Angeli e gabbie elettroniche così nella Sistina va in scena il nuovo inizio della Chiesa
di Vittorio Zucconi (la Repubblica, 12 marzo 2013)
Per salire verso il cielo dei loro terrori e delle loro ambizioni questa volta c’è un piccolo gradino che i cardinali dovranno salire. In un vago aroma di legno e di vernice fresca usati per il contro pavimento provvisorio, la Cappella che racchiude un nome e una risposta alla domanda che un miliardo di cattolici si pongono da un mese ha dovuto proteggere il fondo fragile e consunto dallo scalpiccio delle eminenze. Perché i papi passano, ma la Sistina deve restare.
Chi entra in questa meravigliosa nave immobile che da sei secoli conduce la Chiesa verso l’approdo delle successioni pontificali sente che se il Dio nel quale i cristiani chiedono esiste, qui deve avere sfiorato gli intonaci con le dita. Anche nei momenti di incertezza e turbamenti come questo, nello sbigottimento di una Chiesa che deve risorgere senza essere passata dal rito necessario e liberatorio della morte, la Sistina esiste. Entrandoci questo pomeriggio poco dopo le 16.30, facendo attenzione che per ingravescente aetate e gamba un po’ malferma i più anziani non incespichino nello scalino e nelle sottane porpora, i 115 cardinali dovranno soltanto alzare lo sguardo per sentirsi rassicurati. Se la Cappella Sistina c’è, la Chiesa Cattolica Romana c’è.
Li attendono le sedie di ciliegio. Nell’angolo le stufe, questa volta due, una panciuta per le schede da ardere, l’altra, quella nuova, squadrata per i fumogeni che si alzeranno con qualche fatica nel cielo pesante atteso a Roma fino a venerdì, collegate in un unico tubo a forma di “Y” invertita, che potrebbe non corrispondere esattamente alla norme dell’Unione Europea, della quale comunque lo Stato Vaticano non fa parte.
Lungo le pareti gli scranni, esattamente come otto anni or sono, ora sopra il pavimento rialzato. E in fondo, chiusa e paziente, quella porticina che conduce alla stanza della vestizione e delle lacrime, perché alcuni eletti, ma non tutti, vi piansero. E da questo Papa in poi potrebbe essere la porticina che conduce verso le dimissioni.
Nelle ore di fine inverno 2005, nel marzo del calvario di Wojtyla dietro le ultime due finestre all’angolo della terza Loggia, l’ultimo piano del Palazzo Apostolico, già in questo grembo di bellezza sovrumana, carpentieri, restauratori e tecnici avevano segretamente cominciato a lavorare, con il rispettoso cinismo di un’istituzione che aveva metabolizzato ed esaltato come nessun’altra la propria Pasqua umana, il passaggio da un regno all’altro. Addetti, sovrintendenti e portavoce negavano, ma la Sistina si era preparata per tempo a celebrare quella forma di resurrezione che è la scelta di un nuovo Pontefice, dopo l’addio del predecessore.
Ma forse è soltanto quell’odore di vernice e legno, che introduce un elemento prosaico da ristrutturazione più che di misticismo sotto lo sguardo della Morte michelangiolesca incredula, a insinuare un sentimento di smarrimento e transitorietà. Il Dio di Abramo, le anime dei giusti, la disperazione degli iniqui o sbattere d’ali degli angeli per salvare o dannare sotto la volta sembrano più agitati, per questo secondo Conclave del Terzo Millennio.
Il gesto del Cristo che consegna le chiavi del Regno di Dio a Pietro nell’affresco del Perugino sulla parete destra rispetto all’altare maggiore, il dipinto davanti al quale Giovanni Paolo II amava soffermarsi più a lungo, ma che il successore Benedetto ignorava, acquista un sapore diverso, ora che quelle chiavi sono state deposte non per volere della Provvidenza, ma per scelta di un uomo che ha lasciato la tiara per calzare un semplice baseball cap bianco.
Come sempre, la Sistina tenterà di ripetere fedelmente il proprio miracolo, di essere l’incubatrice per una rinascita, se non proprio una resurrezione ecclesiale dopo il Golgota autoinflitto degli ultimi mesi, che non spetta agli angeli sopra l’intonaco ma agli essere umani seduti nei loro troni disposti a ferro di cavallo salire. I tre abiti candidi sono pronti, nelle tre taglie classiche, sperando che non sia uno dei cardinali più massicci, magari uno di quegli americanoni, a doverlo indossare, costringendo sarti e suorine a strappare il finissimo tessuto di lana per poi tenerlo assieme con spille da balia come si dovette fare per Angelo Roncalli.
I cantici saranno quelli di sempre, il Veni Creator Spritus , l’intimazione dell’ extra omnes , lo scattare dei chiavistelli, che la Chiesa del XIII secolo volle non per favorire la discesa dello Spirito Santo, che non deve attendere catenacci e scranni, ma per costringere i rappresentanti cardinales , oggi divenuti cardinali più importanti del popolo di Roma a decidersi o a essere ridotti alla fame.
E se il rito, la clausura temporanea, il silenzio non sono più crudeli come nei tempi della cristianità brutale, e neppure la fame spaventa più le eminenza ora che possono tornare in quel residence di Sanctae Martae dove qualche cardinale non italiano già si lamenta della cucina troppo spartana, forse attendendosi le delizie romane, anche rispetto alla Sistina del 2005 esistono cose e prodigi e tentazioni che ai padri eccellentissimi erano sconosciuti.
Gabbie elettroniche circondano la nave mistica voluta da papa Sisto e intitolata alla Vergine Assunta, più arcigne dei vecchi catenacci. Ma nel 2005 i social network erano ancora neonati, come Facebook partita nel 2004 o Twitter, inesistente. Questo sarà il primo Conclave nell’età dei social network. Un gradino e una tentazione molto più rischiosi di quei pochi centimetri della pedana da salire verso il cielo di una nuova Chiesa.