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Lettere

Davanti alla legge (1914) - di Franz Kafka

sabato 15 aprile 2006 di Vincenzo Tiano
Davanti alla legge sta un guardiano. Un uomo di campagna viene da questo guardiano e gli chiede il permesso di accedere alla legge. Ma il guardiano gli risponde che per il momento non glielo può consentire.
L’uomo dopo aver riflettuto chiede se più tardi gli sarà possibile. «Può darsi,» dice il guardiano, «ma adesso no». Poiché la porta di ingresso alla legge è aperta come sempre e il guardiano si scosta un po’, l’uomo si china per dare, dalla porta, un’occhiata nell’interno.
Il (...)

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> Davanti alla legge (1914) - Milena Jesenska. Una grande giornalista nota ormai solo come amica di Kafka

domenica 22 luglio 2018

Milena Jesenská

Una grande giornalista nota ormai solo come amica di Kafka

di Giorgio Fontana (Il Sole-24 Ore, Domenica, 22.07.2018)

      • Milena Jesenská, Qui non può trovarmi nessuno, Giometti&Antonello, Macerata, pagg.252, €24

Milena Jesenská è conosciuta soprattutto per la sua relazione epistolare con Franz Kafka, e per essere stata la sua prima traduttrice: nel 1920 pubblicò Il fochista in ceco presso il settimanale «Kmen». Ma questa veste ancillare le sta stretta: anche prima di conoscere Kafka era una figura nota del panorama culturale praghese di inizio Novecento; poco più tardi sarebbe diventata una brava scrittrice di feuilleton e una reporter di grande spessore.

A colmare il vuoto pensa Qui non può trovarmi nessuno, edito da Giometti&Antonello nella traduzione di Donetalla Frediani - dal tedesco e non dal ceco: scelta curiosa, ma giustificata dall’eleganza della resa. Nel volume, curato da Dorothea Rein, compare una selezione degli scritti di Jesenská, ordinati cronologicamente e con otto lettere a Max Brod su Kafka in appendice.

Leggiamo per primi i bozzetti su Vienna, città in cui la scrittrice visse con il marito ma dove si sentì assai infelice. Sono scene di vita quotidiana: i mercati neri degli operai, la miseria del dopoguerra e i bagordi dei bohémien, con un gusto particolare per gli spaccati dei sobborghi. Un esempio: «lo spettacolo che si offre ai vostri occhi allorché vi avvicinate alla stazione di una grande città, le facciate posteriori delle case incollate l’una all’altra, le cucine e i pianerottoli illuminati da una luce grigio-giallastra, la biancheria stesa alle ringhiere dei ballatoi dove sono i servizi - immaginate una sera d’agosto nella città deserta, infocata, una giostra dei sobborghi, col suo organetto di Barberia, le sue perle, i suoi diamanti blu e i suoi cavallini di legno». Degli uomini che abitano queste zone Jesenská conosce la dignità come la stortura. Sa che la miseria partorisce i difetti più tremendi, e che «la fame non spinge l’uomo verso una scodella piena, ma alla folle dissipazione». Riconosce il cinismo dei mendicanti, la loro capacità di trasformare la sofferenza in pubblicità, e la compara al nudo dolore di una madre dal figlio morto, che non chiede nulla e provoca la fuga della scrittrice - «quasi fossi io a dovermi salvare».

Molto interessanti sono anche gli scritti sul cinema, dove Jesenská recensisce alcune pellicole dell’epoca (Chaplin, von Stroheim, Lubitsch, Stiller), e naturalmente il breve e stupendo ricordo di Kafka, apparso pochi giorni dopo la sua morte. Ma a rivelare la reale caratura dell’autrice sono i lunghi reportage commissionati dalla testata «Pítomnost» nel difficile periodo 1937-1939: testi sulla condizione degli emigrati tedeschi in Repubblica Ceca e sull’emarginazione dei neri a Vienna, dove si impedisce loro di lavorare e gli si confisca ogni bene (un «linciaggio compiuto all’ombra della legalità»); e in particolare gli straordinari dispacci sull’annessione dei Sudeti da parte del Reich. Qui vediamo davvero la Storia in presa diretta: ma l’occhio di Jesenská ne coglie soprattutto le ricadute sulla quotidianità, come il rifiuto da parte di due bambine di salutare con «Sieg Heil», e la punizione che ne segue.

Jesenská cercò a lungo, nella parola come nella vita, un luogo «in cui nessuno potesse trovarla». Non vi riuscì. Nel 1940 fu rinchiusa nel campo di concentramento di Ravensbrück, dove morì quattro anni dopo; ma fino all’ultimo conservò la sua lucidità di pensiero e la sua resistenza alle compromissioni. Ulteriori buone ragioni per rileggerla oggi.


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