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CEDIMENTO STRUTTURALE DEL CATTOLICESIMO-ROMANO. Papa e Vescovi, tutta la Gerarchia della Chiesa "cattolico-romana" senza più la Parola evangelica!!!

SILENZIO DEI TEOLOGI E MEMORIA DEL PROFETA GIOELE: RIPRENDERE LA PAROLA. Un appello di preti e religiosi alle teologhe e ai teologi. Una nota di Luca Kocci e il testo della lettera - a c. di Federico La Sala

"DOVE STAI"?! AI TEOLOGI E ALLE TEOLOGHE chiedono di riprendere la parola e li invitano il prossimo 20 gennaio (dalle 17.30) alla Comunità delle Piagge di Firenze, per un «incontro aperto»
giovedì 19 gennaio 2012 di Federico La Sala
[...] è compito della teologia e dei teologi «fare sogni» incarnati nella realtà e «diventare profeti» nel nostro tempo. Lo dicono, con forza e passione, in una “lettera aperta” a tutti i teologi e le teologhe italiane, alcuni parroci, preti e religiosi:
Alessandro Santoro (prete della Comunità delle Piagge di Firenze), la teologa domenicana Antonietta Potente, Andrea Bigalli (prete di S. Andrea in Percussina, Firenze), Pasquale Gentili (parroco di Sorrivoli, Cesena), Benito (...)

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> RIPRENDERE LA PAROLA. ---- Joseph Moingt, l’appello pressante di un teologo (di Claire Lesegretain)

giovedì 19 gennaio 2012

Joseph Moingt, l’appello pressante di un teologo

di Claire Lesegretain

in “La Croix” del 14 gennaio 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)

Con le debite proporzioni, il successo incontrato dall’ultimo libro di Joseph Moingt assomiglia a quello del famoso Indignatevi! di Stéphane Hessel. In entrambi i casi, si tratta di un vecchio signore che non ha più nulla da temere né da dimostrare e che può permettersi, con la legittimità che gli conferiscono i decenni di lavoro e di impegno coraggioso, di dire a voce alta ciò che molti pensano soltanto o dicono a bassa voce. Tuttavia, questo gesuita di 96 anni intende dire non tanto Indignatevi! quanto Restate! ai suoi lettori, talvolta tentati di lasciare la Chiesa.

Di Croire quand même, pubblicato alla fine del 2010 (1) sono state vendute più di 8000 copie ed è in corso la seconda edizione. “Ho ricevuto molte lettere di ringraziamento da laici e da preti, ma curiosamente nessuna eco dall’episcopato”, dice divertito padre Moingt socchiudendo i maliziosi occhi azzurri. I lettori “sentono confusamente che l’opzione scelta da Roma di un ritorno al passato non è il modo migliore di preparare il futuro del cristianesimo. Dopo avermi letto, si dicono fortificati nella loro fede e incoraggiati a restare nella Chiesa.” Da un anno, Croire quand même suscita anche molti gruppi di lettura in tutta la Francia ed è motivo di molti inviti per conferenze.

Un sabato, eccolo con la sua figura minuta all’abbazia di Saint-Jacut-de-la-Mer (Côtes-d’Armor) per una giornata aperta al grande pubblico. Davanti a 150 persone, la maggior parte coi capelli grigi, comincia a ripercorrere il suo lavoro di teologo, segnato dai “due grandi choc”, quello del Vaticano II e quello del Maggio ’68. “Da allora i teologi non si rivolgono più solo a futuri preti, ma sono convocati tra i fedeli per far luce sui loro problemi”, sottolinea, prima di esporre la sua analisi della crisi della Chiesa. Una crisi che, secondo lui, è “la più grave” che il cristianesimo abbia conosciuto da due millenni, perché si tratta di una crisi di civiltà.

“Il nostro mondo è sul punto di rifiutare Dio”, riassume, citando Dietrich Bonhoeffer che, prima di morire nella prigione nazista, percepiva che il mondo “si stava liberando dell’idea di Dio”. Ed è attraverso questa griglia di lettura che Moingt parla della “primavera araba”, segno non della “distruzione dell’islam, ma della disgregazione di uno spazio sociale che era stato cementato dalla legge religiosa”. Perché, ricorda, “la volontà di Dio è che l’uomo si liberi dai suoi legacci, compresi quelli posti in nome di Dio”, Padre Moingt non sfugge alle domande che vengono poste, perché sono anche le sue domande. Con pedagogia, permette ai suoi interlocutori di beneficiare della sua visione storica sul lungo periodo per relativizzare le tensioni attuali all’interno della Chiesa.

Alcune settimane più tardi, nella sua camera-ufficio di rue Monsieur, nel 7° arrondissement di Parigi, prosegue le sue riflessioni sul futuro della Chiesa. “Temo fortemente che un numero crescente di fedeli voglia solo delle risposte con un sì o con un no e non riescano ad entrare nelle sottigliezze teologiche”, riassume. Come esprimere l’umanità di Cristo se è nato da una donna vergine? Come spiegare la Trinità? Come parlare della Rivelazione, dell’Incarnazione, della Redenzione se si considera che i testi dell’Antico Testamento sono solo racconti inventati? Come pronunciare ad ogni Eucaristia: “Questo è il mio corpo”, se si tratta di una metafora? Su che cosa fondare il sacerdozio, mentre nessuno degli Apostoli è stato fatto prete o vescovo da Gesù?... Sono tutte domande complesse che richiedono effettivamente delle risposte approfondite e che occupano la mente del teologo da più di sessant’anni.

