Intervista a Angelo Del Boca
Lo storico del colonialismo: «La vedova di Belaid può diventare il simbolo della resistenza contro chi vuole una Costituzione fondata sulla sharia»
«In gioco c’è la democrazia. I Fratelli puntano al califfato»
di Umberto De Giovannangeli (l’Unità, 10.02.2013)
«La posta in gioco oggi in Tunisia è la democrazia stessa. Il popolo tunisino ha capito una cosa e ad essa cerca di ribellarsi: gli islamisti di Ennahda stanno cercando, giorno dopo giorno, di realizzare una nuova Costituzione fondata sulla sharia. Il loro è il tradimento della “rivoluzione jasmine”». A sostenerlo è il più autorevole storico italiano del colonialismo in Nord Africa: Angelo Del Boca. «Dopo il fallimento, perché di ciò si tratta, dell’operazione in Libia, e la sua diramazione in Mali, l’Europa rimarca Del Boca assiste interdetta e spaventata a quello che potrebbe divenire un nuovo fronte di guerra. Ma questa passività rischia di favorire la deriva islamista verso quel califfato, evocato 67 anni fa dal fondatore dei Fratelli Musulmani, Hassan al-Banna».
La Tunisia è nel caos dopo l’assassinio del leader dell’opposizione Chokri Benaid. Qual è la posta in gioco?
«È la democrazia stessa. È impedire che quella speranza di libertà che fu alla base della rivoluzione del 2011 venga cancellata a forza da quanti intendono realizzare in Tunisia non uno Stato di diritto ma un califfato. Questa speranza vive nella straordinaria risposta popolare allo sciopero generale indetto dall’Ugtt, il principale sindacato tunisino, nel giorno dei funerali di Chokri Belaid: un milione di persone, secondo il ministero dell’Interno tunisino, un milione e mezzo, stando ad altre fonti. La folla che ha accompagnato il feretro del leader assassinato, ha dimostrato di essere decisa a regolare i conti con il governo, al quale fa risalire l’ordine di uccidere Belaid».
Il governo significa innanzitutto Ennahda, il partito islamista al potere. Oggi (ieri per chi legge, ndr) gli attivisti di Ennahda sono scesi in strada a Tunisi per difendere le «conquiste del voto».
«Ennahda non vuole fare un passo indietro dopo tutti gli sforzi fatti per conquistare la maggioranza. Ma c’è una cosa, a mio avviso, che il popolo tunisino ha compreso e contro cui prova a ribellarsi: Ennahda vuole restare al potere e realizzare, giorno dopo giorno, una nuova Costituzione fondata sulla sharia: non solo scriverla, ma praticarla. A questo punto, i fatti di Tunisi mi ricordano l’auspicio di Hassan al-Banna, il fondatore dei Fratelli Musulmani, che nel lontano 1947, quindi 67 anni fa, aveva annunciato al mondo, con un documento inviato a tutti i capi di Stato, che un giorno sarebbe tornato in Tunisia il califfato. Il che vuol dire realizzare in tutto il mondo dell’antico impero ottomano, la vittoria postuma degli antichi califfi».
La Tunisia dette l’avvio alla «Primavera araba». Ed ora?
«Ed ora si trova il vuoto nella mani, e può soltanto “ringraziare” Ennahda di aver compiuto questo enorme tradimento. Il pericolo non riguarda, peraltro, soltanto la Tunisia, ma tutti i Paesi del Maghreb e del Mashrek, dove vivono e operano, sotto diverse sigle, i Fratelli Musulmani. La Fratellanza dimostra di avere una grande duttilità tattica: si allea con l’esercito, apre a partiti liberali, ipotizza, come nel caso tunisino, anche governi tecnici, ma è tattica. Perché la strategia non cambia: ed è quella del califfato».
Lei ha fatto riferimento alla grande partecipazione popolare ai funerali di Chokri Belaid. In che modo l’opposizione può far leva su questa volontà di resistenza e chi potrebbe impersonarla?
«Ho visto il volto della vedova di Belaid, Basma. Un volto fiero, combattivo. Ho sentito le sue parole di dolore e di rabbia, e la sua decisione di continuare l’opera del marito. A mio avviso, è guardando questa donna coraggiosa, indomita, che i tunisini possono continuare la loro lotta per non farsi sfilare dalle mani il grande tesoro che avevano conquistato. Così come tutto ebbe inizio quel 18 dicembre del 2010, quando un giovane ambulante, Mohamed Bouazizi, si dette fuoco per protestare contro la protervia e la violenza del regime di Ben Ali, così oggi la Tunisia può guardare a Basma Belaid come al simbolo della protesta».