“Il Pontefice prenda esempio dal Dalai Lama”
intervista a Jean Baubérot,
a cura di Alberto Mattioli (La Stampa, 17 febbraio 2013)
«La vera riforma da fare in Vaticano? Separare lo Stato dalla Chiesa». Là: dopo le dimissioni più clamorose della storia recente, finalmente un’analisi originale fino al paradosso. Arriva da Jean Baubérot, celebre storico delle religioni e fondatore della sociologia della laicità.
Professor Baubérot, si spieghi.
«E’ molto semplice. Mi sembra che sia un problema, per la Chiesa cattolica e per come il mondo guarda alla Chiesa, che il Pontefice abbia una doppia funzione, sia insieme un capo spirituale e un capo di Stato. Certo, il Vaticano è uno Stato piccolissimo, ma il suo peso politico è tutt’altro che piccolo, anche su scala internazionale. Ora, quest’ambivalenza genera inevitabilmente ambiguità e malintesi, come si è visto anche di recente».
Quindi cosa dovrebbe fare il nuovo Papa?
«Quello che ha fatto il Dalai Lama, che ha rinunciato a ogni ruolo politico per consacrarsi interamente a quello religioso».
Ma il Tibet è occupato militarmente dai cinesi. Invece i cosacchi non sono mai riusciti ad arrivare in piazza San Pietro...
«Sì, ma per decenni il Dalai Lama ha conservato e rivendicato le sue prerogative politiche. Quando ci ha rinunciato, e lo ha fatto solo nel 2011, quando era già in esilio da decenni, è stato certamente un atto simbolico. Ma dal valore, sempre simbolico, molto grande».
Intanto, a proposito di peso politico, in Francia ci sono polemiche per il ruolo della Chiesa nell’opposizione al matrimonio per tutti...
«Questa è l’altra grande riforma che la Chiesa cattolica dovrebbe fare, e lo dico beninteso da osservatore esterno e non cattolico. Io trovo che la Chiesa abbia tutto il diritto di pronunciarsi su temi politici o di società. Trovo però sbagliato che lo faccia in nome di una morale “naturale” che sarebbe valida per tutti, anche per chi non ha le stesse convinzioni religiose. No: è soltanto la morale cattolica. Le due riforme sono connesse».
L’Islam, però, è pieno di capi insieme religiosi e politici.
«Sì, ma nell’Islam non c’è un’autorità unica che parla a nome di tutti i musulmani. Aggiungerei anche che questa confusione fra spirituale e temporale indebolisce entrambi i poteri e non ha buoni effetti sulla società. Basta dare un’occhiata a quel che succede in Iran».