L’avversarono crociani e comunisti
di Nello Ajello [2001]*
Un omaggio rivolto a un amico di anni lontani. E’ questo, in primo luogo, la Lettera a Carlo Levi che Giovanni Russo ha appena pubblicato presso gli Editori Riuniti (pagg. 102, lire 18.000). L’ autore di Cristo si è fermato a Eboli diventa, per Russo, una sorta di testimone autobiografico, quasi una metafora della gioventù. S’ affacciano nel libro tanti luoghi deputati del dopoguerra italiano (e soprattutto romano) che evocano la presenza di Carlo Levi, tante persone che il mittente della Lettera ha conosciuto per suo tramite: da Giulio Einaudi a Italo Calvino, da Natalia Ginzburg a Linuccia Saba (e a suo padre, Umberto), da Cesare Pavese ad Anna Magnani. L’ abitazione romana di Levi in palazzo Altieri e i «rifugi» di villa StrohlFern e poi di via del Vantaggio, dove egli collocò nel tempo il suo studio di pittore, erano sempre aperti ai visitatori. Russo li rivede, su quello sfondo di lieve elegia che assumono i ricordi.
Ma la Lettera a Carlo Levi non è soltanto questo. Vi si rivendica un’ intera eredità di pensiero. Si mira a sottrarre il «levismo» - cioè una interpretazione eterodossa della questione meridionale - all’ incomprensione di cui in origine soffrì, e che ancora oggi potrebbe appannarne il valore.
L’ autore difende Levi dalle accuse sia dei comunisti, sia di quei «crociani» che vedevano nell’ apoteosi della civiltà contadina del Sud il pretesto per diffondere una favola estetizzante e un po’ narcisistica. Per Russo, nella personalità di Levi il poeta e il riformatore convergono. Intuizione artistica e impegno politico coincidono. Quel letterato-pittore appartiene in pieno alla tradizione liberale. Ha letto Salvemini, Fortunato, Gramsci, Nitti, Gobetti.
E’ «molto concreto», scrive l’ amico biografo, «e, se così si può dire, molto torinese». Opponendo il mondo contadino alla mentalità «piccolo-borghese dei proprietari e dei galantuomini» egli ha creato, più che una mitologia, una scuola: il nome di Rocco Scotellaro - il giovane sindaco socialista di Tricarico, poeta, antropologo e narratore del Sud che fu molto caro a uno studioso di economia agraria del rango di Manlio Rossi Doria - s’ intreccia, in queste pagine, a quello di Carlo Levi. L’ ideale di un’ autonomia della civiltà contadina, che si esprime nel «borgo», presentava dei punti di contatto non illusori con la dottrina comunitaria di un Adriano Olivetti.
Lo scetticismo che lo scrittore torinese opponeva a ogni soluzione tecnico-economica dei problemi del Sud parve a suo tempo rientrare in un’ utopia letteraria, sia pure nobile e suggestiva. In parte almeno, quell’ impressione rimane. Ma oggi che il meridionalismo è in coma (e i passati interventi di industrializzazione del Sud assumono, quale più, quale meno, il sapore d’ una scommessa perduta), la passione con la quale Giovanni Russo racconta il "suo" Carlo Levi non corre certo il rischio di sembrare eccessiva.
Nello Ajello
* Fonte: la Repubblica, 02 marzo 2001