Bergoglio, i latinos e il muro panamericano
di Massimo Faggioli (Europa, 15 marzo 2013)
Papa Francesco è il primo papa che viene da una chiesa latinoamericana, ma anche il primo papa dalle Americhe, un continente in cui il diritto di primogenitura del cristianesimo - tra America centrale, Nordamerica e Sudamerica - è da sempre una disputa non solo teologica e storica ma anche geopolitica.
L’elezione di Bergoglio al pontificato assume il significato di una correzione di rotta impressa alla chiesa cattolica anche dal punto di vista della geopolitica del cattolicesimo. La chiesa latinoamericana, che venne elevata a laboratorio della dottrina sociale della chiesa sotto Paolo VI, ha sofferto durante il pontificato di Giovanni Paolo II e ancora di più durante quello di Benedetto XVI: per la lotta contro la teologia della liberazione prima, e per un chiaro eurocentrismo del papa teologo poi.
Questa parte negletta del cattolicesimo mondiale è emersa dal conclave con il cardinale gesuita, nonostante un’evidente mancanza di rappresentanza nel collegio cardinalizio: l’America Latina ha il 42% dei fedeli cattolici di tutto il mondo (mezzo miliardo su un totale di 1,2 miliardi), ma solo 19 cardinali su 117, contro i 62 dall’Europa (dove oggi vive il 25% di tutti i cattolici).
Giovanni Paolo II aveva visto l’unità del continente quando convocò il Sinodo dei vescovi per le Americhe del 1997: ma da allora in poi gli Stati Uniti hanno iniziato a percorrere una propria strada sulla mappa mondiale e oggi i legami delle chiese cattoliche degli Stati Uniti con quelle latinoamericane sono molto più tenui di una volta - a riprova che la geopolitica degli stati e quella delle chiese non sono mai completamente indipendenti.
Ma alla luce dei cambiamenti nella demografia religiosa del continente americano, è ancora legittimo parlare di un’unità tra le Americhe: negli Stati Uniti la componente latinos è crescente e diventerà maggioranza relativa all’interno del cattolicesimo prima della metà del secolo. Dall’altro lato, sebbene la maggioranza degli ispanici negli Stati Uniti siano cattolici, quelli di origine cattolica sono più secolarizzati dei latinos protestanti.
Le radici ispanofone del nuovo papa risuonano particolarmente in tutto il continente, anche a nord del Messico. Ma è anche la biografia di papa Francesco che avvicina il pontefice ad una gran parte dei cattolici americani: un papa figlio di migranti come papa Francesco potrà capire le sfide di un cattolicesimo di emigrazione come quello dei latinos negli Stati Uniti, che divide famiglie tra i confini degli Stati. Giovanni Paolo II aveva il Muro di Berlino, papa Francesco ha il muro del confine tra Stati Uniti e Messico. Papa Francesco potrebbe riunire il continente americano come Giovanni Paolo II riunì l’Europa della guerra fredda. La ricomprensione cattolica del continente americano sarebbe il primo passo per ricomprendere un mondo che è evidentemente meno europeo di cento o cinquanta o venti anni fa.
Con un papa filippino (di madre cinese) come il cardinal Luis Antonio Tagle, la chiesa avrebbe cavalcato la tigre asiatica e lo spostamento del baricentro del mondo verso l’Asia-Pacifico.
Ma, come si sa, “la chiesa è sempre in ritardo di una rivoluzione” - in questo caso, la rivoluzione geopolitica - e per ora la chiesa guarda a sud. Potrebbe essere un ritardo salutare: ripartire dall’America Latina equivale anche ad una sorta di ricompensa per le umiliazioni inflitte alla teologia latinoamericana nel lungo periodo Wojtyla-Ratzinger, e un nuovo modo di guardare al Concilio Vaticano II, senza il quale è impossibile comprendere la chiesa in America Latina.