LA TERRA E LA QUESTIONE ANTROPOLOGICA
di Michele Zarrella *
Un libro di eccezionale rarità che tenta a grandi linee, di mettere in evidenza una inedita prospettiva di ricerca e una possibile via di uscita da duemila e più anni di labirinto: un’ontologia non più zoppa e segnata dalla cieca cupidigia del sapere-potere, ma chiasmatica e illuminata dal sapere-amore.
Il luogo di inizio del ’viaggio’ è dalla chiesetta di S. Maria del Carmine (monastero carmelitano dal 1561 al 1652) di Contursi Terme (SA), e dall’antica Elea (Velia, Ascea), ma subito ci si trasferisce a Firenze, a Rimini, a Siena, a Roma, e, infine, fuori dal pianeta Terra, da dove, finalmente, è possibile vedere "il brillante colore"! Il pianeta in cui viviamo non è una caverna e, con lo sbarco sulla Luna, ora tutti lo sappiamo - anche fisicamente! Siamo tutti nella stessa barca e che siamo tutti fratelli, ... è ora di cambiare strada, di riorganizzare e riformulare tutto il nostro sapere - a partire da questa nostra nuova consapevolezza acquisita”: il pianeta è un granello nell’Universo ed è necessario un cambiamento radicale di prospettiva altrimenti non riusciremo mai a capire chi siamo.
La società moderna non può più accontentarsi di una filosofia e di una scienza ancora legate alla catena della dea Giustizia-Necessità di Parmenide e ancor più non deve contare sul sapere che il Platone o il politico di turno porta a noi prigionieri nella «caverna». Abbiamo preso coscienza di dove siamo nell’Universo e non possiamo più far finta di nulla. Sarà compito nostro mostrare come è la nostra casa: non era e non è né una caverna, né un’arena per gladiatori.
Sulla base di questa coscienza l’autore ci spinge a lavorare a una nuova cultura e a una nuova scienza che siano all’altezza del nostro orizzonte. “Non è più concepibile né possibile (il rischio è altissimo - la fine della nostra avventura, quella dell’intero genere umano) seguire le tracce di Parmenide, né di Platone.”
Il nostro orizzonte si è elevato e non è più possibile pensare che: «Per lo scienziato esiste solo l’essere, non il desiderio, il valore, il bene, il male, l’aspirazione» (Einstein, 1950). La posizione einsteiniana è parziale, unilaterale, e soprattutto pericolosa, perché ci fa vedere e agire - rispetto a noi stessi e rispetto agli altri e rispetto alla natura che ci circonda e sostiene - ancora con gli occhi e la mente di chi vede il pianeta Terra ridotto a un campo di guerra ove i mortali che nulla sanno giocano le loro battaglie. La Terra è di un colore brillante: è azzurra. «La Terra è blu [...] Che meraviglia. È incredibile», esclamò Jurij AlekseeviÄ Gagarin quando, il 12 aprile 1961, la vide, primo fra tutti gli uomini, dallo spazio.
Se vogliamo migliorare non è a Parmenide che dobbiamo pensare. Ma, se si vuole, a Talete, il quale sapeva che l’azzurro circondava la Terra. E Federico La Sala, al pari di Gagarin, ci invita ad uscire fuori a guardare dalla reale prospettiva la questione della nascita nostra, del nostro pianeta, del nostro sistema solare e del nostro Universo. La Sala si pone, al pari di Talete, la domanda delle domande: qual è il principio di tutte le cose? Questi sono i problemi così nasce la filosofia, così nasce il suo bellissimo libro DELLA TERRA IL BRILANTE COLORE.
Come Talete, La Sala riporta a galla dalle profondità oceaniche dell’essere i due problemi fondamentali del sapere (tutte le cose e il principio) e soprattutto sollecita a pensarli insieme. Spesso l’uomo moderno dimentica il secondo: il principio. L’autore, sulla base delle nuove conoscenze acquisite, invita a partire, anzi, a nascere nuova-mente - da capo, guardando al nostro ombelico e a ri-pensare l’Uno a partire dal Due. Noi (ognuno e ognuna) siamo uno ma siamo nati da due: nati da un uomo e una donna, e di entrambi siamo portatori non tanto e non solo dei loro geni, quanto e soprattutto lo spirito delle loro Unità.
E allora, conclude l’autore, il problema dei problemi non è più né quello metafisico («che cosa posso sapere?») né quello morale («che cosa devo fare?») né quello religioso («che cosa posso sperare?»), ma quello antropologico («che cos’è l’uomo?»).
Il problema dei problemi è rispondere alla domanda «chi siamo noi in realtà?» (Nietzsche). A questa domanda l’autore risponde in termini di speranza e di salvezza e ci invita a guardare al nostro ombelico, a qual è la nostra origine? Riconosciamoci, come siamo, figli di un uomo e una donna, di una maternità e di una paternità alla pari e che la Terra sia il luogo del nostro fiorire e non il luogo delle nostre dualistiche contrapposizioni e scissioni.
A tale permeante domanda non può rispondere solo un genere che domina sull’altro, ma insieme con le Due metà del genere umano. Solo così, con la parità, autonomia e dignità fra uomo e donna, potremo dar vita a una nuova antropologia (e, con essa, a una nuova scienza e, ovviamente, a una nuova politica) - oltre l’edipo e oltre il capitalismo - finalmente degna del nostro pianeta dal brillante colore.
Buona lettura.
Michele Zarrella
Gesualdo, 30-09-2013