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TROIA, L’OCCIDENTE, E IL PIANETA TERRA ....

L’EUROPA, LA LUCANIA, E LA GUERRA DI TROIA: L’ANALISI DI CARLO LEVI. Una nota - di Federico La Sala

"Il peccato che deve finire è l’adorazione da parte dell’uomo di una cosa umana, di un idolo bestiale, che è animale araldico, mostro adorato, religione statale, guerra e schiavitù"
lunedì 3 agosto 2015
[...] nel Cristo si è fermato a Eboli, c’è "la scoperta prima di un mondo nascente e delle sue dimensioni, e del rapporto di amore che solo rende possibile la conoscenza" [...] egli ha ben compreso - come scrive all’editore Einaudi nel 1963 - non solo "la Lucania che è in ciascuno di noi", ma anche "tutte le Lucanie di ogni angolo della terra" [...] A suo onore e memoria, possono valere (in un senso molto prossimo) le stesse parole del "Finnegans Wake" di Joyce, riferite a Giambattista (...)

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> L’EUROPA, LA LUCANIA, E LA GUERRA DI TROIA -- La rimozione di Carlo Levi. Nell’oblio i 40 anni dalla morte e i 70 del celebre romanzo (di M. Novelli)

sabato 7 novembre 2015

Cristo dimenticato a Eboli.

La rimozione di Carlo Levi. Nell’oblio i 40 anni dalla morte e i 70 del celebre romanzo

di Massimo Novelli (il Fatto Quotidiano, sabato 7 novembre 2015)

Da tempo i giornali, così come le televisioni, propinano con un’abbondanza esagerata i ricordi, per questo o quell’anniversario, di personaggi della cultura, della storia (ma un po’ meno: forse la storia fa riflettere troppo sul presente), della politica, dello spettacolo e dello sport.

Si dà conto del quindicennale della morte o del secolo dalla nascita, dei 500 anni o dei mille; e si organizzano “eventi” non sempre seri e rispettosi, sovente mercificati. In questo mare magnum non tutto fa brodo, per parafrasare un vecchio spot della vecchia tv.

È il caso di Carlo Levi (Torino, 1902 - Roma, 1975), uno dei protagonisti di rilievo della cultura del Novecento. Del pittore, romanziere, saggista e militante dell’antifascismo, ricorrevano nel 2015 tre anniversari significativi: i quarant’anni dalla scomparsa; i settanta dall’uscita da Einaudi nel 1945 di Cristo si è fermato a Eboli; gli ottanta dal confino di polizia che il regime fascista gli impose tra i calanchi di Aliano, in Basilicata, e che fu all’origine della sua scoperta del Mezzogiorno e della scrittura del Cristo. La sua riproposizione, tra l’altro, sarebbe stata più che giustificata dal dibattito apertosi, sia pure per poco, sui disastri del nostro Sud, che Levi comprese, amò e per cui si batté.

Invece né la sua Torino, né Roma, e tantomeno la Lucania e Matera futura capitale della cultura, se ne sono rammentati, perlomeno seriamente. Ci sono state delle eccezioni, alcune positive e meritorie, altre contestate. Tra le prime vanno menzionate quelle del comune di Aliano, dove Levi è sepolto e ricordato con varie iniziative, e una serata a Matera promossa dal Circolo Carlo Levi e dal giornalista Rocco Brancati.

Polemiche e richieste di chiarimenti dal Movimento 5 Stelle hanno accompagnato la scelta del Consiglio regionale del Piemonte di acquistare, per oltre 32 mila euro, le copie di un volume fatto stampare dalla Fondazione Giorgio Amendola di Torino (che ha pure promosso due convegni di scarsa risonanza). Intitolato Il Telero: da Torino un viaggio nella questione meridionale, è stato voluto, dicono, per celebrare il quarantennale della scomparsa di Levi. Forse sarebbe stato più utile, e non troppo costoso, regalare alle scuole i libri di Levi.

A mettere in risalto l’oblio di uno scrittore che, con il Cristo e L’Orologio, ha dato alla letteratura italiana due capolavori, e che ha fatto guardare al Meridione con occhi nuovi, è stato per primo Nicola Filazzola, un artista lucano di valore, che incontrò Levi durante il suo ultimo viaggio ad Aliano.

Sulla rivista Il Colle di Matera ha pubblicato un articolo amaro e critico, poi parzialmente ripreso dalla Gazzetta del Mezzogiorno, in cui sottolinea che in un “clima di così sfacciata irriconoscenza, per l’uomo che scelse di intrecciare la propria esistenza con quella dei contadini di Basilicata, non mi sorprende che, in occasione del quarantesimo anniversario della sua morte, istituzioni come il Polo Museale della Basilicata e la stessa Rai lucana non abbiano preparato un evento, fornito un servizio degni dell’importanza che Levi occupò nella storia della nostra regione”. Filazzola ha proposto di organizzare, per celebrare Levi, “un incontro di tutti i Presidenti delle regioni meridionali, per una riflessione sullo stato del Mezzogiorno a settant’anni dalla pubblicazione del Cristo”. Sta aspettando che qualcuno, nei “Palazzi” del Sud, si faccia vivo.

Se la Lucania delle istituzioni tace, altrettanto fa Torino, la città in cui Levi, oltre a cospirare contro il fascismo e a disegnare la copertina di America primo amore di Mario Soldati, animò il gruppo dei “Sei di Torino”, che, alla fine degli anni Venti, mise assieme pittrici e pittori come Jessie Boswell, Gigi Chessa, Nicola Galante, Francesco Menzio ed Enrico Paulucci. La casa editrice Einaudi, è vero, ha ristampato lodevolmente L’Orologio e Quaderno a cancelli, ma in un sostanziale silenzio dei più, lo stesso che ha contraddistinto i libri editi da Donzelli. E Marco Rossi-Doria su La Stampa del 2 agosto ha invitato “a raccontare le cose del Mezzogiorno di adesso nello spirito con il quale Carlo Levi lo fece allora con acume analitico, parole scelte e ferme e civile passione”. Nessuno, naturalmente, ha raccolto l’invito.

Carlo Levi è stato rimosso dalla memoria della nazione. Lo rammentava Federica Montevecchi già nel 2012, su L’Unità, scrivendo che “non ha meritato un Meridiano (neppure un Antimeridiano)”, “proprio ora che c’è bisogno di lui”, come titolava il giornale. Una rimozione che sembra inconcepibile, assurda, se si pensa all’importanza di Levi nella letteratura, nell’arte figurativa, nel pensiero meridionalista e nell’antifascismo giellista e azionista.

Tuttavia l’oblio si può spiegare benissimo: oltre che con quell’eterno presente che predomina le istituzioni culturali italiane, con il fatto che l’opera dell’autore di Paura della libertà è innervata da valori di giustizia e di libertà, dalla passione civile, dall’impegno per i senza storia, per gli umiliati e offesi, per il riscatto del Mezzogiorno, che sono stati cancellati dalle agende politiche e culturali.

Le parole, per Levi, “sono pietre”; oggi sono di polvere. Per citare il suo Orologio, “mi pareva di essere tornato in un villaggio della Lucania, e di ascoltare i Signori conversare dei loro odî eterni e della eterna noia, seduti sul muretto della piazza, sopra il burrone, davanti alla distesa delle argille coperte”.


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