La grande obbedienza della fede
di Jacques Noyer, vescovo emerito di Amiens
in “www.temoignagechretien.fr” del 22 aprile 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)
Troppo spesso si parla dell’atto di fede come di un abbassarsi: accettare di non comprendere, di non giudicare, accettare la superiorità di Dio o l’autorità della Chiesa. L’obbedienza della fede sarebbe quindi una rinuncia. I nostri contemporanei rifiutano per lo più questo atteggiamento da pecoroni, anche se, in altri ambiti, il “gregarismo” pone loro meno problemi...
La Bibbia ci parla di un Dio che dice di chiamarsi “Io sono, io esisto”. Nel capitolo 8 di Giovanni, Gesù ci dice: “Credete che Io sono.” Seguirlo, non è chiudere gli occhi. Seguirlo, è svegliarsi alla sua parola, uscire dalla tomba, decidere, assumere le proprie responsabilità, dire a nostra volta: “Io sono.”
La tradizione spirituale ha spesso sviluppato questo “risveglio” con parole brevi: il Fiat di Maria, l’Amen dei sacramenti, l’adsum dell’ordinazione, il Sì di Cristo. Tutte queste risposte ci mettono in piedi. A volte si è visto in esse della rassegnazione. Al contrario, è una mobilitazione del nostro essere. “Ci sono! Assumo la missione! Si può contare su di me.” Come per l’adolescente rannicchiato al calduccio, ci vuole una voce, una luce, un richiamo, per farci uscire dalla nostra sonnolenza. Per esistere, per vivere, abbiamo bisogno di un’urgenza, di un compito che non possiamo lasciare ad altri.
Certo, questo grido di fede sempre personale può unirsi ad altri in un “noi esistiamo”. La Chiesa è questo “noi ci siamo” che riunisce i credenti. Ma la storia ha mostrato la possibile deriva di una Chiesa in cui alcuni decidono del credere degli altri. L’obbedienza diventa una virtù passiva, un rifiuto di essere, una preoccupazione di non farsi notare. Non possiamo credere che sia a questa obbedienza che Benedetto XVI ha invitato i preti “disobbedienti” dell’Austria e di altri paesi. Se la Chiesa non accoglie più le indignazioni, le urgenze, le invenzioni che i suoi membri fanno sentire come grida di fede, allora è solo un’istituzione morta.
Gli apostoli hanno inteso la Resurrezione come un appello a prolungare la presenza di Gesù, a mobilitarsi per il suo progetto ad inventare le azioni necessarie per annunciare il Vangelo. La Chiesa ha avuto per molto tempo delle audace per le quali non ha chiesto permessi a Gesù. Perché dovrebbe “immobilizzarsi” oggi?
Come ogni gruppo umano, la Chiesa ha bisogno di una disciplina per evitare la presa di potere da parte di alcuni, per organizzare la diversità di queste grida, per assicurare la comunione nello stesso Vangelo. Ma non è lì che si situa la Grande Obbedienza della Fede. Dire “Sì” a questo Padre che ci autorizza ad essere a sua immagine, seguire il Figlio assumendo con lui la responsabilità del Regno, condividere lo Spirito che dà a tutti il diritto di essere e la libertà di inventare il futuro degli uomini, ecco la Grande Obbedienza.
Possa il “Padre Nostro” risuonare come una generosa risposta a colui che ci ha fatti figli eredi: il suo Nome è il nostro Nome, il suo Regno è il nostro Regno, i suoi obiettivi sono i nostri obiettivi. Sì, Padre, siamo i tuoi uomini!