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VICO OGGI. Un’indicazione per uscire dallo "stato di minorità", senza cadute in uno "stato di super-io-rità"....

"NOVA SCIENTIA TENTATUR": VICO E "IL DIRITTO UNIVERSALE". Una nota di Federico La Sala

(...) dal suo lavoro ciò che emerge è una luminosissima costellazione, che modifica tutto il ‘panorama’ dell’intera cultura occidentale, e svela un inedito possibile orizzonte (...)
domenica 6 aprile 2014
[...] Nicola Badaloni, benché sottovaluti il “vichiano recursus ad Deum” (14) e sorvoli filologicamente sulla vichiana prassi della carità (15), è stato uno dei pochi e saggi interpreti a rendersene conto e a muovere i suoi passi nella direzione indicata da Vico [...]
Il testo qui presentato (senza le note) è il proseguimento di un lavoro di “rilettura” dell’opera di Vico, iniziato da alcuni anni e nato da ipotesi di lavoro già accennate in alcuni lavori (...)

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> "NOVA SCIENTIA TENTATUR": VICO E "IL DIRITTO UNIVERSALE". PRUDENZA: SAGGEZZA PRATICA. Il valore civile della prudenza (di Remo Bodei).

sabato 31 ottobre 2015

Il valore civile della prudenza

di Remo Bodei (Il Sole-24 Ore, Domenica, 25.10.2015)

_***Stefano Zamagni, Prudenza, Il Mulino, Bologna, pagg. 126, e. 12,00

Nel nostro linguaggio comune la prudenza tende oggi a essere confusa con la cautela, mentre per millenni essa è stata la forma più alta di saggezza pratica. Già nel sesto libro dell’Etica nicomachea di Aristotele la prudenza (phronesis) è posta in contrasto con la scienza (episteme). Mentre la prima si riferisce alla capacità di giudicare e valutare, in base a norme, ciò che muta - «ciò che può essere diversamente da quel che è» -, la seconda ha a che fare con l’immutabile, come è nel caso degli enti matematiche o dei movimenti degli astri. La phronesis si serve del regolo lesbio, il metro di piombo usato dai muratori dell’isola di Lesbo, che si adatta all’oggetto da misurare piegandosi ma restando della medesima lunghezza, l’episteme, invece, del “metro di Policleto”, di ferro e indeformabile.

A sua volta, la prudentia romana fonda la iuris-prudentia, basata sui codici, norme formalizzate che si adattano però, in maniera non arbitraria, al variare delle situazioni da interpretare, così da modificarsi e arricchirsi a contatto con le situazioni concrete.

È all’inizio dell’età moderna che l’idea di prudenza subisce una prima curvatura in direzione della cautela. Quando, infatti, la ruota della Fortuna comincia a girare più velocemente e si assiste, secondo Machiavelli, a una «variazione grande delle cose [...] fuora di ogni umana coniettura», allora essa comincia a sembrare una virtù caratteristica della vecchiaia. Nei tempi inquieti, si sostiene, solo i giovani sono in grado di far fronte all’imprevisto. In condizioni normali e pacifiche, infatti, l’«uomo respettivo», ossia prudente e maturo di giudizio e di età, può certo riuscire a governare felicemente le situazioni, ma in epoche travagliate ha più successo l’«impetuoso», il giovane, provvisto di maggiore coraggio e apertura al nuovo e di minore rispetto per il passato e l’esistente.

Il libro di Stefano Zamagni, che appare in una collana opportunamente intitolata “Parole controtempo”, si propone il compito di invertire il discredito moderno della prudenza e di mostrarne, al contrario, il bisogno nella società attuale (governata dall’interesse soggettivo, non bilanciato da una visione ponderata delle relazioni sociali e dal bene comune, e segnato dal privilegiamento dei mezzi e dall’indifferenza dei fini): «la prudenza è pienamente tale quando è virtù civile, quando cioè il suo campo di applicazione è la civitas, la città con le sue istituzioni. Non c’è vita buona in isolamento, fuori dello sguardo dell’altro. Prudente, dunque, è chi eccelle nell’arte di gettare ponti e di costruire relazioni umane, perché è solo nella vita in comune che l’essere umano - animale sociale - può fiorire in pienezza».

Con lucidità e ricchezza d’informazione, il volume ci accompagna nel processo di comprensione di questa dimenticata virtù intellettuale e morale. La prudentia, da providentia, «guardare in avanti, vedere lontano», deliberare prendendo decisioni giuste e valutandone le conseguenze, è quindi strettamente legata alle nozioni di responsabilità e di corretta o attendibile conoscenza della realtà non minata dall’autoinganno. Con l’eccezione degli illuministi italiani (Genovesi, Galiani, Alessandro Verri e Beccaria) e scozzesi (l’Adam Smith della Teoria dei sentimenti morali), i filosofi e gli economisti non hanno, da allora e in maggioranza, tenuto in gran conto la prudenza.

Da economista, Zamagni coglie l’importanza della «svolta della rivoluzione marginalista» degli anni Settanta dell’Ottocento con Jevons, Menger e Walras, nel trasformare - in maniera indiretta, ma radicale - l’idea di prudenza. Ponendo, infatti, l’accento sulla massimizzazione dell’utilità attesa nell’allocazione ottimale delle risorse da parte dell’homo oeconomicus, si perdono di vista sia il bene comune che le relazioni intersoggettive. L’agire umano assume, di conseguenza, una dimensione astorica e si separa dalla virtù in quanto commisurazione di mezzi e fini. Diventa una questione di gusti e una sistematica riduzione dei valori a preferenze individuali. Invece di chiedermi «cosa è bene che io voglia», mi domando invece «cosa devo fare per ottenere ciò che voglio».

Mediante l’inversione tra mezzi e fini, si santifica l’avidità e si accumula ricchezza senza saperla usare e senza neppure goderne a pieno: «Secondo la celebre espressione di Søren Kierkegaard, la porta della felicità si apre verso l’esterno, sicché può essere dischiusa solo andando “fuori di sé”. Il che è proprio quanto l’avido, che manca di prudenza, non sa fare». L’imprenditore che guarda al guadagno, che è timoroso nell’investire sull’innovazione, che non sa tenere insieme «le radici e le ali» rappresenta il simbolo contemporaneo della mancanza di prudenza quale lungimiranza “ben temperata”.

Oggi, tuttavia, si nota un ritorno della prudenza, perché si è compreso che né la vita delle persone, né il funzionamento dell’economia e delle società possono andare avanti secondo criteri in cui siano assenti l’etica e la prudenza, le sole risorse atte a risolvere il conflitto tra interesse privato e interesse collettivo: «Un bel racconto di Chatwin ci indica come fare per favorire lo sviluppo di questa capacità. Uno schiavista bianco riesce a convincere i suoi schiavi neri ad accelerare l’andatura in cambio di denaro. In prossimità della meta, gli schiavi si fermano rifiutandosi di riprendere il cammino. Interrogati per dare spiegazione del loro irragionevole comportamento - all’inizio, infatti, avevano accettato l’offerta - rispondono: “Vogliamo dare tempo alle nostre anime di raggiungerci”. È proprio così: nelle fasi di crisi, cioè di transizione, c’è bisogno di sostare un po’ per consentire al pensiero pensante di raggiungere (almeno) il pensiero calcolante. È questo, in fin dei conti, il grande messaggio della prudenza».

Tutto giusto e condivisibile, anche se il processo per raggiungere tale obiettivo sarà lungo. Come ha detto argutamente Giorgio Ruffolo: «il capitalismo ha i secoli contati»


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