Giuseppe Di Vittorio e il New Deal per l’Italia
Con una breve premessa pubblichiamo un testo che abbiamo pescato nel sito della CGIL, lì inserito il 24 gennaio 2013. Il “piano del lavoro” proposto dal bracciante pugliese divenuto, dopo anni di antifascismo militante, segretario generale del sindacato dei lavoratori italiani è un atto culturale e politico che va ricordato oggi, che al Lavoro si vogliono continuare a faro pagare i prezzi della crisi provocata dai servi sciocchi del Capitale.
Premessa
Due circostanze ci hanno spinti a cercare e riprendere proprio in questi giorni agostani questo testo, pubblicato sul sito della CGIL .
1. Integrare l’articolo che l’amico Giorgio Nebbia ci ha inviato e che abbiamo, come al solito, pubblicato nelle “opinioni”;
2. ricordare il bracciante pugliese di cui ricorreva recentemente l’anniversario della nascita (13 agosto 1898) proprio nei giorni in cui i quotidiani ci raccontano degli ulteriori tentativi delle forze che sorreggono il governo Renzi di far pagare ancora più duramente al lavoro la crisi provocata dalla più recente (e letale) incarnazione del capitalismo.
Non è la prima volta che ricordiamo su eddyburg il significato che ebbe quella proposta scaturita dal mondo del lavoro. Che essa non sia stata riaccolta in quegli anni e rapidamente dimenticata dalla stessa politica e cultura della sinistra italiana è un triste segno dei tempi. Che essa sia stata ripresa dalla lista “l’altra Europa con Tsipras” e sia al centro del dibattito per una nuova sinistra italiana ed europea è un segno di speranza per il futuro.
IL PIANO DEL LAVORO 1949-50
Nel 1949, anno in cui, in ottobre, al Congresso nazionale di Genova Giuseppe Di Vittorio presenta la proposta di un “piano economico e costruttivo per la rinascita dell’economia nazionale”, l’Italia è ancora tutta alle prese con gli effetti disastrosi della Seconda Guerra mondiale. I senza lavoro sono due milioni, concentrati per gran parte al Sud, un milione di lavoratori sono ad orario ridotto e più di un milione di braccianti è occupato solo saltuariamente. Anche le infrastrutture sono ai minimi termini, il tasso di scolarizzazione è tra i più bassi d’Europa, moltissimi italiani sono costretti a emigrare, le diseguaglianze sono fortissime, la fame e la malnutrizione sono realtà tangibili.
Ma il 1949 è anche un anno di mobilitazioni e di lotte di massa per il lavoro, per il salario, per il riscatto del Mezzogiorno che vedono la CGIL in prima fila. E a proposito del Mezzogiorno, Di Vittorio a Genova afferma “che l’unica spedizione militare che potrebbe riuscire a eliminare il banditismo e la mafia dovrebbe essere una spedizione di ingegneri e di tecnici”. Il Piano del lavoro nasce con un’ispirazione keynesiana e con l’idea di raccogliere e unire tutte le energie produttive per far sì che la fase delle ricostruzione coincida con un nuovo sviluppo del Paese. Non una trasformazione radicale dei rapporti di classe, dunque, ma un deciso intervento pubblico per correggere gli squilibri sociali ed economici. E, per la CGIL, un modo di affermarsi come sindacato di proposta e di lotta anche su questioni di carattere generale.
Il Piano, che dopo il Congresso di Genova viene presentato l’anno successivo a Roma, può essere sintetizzato in tre direttrici di intervento: nazionalizzazione dell’energia elettrica con la costruzione di nuove centrali e bacini idroelettrici laddove erano più necessari, soprattutto al Sud; avvio di un vasto programma di bonifica e irrigazione dei terreni per promuovere lo sviluppo dell’agricoltura, specialmente nel Mezzogiorno; un piano edilizio nazionale per la costruzione di case, scuole e ospedali.
La realizzazione del Piano prevedeva la creazione di 700 mila posti di lavoro e i finanziamenti sarebbero arrivati da una tassazione progressiva “da richiedere alle classi più abbienti, in modo particolare ai grandi gruppi monopolistici e alle società per azioni”; dal risparmio nazionale e da prestiti esteri che non mettessero in discussione “l’indipendenza economica e politica della nazione”.
Anche se il Piano non diede nell’immediato i risultati voluti, indicò tuttavia alcune direttrici di politica economica che sarebbero poi state avviate avviate e realizzate dai governi dei decenni successivi (la nazionalizzazione dell’energia elettrica, le bonifiche, il piano edilizio, ecc, per esempio). E produsse, inoltre, una straordinaria mobilitazione civile, “un movimento - come ha sottolineato Bruno Trentin - che liberò immense energie potenziali, che suscitò l’insorgere di nuovi fatti associativi e organizzativi, di nuove forme di partecipazione dal basso”.
Riferimenti
Del “piano del lavoro” della CGIL abbiamo scritto nell’eddytoriale 144 del novembre 2010. Su Giuseppe Di Vittorio vogliamo anche ricordare l’episodio della sua vita che è stato commentato dalla figlia Baldina. Rinviamo poi all’archivio della Fondazione Giuseppe Di Vittorio. Sul significato e il possibile contenuto di un new deal italiano oggi rinviamo ai numerosi articoli di Guido Viale ripresi da eddyburg e oggi negli archivi della vecchia e della nuova edizione.