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RIVOLUZIONE SCIENTIFICA E RIVOLUZIONE COPERNICANA IN FILOSOFIA ....

L’ERRORE DI CARTESIO: VICO A FIANCO DI GALILEI E NEWTON. Note per una (ri)lettura del "De antiquissima" - di Federico La Sala

IL PROBLEMA MENTE-CORPO. Altro che campo di battaglia! La metafisica appare a Vico solo una boscaglia piena di “pruni” e “spini”: ignorando le cause del pensiero, ossia il modo in cui il pensiero si fa, i più sottili metafisici del nostro tempo (...) si feriscono e si pungono a vicenda (...)
giovedì 11 aprile 2013
VICO MUORE NEL 1744. Di lì a poco, Gaetano Filangieri nella sua opera La Scienza della Legislazione (1781-88) scrive: "Nella democrazia comanda il popolo, e ciaschedun cittadino rappresenta una parte della sovranità: nella concione [assemblea di tutto il popolo], egli vede una parte della corona, poggiata ugualmente sul suo capo che sopra quello del cittadino più distinto.
L’oscurità del suo nome, la povertà delle sue fortune non possono distruggere in lui la coscienza della sua dignità. (...)

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> L’ERRORE DI CARTESIO --- IL DESIDERIO, LA RAGIONE, E DIO.

lunedì 8 aprile 2013

VICO: IL DESIDERIO, LA RAGIONE, E DIO. Note per la (ri)lettura del “De antiquissima italorum sapientia” (II parte)

di Federico La Sala

UOMO E DIO. Nel “De antiquissima italorum sapientia” (1710), Vico riprende i temi del discorso dell’orazione inaugurale del 1699, sullo “straordinario carattere dell’animo”, e della sua ”somiglianza con Dio Ottimo Massimo”, sul fatto che “il proprio animo è come un Dio per ciascuno” (p. 710), sull’importanza della “buona volontà” (p. 718) o, diversamente, del buon uso del libero arbitrio, e li riarticola in modo definitivo all’interno del nuovo orizzonte segnato dal principio del “verum ipsum factum”. E’ un passo decisivo, un passo fondamentale verso la “Scienza Nuova”.

IL CERTO E IL VERO. Nel VI capitolo, intitolato “De Mente”, egli riafferma il valore dell’antica concezione “che la mente è data, immessa negli uomini dagli dei”, che l’“animi mens”, la mente dell’animo, “così come la libido, la facoltà di desiderare, è per ciascuno una propria divinità”, rinnova il suo accordo e insieme la sua polemica con Cartesio e (ora anche) con Malebranche, e porta ulteriori elementi di chiarificazione sul suo discorso critico (e cristiano) relativo alla “indubitabile verità” della metafisica (p. 112) e al “Dio Ottimo Massimo” della religione cristiana. Detto diversamente, egli mostra quanto e come sia necessario mettersi sulla strada che porta dal certo al vero e, al contempo, dare una risposta risolutiva alla questione della “divinità, propria di ogni uomo”, al di là delle vecchie risposte degli aristotelici, degli stoici, e dei socratici (p. 110) e delle soluzioni ingannevoli di geni maligni (o benigni che siano!).

Con Cartesio, Vico concorda che “l’uomo acquista certezza anche se dubita, anche se erra e sbaglia”, ma questa - per lui - è solo la premessa e non la fine di un discorso che vuole essere metafisicamente e teologicamente attento e critico. Mi meraviglio - egli scrive - che l’acutissimo Malebranche “accetti la prima verità di Renato Descartes: cogito, ergo sum” e, poi, considera “Dio creatore nell’uomo delle idee”: se vuole dimostrare una tale dottrina, dovrebbe piuttosto - continua Vico - concludere così: “Qualcosa in me pensa, dunque qualcosa è; ma nel pensiero non trovo alcuna idea di corpo, dunque ciò che pensa in me pensa è purissimo pensiero, è appunto Dio”. MA Vico, ovviamente, non si ferma e, poco oltre, prosegue nell’attacco: se Malebranche “avesse voluto essere coerente con la propria dottrina, avrebbe dovuto insegnare che la mente umana è investita da Dio non solo della cognizione del corpo che ad essa è congiunto, ma anche della conoscenza di se stessa, di modo che non può conoscersi se non si conosce in Dio. La mente infatti si manifesta pensando, ma è Dio che in me pensa, dunque in Dio io conosco la mia propria mente”.

