Apprendistato
A lezione dal professor Bassani
che si calava dalla grondaia
A un secolo dalla nascita dell’autore ferrarese, il ricordo appassionato di un allievo che è diventato a sua volta scrittore
di GIORGIO PRESSBURGER *
Nel centenario della nascita del professor Bassani - come lo chiamo io, perché per tre anni è stato mio professore di Storia del Teatro all’Accademia nazionale d’Arte drammatica di Roma - si parla di lui, fortunatamente parecchio. Per anni la sua figura è stata un po’ taciuta se non proprio ignorata, forse a causa della polemica del Gruppo 63 a cui era fortemente e ingiustamente invisa.
Sul finire degli anni ’50 ci vedevamo due volte la settimana nel villino di piazza della Croce Rossa a Roma, sede dell’Accademia, per le lezioni dei cinque sei allievi registi. I corsi duravano tre anni e il professor Bassani li dedicò allo studio di tre grandi autori di Teatro francesi, uno per anno: Corneille, Molière e Racine.
Tra i miei compagni c’erano Mario Missiroli, Giuliana Berlinguer, Paolo Giuranna, Walter Pagliaro, Giuseppe Rocca e altri meno noti. Molte lezioni cominciavano al bar di fronte al villino: il professore ci offriva un caffè e chiacchierava con noi dei fatti quotidiani, dei nostri problemi, e a volte dei suoi.
Mi ricordo che una volta ci intrattenne per tutta l’ora della lezione sul problema degli scrittori che spesso devono fare una scelta su come andare avanti nella loro opera di narrazione. Ci raccontò come il trovarsi di fronte a continue scelte e decisioni fosse un vero tormento per l’autore, tormento che a volte per mesi e mesi lo accompagnava per strada, in casa, in compagnia di amici, a teatro o al cinema. Ma quei tormenti non li ha mai riversati su noi, anzi più era in balia di essi, più ci trattava con giovialità, scherzando, chiedendo i nostri dati per gli oroscopi, cercando di indovinare i nostri caratteri, consigliandoci per la strada da prendere in futuro.
Al primo anno ci tenne una serie di lezioni molto lunga su un dramma di Corneille: L’illusion comique. Ci mostrò come il tema di quell’opera avesse attraversato tutta la drammaturgia occidentale: come dai greci fino ad oggi, il teatro narrasse l’illusione dell’uomo sulla conoscenza della realtà, la sua caduta di inganno in inganno, di errore in errore e come tutta la magia dell’arte non fosse altro che la rappresentazione della inanità (l’inconsistenza) del tutto. Questo tema, in quegli anni, stava per prendere un posto centrale nella cultura mondiale, con l’affermarsi della grande narrativa sudamericana, del barocco rivissuto oggi, della liquidazione del realismo.
Il professor Bassani aveva una grande predilezione per il filosofo-sociologo marxista Lucien Goldmann, romeno trapiantato a Parigi. In ogni lezione spuntava il suo nome, specialmente a proposito di Racine, e del gruppo dei Giansenisti ritirati a Port Royal, per discutere sulla predestinazione, cioè sulla grazia divina che può provenire solo da Dio stesso, non dalle nostre azioni. Il Dio nascosto, Le Dieu cachè, teoria di Goldmann a proposito di Racine e dei suoi compagni, era sempre menzionato, ed è rimasto nella mente degli allievi.
Come sono rimasti nella mente le letture del professore durante ogni lezione, mezz’ora di declamazione in francese con grande patos, una sorta di declamazione. Al termine della nostra ora, Bassani chiudeva il libro con uno schiocco fragoroso, e, tornando a balbettare come accadeva mentre parlava in italiano, esclamava: Fo-ormidabile! Fo-ormidabile! Poi si congedava sorridendo.
Un giorno l’anziana «ispettrice» venne in classe ad annunciare, in stato di choc, che il professor Bassani non poteva fare lezione perché era stato avvelenato. Effettivamente su un volo Milano-Roma di quel giorno, il pranzo (allora previsto da certe compagnie aeree) era stato servito già avariato e alcuni passeggeri ne erano rimaste vittime. Mi pare che uno di loro fosse anche morto. Quell’avvenimento fu spesso ricordato da tutti noi, come lo fu la sua presunta fuga da casa per venire a fare lezione, gravemente febbricitante a causa di un’influenza (forse la famosa «asiatica»). In quell’occasione si sarebbe calato lungo la grondaia, giacché si diceva che l’avessero chiuso in casa.
Ci sarebbe ancora molto da raccontare di quei tre anni. Ma di lui come professore non ho più sentito parlare nessuno. Quello che posso dire è, che è stato il miglior insegnante che io avessi mai avuto, durante i miei Lehresjahren (Goethe), cioè anni di apprendistato.
* Corriere della Sera, 30.07.2016 (senza foto).