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CHI INSEGNA A CHI CHE COSA COME?! QUESTIONE PEDAGOGICA E FILOSOFICA, TEOLOGICA E POLITICA

INSEGNAMENTO E COSTITUZIONE: "CHI INSEGNA AI MAESTRI E ALLE MAESTRE A INSEGNARE?"! Una nota - di Federico La Sala

Una ’risposta’ e un omaggio a una ragazza napoletana frequentante la classe prima della scuola media, incontrata a Certaldo, in occasione del “Premio Nazionale di Filosofia” (VI Edizione, 20.05.2012), che ha posto la domanda
venerdì 14 settembre 2012
SONNAMBULISMO STATO DI MINORITA’ E FILOSOFIA COME RIMOZIONE DELLA FACOLTA’ DI GIUDIZIO. Una ’lezione’ di un Enrico Berti, che non ha ancora il coraggio di dire ai nostri giovani che sono cittadini sovrani. Una sua riflessione
KANT E SAN PAOLO. COME IL BUON GIUDIZIO ("SECUNDA PETRI") VIENE (E VENNE) RIDOTTO IN STATO DI MINORITA’ DAL GIUDIZIO FALSO E BUGIARDO ("SECUNDA PAULI").
FOTO ACCANTO AL TITOLO: GIOVANNI BOCCACCIO.
CERTALDO: PREMIO NAZIONALE DI FILOSOFIA (VI EDIZIONE - LE FIGURE DEL (...)

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> INSEGNAMENTO E COSTITUZIONE: "CHI INSEGNA A INSEGNARE?"! --- SCUOLA DELLA FANTASIA ED EDUCAZIONE INCIDENTALE. Colin Ward, manifesto per un’educazione felicemente anarchica (di Matteo Moca).

sabato 7 marzo 2020

Colin Ward, manifesto per un’educazione felicemente anarchica

di Matteo Moca (Alfabeta-2, 24 GIUGNO 2018)

      • Colin Ward, L’educazione incidentale, Eleuthera, pp. 256, euro 17

Se la famiglia e la scuola sono da sempre considerati come gli ambienti dove in maniera più naturale e compiuta i bambini possono ricevere un’educazione e crescere positivamente, da tempo certi indirizzi pedagogici sembrano tendere verso un’altra strada, quella che vede nell’educazione diffusa in tutti gli spazi, soprattutto quelli della città, un’occasione irripetibile di confronto e crescita.

Si tratta di quello che viene chiamato solitamente un sistema formativo integrato e di cui, seppur senza dargli questo nome, parla anche Gianni Rodari nella sua Scuola della fantasia, quando scrive che «quello che i bambini imparano a scuola rappresenta la centesima parte di quello che imparano dai genitori, dai parenti, dagli amici, dall’ambiente fisico e sociale in cui crescono, dalle strade, dalla televisione, dai giochi, dagli oggetti, da tutto e da tutti» e insiste sul necessario abbandono degli schemi precostituiti perché «un bambino, ogni bambino bisognerebbe accettarlo come un fatto nuovo, con il quale il mondo ricomincia ogni volta da capo».

Colin Ward, nei saggi che compongono il nuovo volume edito da Eleuthera, L’educazione incidentale, prosegue con grande forza teorica e pratica in questa direzione, analizzando come gli spazi altri custodiscano luoghi di relazioni vitali e di sperimentazioni uniche, in quanto, come scrive Francesco Codello nella sua ricca e approfondita Introduzione, «per Ward ogni angolo della città è un’aula scolastica, ogni occasione è propizia a stimolare l’autonomia e la partecipazione diretta alla vita sociale». Quest’ultimo aspetto, relativo all’educazione come partecipazione alla vita sociale, risulta fondamentale: in un libro molto prezioso, Brainframes. Mente, tecnologia, mercato, edito da Baskerville, il sociologo Dennis De Kerckhove, scrive di come la crescita e l’educazione si arricchiscano con la partecipazione alla vita della città, perché essa «richiede tra i suoi appartenenti l’accordo sui tempi, sui valori, sulle norme di comportamento pubblico», costruendo solo così una «repubblica-città» basata sulla sintonia e la socialità.

