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A DON ANDREA GALLO E A TUTTA LA COMUNITA’ DI SAN BENEDETTO AL PORTO (GENOVA)

A DON ANDREA GALLO, PER SEMPRE. Note di Moni Ovadia, don Luigi Ciotti, Vinicio Capossela, Vito Mancuso, Oreste Pivetta, Gian Guido Vecchi.

In don Gallo si è compiuto il miracolo dell’ubiquità: lui è stato radicalmente cristiano e anche irriducibilmente cattolico, ma potrebbe anche essere ricordato come uno tzaddik chassidico, così come è stato un militante antifascista ed un laicissimo libero pensatore (Moni Ovadia).
lunedì 27 maggio 2013 di Federico La Sala
Il profeta di strada, profeta dei nostri tempi
di Moni Ovadia *
Don Andrea Gallo, mio fratello, ci ha lasciato. Io che non credo ma che conoscevo la sua forte fibra
e resistenza, pure fino all’ultimo ho sperato che il suo sorriso potesse fare il miracolo. Prete da
marciapiede come si è sempre definito, è stato uno dei sacerdoti più noti e più amati del nostro
sempre più disastrato Paese. Non solo per me, siamo in centinaia di migliaia di persone che da
sempre lo abbiamo sentito come un (...)

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> A DON ANDREA GALLO, PER SEMPRE. ---- La città si ferma e canta “Bella ciao” (di Ferruccio Sansa)

lunedì 30 dicembre 2013

La città si ferma e canta “Bella ciao”

di Ferruccio Sansa (il Fatto Quotidiano, 30 dicembre 2013)

Le città sono fatte di persone. A volte ce ne dimentichiamo. Forse è stato questo l’ultimo messaggio di don Gallo, quello lasciato al suo funerale: decine di migliaia di persone a sfilare per le strade di Genova, a cantare “Bella ciao”, a suonare i tamburi, a sventolare bandiere e a pregare. A volte tutte le cose insieme. “Non sembra nemmeno un funerale”, diceva qualcuno. Invece sì che lo sembrava, ancora più straziante proprio per quel tentativo di tutti, della città intera, di negare il distacco. Ma poi la chiesa si svuota, sulla strada scende il silenzio. E ognuno resta solo.

Già, le città sono fatte di persone. Alcune, come don Gallo, hanno la sorte e la forza di diventarne simbolo. Quasi dei padri. Così a Genova, quando ci si sentiva minacciati, disorientati, capitava di gettare un occhio a quella minuscola finestra affacciata sul porto. Era successo per il terribile G8, quando Genova medaglia d’oro della Resistenza fu tradita dallo Stato che aveva contribuito a realizzare. E, appena quindici giorni prima della morte di don Gallo, quel 7 maggio che la Jolly Nero ha tirato giù la torre dei piloti del porto: nove morti. A ricordare quanto può essere pericoloso il lavoro. Ancora di più quello in porto, con gli uomini ridotti a minuscole figure in un mondo di giganti, dove si maneggiano senza sosta carichi colossali.

La finestra di don Andrea, affacciata sul quel porto, di notte era sempre accesa. Per illuminare chi stava dentro, ma anche chi passava fuori. Quasi un faro per le nostre umane navigazioni. Se bussavi sapevi che ti sarebbe stato aperto. Sempre. Giorno e notte, estate e inverno. “Ricordo anni che ogni notte moriva un ragazzo con una siringa nel braccio. Nelle strade, nei bagni delle stazioni, ovunque.

Quando le strutture pubbliche, le comunità chiudevano le loro porte allora chiamavo don Gallo. Lui ha sempre trovato posto, spesso in camera sua, nel letto accanto al suo”, racconta un magistrato amico di Andrea. Una branda, un tavolo, una sedia e i suoi libri. Non c’era niente di più, non ne aveva bisogno.

Quando ci entravi dentro ti sembrava impossibile che un uomo dopo ottantacinque anni tanto pieni e intensi avesse potuto raccogliere oggetti che stavano nello zaino di un bambino delle elementari. Ma, come dice Paolo Rumiz, un buon viaggiatore si riconosce da quello che lascia a casa, non da quello che porta con sé. Oggi nelle stanze sgangherate e accoglienti di San Benedetto al Porto, su quelle panche consumate dalle chiappe della gente, sono rimasti gli amici di Gallo, dalla Lilli a Megu. Sanno che devono continuare anche per don Andrea.

Ma Genova, dopo Fabrizio de Andrè, ha perso un’altra figura in cui riusciva a riconoscersi. Proprio in un momento di estrema crisi, tra i gruppi di potere (che non risparmiano la Curia) che si addentano per conquistare la banca Carige, la ‘ndrangheta che mette radici nella politica e nell’economia, soprattutto nel mattone che trionfa.

Già, le città sono fatte di persone. Ma gli uomini si fermano, anche i migliori. Bisogna che altri si facciano avanti. Bisogna che la città li sappia riconoscere


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