Antichi Ritorni
Maggio, il mese di Maia e della vegetazione ma anche dei Lemures
Un mese controverso, poiché, se da una parte si festeggiava la rinascita dei campi e della natura, dall’altra si svolgevano delle feste assai ‘oscure’, ossia i Lemuria. Le prime cerimonie per placare le anime dei defunti furono istituite in questo mese da Romolo
di Alba Subrizio (Il Mattino di Foggia, 29/04/2018)
Maggio è in genere considerato il mese consacrato a Maria Vergine, molto probabilmente perché è in questo periodo che fioriscono le rose, fiori comunemente associati alla figura della Madonna. Ma prima che la Vergine Maria divenisse la ‘Signora’ del mese, maggio (in latino Maius) era dedicato ad un’altra divinità di cui, difatti, conserva il nome, ossia la dea Maia.
Maia era per i latini la divinità simbolo della fertilità e della rinascita; difatti è proprio in questo mese che si assiste alla completa rifioritura della natura, delle messi e della vegetazione in genere. Protettrice dei campi, la dea, figlia di Atlante, - secondo la mitologia greca - era considerata la madre del dio Ermes. È probabile che Maia, antica divinità italica, sia stata fusa con la Maia greca, considerata una della Pleiadi.
La Maia romana, secondo lo scrittore Aulo Gellio fu la sposa di Vulcano e si racconta che il dio ogni anno, alle Calende del mese a lei dedicato (ossia il 1° di maggio), le offriva in dono una scrofa gravida, simbolo di fertilità. Orbene, in virtù di ciò, nell’antica Roma si svolgeva per l’appunto una festa dedicata a questa divinità il primo giorno del mese di Maia (cioè il Calendimaggio), durante la quale veniva sacrificato un maiale, detto per l’occasione il “sus Maialis”, ovvero il ‘maiale di Maia’ (dal sostantivo sus = suino e dall’aggettivo Maialis = di Maia). Scopriamo dunque che la parola italiana “maiale” ha un’accezione colta, dal momento che indicava “ciò che appartiene a Maia” (ovvero non indicava l’animale in sé, bensì era solo l’aggettivo inerente al nome della dea a cui veniva sacrificato).
Maggio, tuttavia era un mese controverso, poiché, se da una parte si festeggiava la rinascita dei campi e della natura, dall’altra si svolgevano in questo mese delle feste assai ‘oscure’, ossia i Lemuria. Queste celebrazioni (che si svolgevano per la precisione il 9, l’11 e il 13 maggio) erano rivolte al “lemures”; con questo termine si indicavano nell’antica Roma le anime di coloro che erano morti di morte violenta e prematura e che, pertanto, non trovavano quiete. Le anime di questa particolare tipologia di defunti non giungevano nell’Ade ma continuavano a vagare nel mondo dei vivi senza pace. Alla luce di ciò i Romani temevano che i lemures potessero arrecar danni, ecco perché in questo mese compivano dei rituali per placarli e tenerli lontani dalla loro abitazioni. In special modo era il pater familias che compiva il rituale che consisteva nello gettarsi alle spalle nove volte (9 è multiplo di 3, considerato numero magico) delle fave nere.
Si narra che ad istituire questi riti propiziatori fosse stato Romolo per placare lo spirito del fratello Remo, e che avesse stabilito al contempo che durante questi tre giorni di maggio i templi dovessero restare chiusi e nessun matrimonio fosse celebrato. Attualmente con il nome di lemuri si indicano dei mammiferi tipici del Magadascar che per lo più conducono una vita notturna e che presentano occhi gialli e ‘spiritati’, quasi a ricordare i ‘fantasmi’.