Aveva 23 anni, alla fine del 1938, quando è entrato nella Compagnia di Gesù. Non avendo avuto il tempo, prima della mobilitazione, di terminare i dodici mesi di noviziato, dovrà rifare un anno completo a Laval (Mayenne) nel grande noviziato dell’epoca.

Durante la guerra, l’apprendista gesuita è prigioniero in diversi “stalags” per sottufficiali che si rifiutano di lavorare per il III Reich. Riesce ad evadere da un campo in Svevia, viene poi inviato a Kobierczyn, vicino a Cracovia, poi in un altro campo da cui sarà liberato nel 1945 dall’esercito del generale Patton... Ma improvvisamente Padre Moingt interrompe il racconto dei ricordi: “Non ho l’abitudine di dilungarmi sulla mia biografia, non interessa a nessuno”, sorride con quellagentilezza divertita che lo caratterizza. Prima di aggiungere che, “dal ritorno dalla prigionia, per principio non ritorno sul passato.”

Riusciremo solo a sapere che dopo due anni di filosofia a Villefranche-sur-Saône. poi quattro di teologia a Fourvière, sulla collina lionese dove la Compagna di Gesù aveva la facoltà fino al 1974, è stato nominato professore di teologia. Viene allora mandato alla Cattolica di Parigi a preparare una tesi su “La teologia trinitaria in Tertulliano”, che sostiene, tre anni dopo, sotto la direzione del gesuita e futuro cardinale Jean Daniélou. “Tra i gesuiti di quell’epoca, sono stato segnato soprattutto da Henri de Lubac che insegnava alla Cattolica di Lione e con cui ho lavorato su Clemente d’Alessandria”, precisa, prima di aggiungere a questa lista di grandi figure i nomi di Gaston Fessard, Henri Bouillard, Xavier Léon-Dufour e Donatien Mollat...

Dopo dodici anni di insegnamento a Fourvière, padre Moingt chiede un anno sabbatico nella Parigi sessantottina, per “mettersi al corrente nelle novità in teologia, filosofia e scienze umane”. Ma la Cattolica di Parigi, che inizia nel 1969 il suo Ciclo C, un corso serale di formazione per laici, gli dà l’incarico di insegnare cristologia. Insegna anche al Centro Sèvres a partire dal 1974, e a Chantilly (Oise), tradizionale luogo di formazione della Compagnia di Gesù. Questo gli permette di affermare che “tutti i gesuiti entrati nella Compagna dopo il 1960 e anche molti vescovi attuali” sono passati tra le sue mani. Negli stessi anni, padre Moingt prende la direzione della prestigiosa rivista Recherche de science religieuse (RSR), che ha festeggiato i suoi cento anni nel 2010. A partire dal 1980, lasciata la Cattolica per la pensione a 65 anni, il gesuita continua ad insegnare al Centro Sèvres e prosegue le sue ricerche teologiche e la pubblicazione di importanti opere.

“Ne ho un’altra in cantiere, ma non sarà un libro per il grande pubblico”, precisa, sapendo che non avrà il tempo per volgarizzare il suo lavoro: “Se ne incaricheranno altri dopo la mia morte!”.

Oggi resta in rapporto con le “comunità di base” che ha frequentato, sia nell’ambito del catecumenato sia durante le sue esperienze parrocchiali a Châtenay-Malabry (Hauts-de-Seine) per dodici anni, poi a Poissy (Yvelines) e a Sarcelles (Val-d’Oise) rispettivamente per tre anni. Si tratta di “laici che frequentano l’Eucaristia ma che hanno bisogno di ritrovarsi al di fuori della loro parrocchia per condividere il Vangelo o delle riletture di vita”; laici sempre più preparati che “sentono che essere cristiani non è altro che essere uomini, e che prendono la responsabilità del loro essere-cristiani assumendo la responsabilità del destino dell’umanità”.

Perché, per Joseph Moingt, non è focalizzandosi sull’istituzione ecclesiale che si potrà realizzare una riforma radicale del cattolicesimo, ma tornando al Vangelo. “C’è urgenza di ripensare tutta la fede cristiana per dire ’Gesù Cristo vero Dio e vero uomo’ nel linguaggio di oggi e in continuità con la Tradizione”, ripete basandosi sulla sua immensa cultura teologica e biblica per confermare che la Chiesa non potrà più cavarsela con risposte dogmatiche e che occorre che al suo interno dei teologi “facciano cose nuove senza essere minacciati di scomunica”. Per quanto lo riguarda, la sua prudenza non è mai stata motivata dalla paura di una sanzione ecclesiale, ma piuttosto dal desiderio di scrivere conformemente alla sua fede. E poi, “alla mia età, non si rischia granché!”.

(1) Joseph Moingt, Croire quand même, Libres entretiens sur le présent et le futur du catholicisme, con Karim Mahmoud-Vintam e Lucienne Gouguenheim, Éd. Temps Présent, coll. « Semeurs d’avenir »


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