MA QUALE DIO?! Per Vico, “la meravigliosa forza della mente umana, (...) rivolta seco se stessa, ci conduce alla conoscenza del sommo bene, di Dio Ottimo Massimo!” (p. 714); ma dal “fatto” al “vero”, - come già aveva chiarito nell’orazione inaugurale del 1699 - il cammino non è facile: “la cosa che mi desta più meraviglia è il fatto che vi sia un così gran numero di uomini ignari”, che non fanno buon uso delle “facoltà dell’animo” (p. 716). Come con Cartesio, con Malebranche il ‘dialogo’ continua, ma ovviamente sulla strada di Vico: ciò che conosciamo in noi stessi è “il fatto che Dio sia il primo Autore di tutti i moti tanto dei corpi che degli animi”, ma qui - egli scrive - sorgono le secche e gli scogli”!

IL DIO DELLA GRAZIA. Molti sono i nodi da sciogliere. Ma le coordinate epistemologiche, antropologiche, e teologiche sono già chiare e ferme. E Vico, in forma quasi stenografica - così prosegue: “ in che modo Dio può essere il motore della mente umana se riscontriamo tante imperfezioni, tante brutture, tanti errori, tanti vizi? Come è conciliabile il fatto che in Dio vi è verissima ed assoluta scienza mentre l’uomo possiede il libero arbitrio delle sue azioni? Sappiamo con certezza che Dio è onnipotente onnisciente ottimo, che il suo pensare è la verità stessa, che il suo volere è il massimo bene, che il suo pensiero è semplicissimo ed evidentissimo e che la sua volontà è salda ed ineluttabile. Ma sappiamo anche, come insegna la Sacra Scrittura, che “nessuno di noi può andare al Padre se il Padre stesso non lo avrà tratto a sé”. Ma in qual modo può trarlo a sé, se l’uomo è in possesso del proprio volere? Ecco la risposta di Agostino: “non solo egli trae l’uomo volente, ma lo trae lieto, e con piacere dell’uomo stesso”. Qual pensiero può più giustamente accordare la fermezza divina con la libertà del nostro arbitrio?” (p. 110).

LIBERO ARBITRIO E PROVVIDENZA. A queste domande, Vico ha trovato già la risposta, e così precisa: “Per questa ragione accade che Dio mai si allontana dalla nostra presenza, neppure quando erriamo, perché abbracciamo il falso sotto l’aspetto del vero ed i mali sotto l’aspetto del bene (...) questo ingannarsi non significa altro che gli uomini, perfino quando sono incauti e falsamente giudicano delle cose create, ravvisano sempre Dio in queste stesse imitazioni” (p. 112). L’idea-guida per la“Scienza Nuova” (la prima, quella del 1725) è già pronta: l’opera, come si sa, è aperta dal motto “A Iove principium musae” ed è chiusa “con l’altra parte: Iovis omnia Plena” (p. 329). Sembrano vecchie parole, ma il titolo è più che eloquente: “PRINCIPI DI UNA SCIENZA NUOVA intorno alla natura delle nazioni per la quale si ritrovano i principi di altro sistema del diritto naturale delle genti”. Contrariamente a quanto tutti hanno pensato (e pensano ancora), è l’inizio di una Storia Nuova: “Prima che ci fosse un uomo in Irlanda, c’era un signore, un lord in Lucania” (James Joyce, Finnegans Wake)!

Federico La Sala


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