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QUESTIONE ANTROPOLOGICA. Un libro per riflettere su "Chi siamo noi in realtà?" (F. Nietzsche).

DELLA TERRA, IL BRILLANTE COLORE. PARMENIDE, UNA "CAPPELLA SISTINA" CARMELITANA, LE XILOGRAFIE DI FILIPPO BARBERI E LA DOMANDA ANTROPOLOGICA. Un lavoro di Federico La Sala, con pref. di Fulvio Papi

Le Sibille di Contursi hanno parentele più celebri nella cattedrale di Siena, nell’appartamento Borgia in Vaticano, nel Tempio Malatestiano di Rimini, nella Cappella Sistina di Michelangelo. La pittura disegna l’eclettismo ermetico-cabalistico-neoplatonico rinascimentale ...
giovedì 31 ottobre 2013
Federico La Sala
Della Terra, il brillante colore
Parmenide, una “Cappella Sistina” carmelitana
con 12 Sibille (1608),
le xilografie di Filippo Barberi (1481)
e la domanda antropologica
Prefazione di Fulvio Papi
Edizioni Nuove Scritture
Pagg. 156 € 15.00

PREFAZIONE
di Fulvio Papi
Con una immagine non inappropriata, si potrebbe dire che questo libro è una breve composizione sinfonica dove l’autore preleva temi dalla (...)

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> PARMENIDE, UNA "CAPPELLA SISTINA" CARMELITANA --- Le Marie al sepolcro (Bartolomeo Schedoni,1613): Le prime a sapere sono le donne (di Tomaso Montanari)

lunedì 11 novembre 2013

Le prime a sapere sono le donne

di Tomaso Montanari (il Fatto Quotidiano, 11 novembre 2013)

      • Bartolomeo Schedoni, Le Marie al sepolcro, 1613 circa. Parma, Galleria Nazionale

La domenica di Pasqua non è cominciata: è ancora buio, l’alba è lontana. Ma tre donne, le Marie, sono già sveglie: hanno camminato a lungo, sono arrivate dove giace il loro amico e maestro Gesù, morto sulla croce. Vogliono ungerne il corpo con unguenti profumati: l’ultimo atto di amore, prima di chiuderlo nel sepolcro, prima di non vederlo più. Ma, ecco, appena arrivate alla tomba, ci trovano seduto sopra un angelo: un ragazzo biondo, bellissimo, coperto solo da un mantello candido. Come in una nuova annunciazione, l’angelo chiede: «Perché cercate tra i morti quello che è vivo?». E aggiunge: «Non è qui, è resuscitato!». La tomba, infatti, è scoperchiata e il ragazzo ne regge il coperchio di pietra: e nelle sue mani sembra di plastica, di polistirolo, tanto è leggera, per lui. Intorno, a confermarne le parole inaudite, si apre un abisso di luce e di nuvole: il paradiso stesso, sceso in terra.

E le Marie che fanno? Sono scosse, colpite, quasi tramortite. Si gettano a terra, si inchinano, si prostrano. Maddalena non ha ancora capito che il suo unguento, ormai, non servirà più: e sembra offrirlo, con generosa ingenuità.

Bartolomeo Schedoni (un pittore vissuto a Parma a cavallo tra Cinque e Seicento) ci presta lo sguardo della sua fantasia, le sue mani, la sua sensibilità. Sul fondo nero i colori spiccano come smalti lucidi, le figure ritagliate sembrano sagome di cartone. È come se un uomo della generazione e della cultura di Pontormo avesse potuto vedere il mondo e i suoi colori attraverso gli occhi di Caravaggio: un strano incrocio, straordinariamente affascinante.

La pittura ha il dono di fermare l’attimo. Sotto questo cielo elettrico, carico di pioggia, Bartolomeo vuol fermare per sempre il momento decisivo per la storia umana: queste tre donne sono le prime a sapere che la morte non è la fine. Che dopo la morte c’è la resurrezione: come dopo la notte arriva la luce dell’alba. La luce dell’alba che, nel quadro, dissipa le tenebre della notte, con un effetto di controluce che estende all’aria, alla terra, al cielo e a tutte le cose la tensione e il dramma della storia.

Le Marie distendono le braccia, aprono le mani, mettono in gioco il loro corpo: ad ogni parola dell’angelo i loro muscoli si tendono sempre di più, le labbra si aprono all’incredulità, le braccia all’emozione. Tra un attimo scapperanno via: ad avvertire Pietro e gli altri, a dire al mondo che la morte è stata sconfitta. Proprio come la notte è ferita e uccisa dalla luce di Schedoni, e dai suoi colori indimenticabili.


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