L’educazione incidentale mette insieme dunque alcuni tra i momenti di riflessioni più importanti di Ward sull’educazione; ogni parte del libro è arricchita da una preziosa appendice di Codello che permette di situare il testo all’interno dell’opera di Ward, dà l’opportunità di approfondire gli argomenti trattati e riflette amaramente sulla situazione attuale.
-  L’aggettivo «incidentale» specifica il carattere più profondo di questi saggi - un’idea debitrice di quella formulata da Paul Goodman, altro grande educatore, sociologo e scrittore, tra i massimi e più onesti conoscitori della Gioventù assurda - che vedono Ward ribaltare la prospettiva comune che individua nella scuola e nella famiglia gli unici luoghi deputati all’educazione: «La scuola è diventata uno degli strumenti con cui gli adolescenti vengono esclusi dalle responsabilità e dalle attività reali nella vita come nella società» scrive Ward. I luoghi dove è possibile dunque imparare e crescere in comunità sono, secondo le parole dell’introduzione di Codello, «le strade della città, i prati e i boschi della campagna, gli spazi deputati al gioco (più o meno strutturato), gli scuolabus e i bagni delle scuole, i negozi e le botteghe artigiane, [che] non solo offrono opportunità straordinarie per un’educazione informale, ma sono luoghi vivi che si rivelano vitali per imparare».

I contributi raccolti sono, come si sarà inteso, variegati e toccano molte problematiche legate al mondo dell’educazione nonché molti luoghi della città. È sufficiente anche solo scorrere i titoli di alcuni di questi saggi per notare la molteplicità delle questioni, per esempio Un programma scolastico più rurale, dove viene posto un interrogativo ineludibile: «la scuola è una sorta di apprendistato obbligatorio alla vita, ma a che tipo di vita?», La libertà della strada, in cui invece Ward denuncia una società basata sulla mania per la sicurezza, sulle paure del diverso e dello sconosciuto (nell’Appendice Codello confronta questi ragionamenti con i divieti odierni dei bambini di tornare a casa da soli dopo scuola, mettendo in luce una continua privazione di autonomia) o La città come risorsa, saggio in cui sono racchiusi molti motivi ricorrenti della visione della città di Ward, come l’esplorazione dei luoghi urbani, la socialità e gli spazi di esperienza democratica. Uno dei testi è dedicato persino allo scuolabus come luogo di cultura, analizzando il tempo che i bambini passano sul mezzo per raggiungere la scuola, importante perché si tratta di un momento dove la vigilanza degli adulti è assente, e quindi possono sorgere in maniera spontanea questioni e atteggiamenti che da una parte replicano quelli che vedono a casa dai loro genitori e dall’altra invece vivono di una naturalezza e originalità altrimenti difficile.

In un’epoca dominata dai meccanismi gonfi e scricchiolanti dell’unificazione del pensiero e dell’individualismo sfrenato, il pensiero anarchico di Colin Ward brilla come una stella isolata e necessaria: non si tratta di evocare momenti di manifestazioni aggressive o proteste violente, non è questo l’anarchismo per Ward (e prova ne è l’essenziale e indispensabile L’anarchia. Un approccio essenziale, sempre edito da Eleuthera), quanto provare a rifondare il proprio pensiero su ideali libertari, egualitari e solidali, che ritrovano solo in un ideale generoso ed utopico la loro natura più intima, con la ferma e inequivocabile convinzione che, come scriveva pure don Milani, «uscirne da soli è egoismo, uscirne tutti insieme è la politica». Lo scenario in cui l’uomo deve ritrovare il suo movimento è per Ward quello della città, con l’abitazione di tutti i suoi spazi e la spinta alla costruzione di una onesta comunità.


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