un nuovo sovrano. Ma i sacerdoti inventano nuove tavolette, con una specifica scrittura che le dichiara esenti dalla distruzione. Il sovrano alla fine si adegua, niente più remissione dei debiti e il cerchio si chiude.

Il fatto ultimo della scrittura prende il sopravvento; esso, come accadrà anche ad Atene e a Roma, garantisce una legge uguale per tutti, ma questa uguaglianza formale porta con sé una componente disumana: uguali di fronte alla legge, i cittadini sono nel contempo abbandonati a loro stessi. Le loro vite private, cioè prive di verità pubblica e di storia, sono di fatto private della appartenenza concreta alla comunità originaria.

Le scritture, i contratti, gli interessi del capitale fagocitano il lavoro vivente, le energie, le fatiche quotidiane, gli sforzi creativi, la salute. Tutto questo universo scompare dal conto. Resta solo ciò che recita lo scritto (e oggi ciò che mostrano i video). Il resto non esiste. I sacerdoti babilonesi prefigurarono, disse Odoardo Bulgarelli, i primi banchieri della storia. Forse sarebbe un bene se i banchieri odierni recuperassero un po’ della saggezza orale dei sacerdoti delle origini.


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