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ITALIA: STORIA E POLITICA (1513-2013). MACHIAVELLI CONTRO OGNI TIRANNIA E CONTRO OGNI POPULISMO: C’E’ CAPO E "CAPO" E STATO E "STATO"!!!

LA QUESTIONE DELLO STATO: "IL PRINCIPE" O MEGLIO "DE PRINCIPATIBUS" (1513). UN OMAGGIO A NICCOLO’ MACHIAVELLI. Una nota di Sergio Romano - con un saggio (pdf) di Federico La Sala

Lascio al lettore decidere se fra l’epoca di Machiavelli e la nostra corra qualche analogia. Mi limito a osservare che questo Stato apparentemente unitario è un mosaico di lobby, corporazioni, patriottismi municipali, irresponsabilità regionali e sodalizi più o meno criminali (...)
mercoledì 23 gennaio 2013 di Federico La Sala
[...] Credo che la chiave di cui il lettore ha bisogno per orientarsi fra tante interpretazioni di Machiavelli sia nascosta nella sua vita. Il Principe è il risultato delle esperienze che l’autore aveva fatto negli anni fra il 1498 e il 1512 quando era stato cancelliere e segretario dei Dieci di Libertà, l’organo che nella Repubblica fiorentina era contemporaneamente ministero degli Interni, degli Esteri e della Guerra. Aveva viaggiato in Italia e in Europa, aveva frequentato le corti (...)

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> LA QUESTIONE DELLO STATO: "IL PRINCIPE" O MEGLIO "DE PRINCIPATIBUS" (1513). --- LE ISTORIE FIORENTINE. I ciompi (di N. Machiavelli)).

giovedì 31 dicembre 2015

I ciompi

di Niccolò Machiavelli (Istorie fiorentine, Libro III, capitolo 13)

Gli uomini plebei adunque, cosí quegli sottoposti all’Arte della lana come alle altre, per le cagioni dette erano pieni di sdegno: al quale aggiugnendosi la paura per le arsioni e ruberie fatte da loro, convennono di notte piú volte insieme discorrendo i casi seguíti e mostrando l’uno all’altro ne’ pericoli si trovavano. Dove alcuno de’ piú arditi e di maggiore esperienza, per inanimire gli altri, parlò in questa sentenza:
-  «Se noi avessimo a deliberare ora se si avessero a pigliare l’armi, ardere e rubare le case de’ cittadini, spogliare le chiese, io sarei uno di quegli che lo giudicherei partito da pensarlo, e forse approverei che fusse da preporre una quieta povertà a uno pericoloso guadagno; ma perché l’armi sono prese e molti mali sono fatti, e’ mi pare che si abbia a ragionare come quelle non si abbiano a lasciare e come de’ mali commessi ci possiamo assicurare. Io credo certamente, che quando altri non ci insegnasse, che la necessità ci insegni.
-  Voi vedete tutta questa città piena di rammarichii e di odio contro a di noi: i cittadini si ristringono, la Signoria è sempre con i magistrati; crediate che si ordiscono lacci per noi, e nuove forze contro alle teste nostre si apparecchiono. Noi dobbiamo per tanto cercare due cose e avere nelle nostre deliberazioni duoi fini: l’uno di non potere essere delle cose fatte da noi ne’ prossimi giorni gastigati, l’altro, di potere con piú libertà e piú sodisfazione nostra che per il passato vivere.
-  Convienci per tanto, secondo che a me pare, a volere che ci sieno perdonati gli errori vecchi, farne de’ nuovi, raddoppiando i mali, e le arsioni e ruberie multiplicando, e ingegnarsi a questo avere di molti compagni: perché dove molti errano niuno si gastiga, e i falli piccoli si puniscono, i grandi e gravi si premiano; e quando molti patiscono, pochi cercono di vendicarsi, perché le ingiurie universali con piú pazienza che le particulari si sopportono. Il multiplicare adunque ne’ mali ci farà piú facilmente trovare perdono, e ci darà la via ad avere quelle cose che per la libertà nostra di avere desideriamo. E parmi che noi andiamo a uno certo acquisto, perché quelli che ci potrebbono impedire sono disuniti e ricchi: la disunione loro per tanto ci darà la vittoria, e le loro ricchezze quando fieno diventate nostre ce la manterranno. Né vi sbigottisca quella antichità del sangue che ei ci rimproverano; perché tutti gli uomini avendo avuto uno medesimo principio sono ugualmente antichi, e dalla natura sono stati fatti a uno modo.
-  Spogliateci tutti ignudi, voi ci vederete simili: rivestite noi delle vesti loro ed eglino delle nostre, noi sanza dubbio nobili ed eglino ignobili parranno; perché solo la povertà e le ricchezze ci disagguagliano. Duolmi bene che io sento come molti di voi delle cose fatte, per conscienza si pentono, e delle nuove si vogliono astenere; e certamente, se gli è vero, voi non siete quelli uomini che io credeva che voi fusse: perché né conscienza né infamia vi debba sbigottire; perché coloro che vincono, in qualunque modo vincono, mai non ne riportono vergogna.
-  E della conscienza noi non dobbiamo tenere conto, perché dove è come è in noi la paura della fame e delle carcere, non può né debbe quella dello inferno capere. Ma se voi noterete il modo del procedere degli uomini, vedrete tutti quelli che a ricchezze grandi e a grande potenza pervengano, o con frode o con forza esservi pervenuti: e quelle cose, di poi, ch’eglino hanno o con inganno o con violenza usurpate, per celare la bruttezza dello acquisto, quello sotto falso titolo di guadagno adonestono. E quegli i quali o per poca prudenza o per troppa sciocchezza fuggono questi modi, nella servitú sempre e nella povertà affogono; perché i fedeli servi sempre sono servi, e gli uomini buoni sempre sono poveri; né mai escono di servitú se non gli infedeli e audaci, e di povertà se non i rapaci e frodolenti.
-  Perché Iddio e la natura ha posto tutte le fortune degli uomini loro in mezzo, le quali piú alle rapine che alla industria e alle cattive che alle buone arti sono esposte: di qui nasce che gli uomini mangiono l’uno l’altro, e vanne sempre col peggio chi può meno. Debbesi adunque usare la forza quando ce ne è data occasione: la quale non può essere a noi offerta dalla fortuna maggiore, sendo ancora i cittadini disuniti, la Signoria dubia, i magistrati sbigottiti; talmente che si possono, avanti che si unischino e fermino l’animo, facilmente opprimere: donde o noi rimarreno al tutto principi della città, o ne areno tanta parte che non solamente gli errori passati ci fieno perdonati ma areno autorità di potergli di nuove ingiurie minacciare. Io confesso questo partito essere audace e pericoloso; ma dove la necessità strigne è l’audacia giudicata prudenza, e del pericolo nelle cose grandi gli uomini animosi non tennono mai conto; perché sempre quelle imprese che con pericolo si cominciono, si finiscono con premio, e di uno pericolo mai si uscí sanza pericolo: ancora che io creda, dove si vegga apparecchiare le carcere, i tormenti e le morti, che sia da temere piú lo starsi che cercare di assicurarsene; perché nel primo i mali sono certi, e nell’altro dubii.
-  Quante volte ho io udito dolervi della avarizia de’ vostri superiori e della ingiustizia de’ vostri magistrati! Ora è tempo non solamente da liberarsi da loro ma da diventare in tanto loro superiore, ch’eglino abbiano piú a dolersi e temere di voi che voi di loro. La opportunità che dalla occasione ci è porta vola; e invano quando la è fuggita si cerca poi di ripigliarla. Voi vedete le preparazioni de’ vostri avversari: preoccupiamo i pensieri loro; e quale di noi prima ripiglierà l’armi, sanza dubio sarà vincitore con rovina del nemico ed esaltazione sua: onde a molti di noi ne resulterà onore, e securità a tutti». Queste persuasioni accesono forte i già per loro medesimi riscaldati animi al male: tanto che deliberorono prendere le armi, poiché eglino avessero piú compagni tirati alla voglia loro; e con giuramento si obligorono di soccorrersi quando accadessi che alcuno di loro fusse dai magistrati oppresso.


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