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TROIA, L’OCCIDENTE, E IL PIANETA TERRA ....

L’EUROPA, LA LUCANIA, E LA GUERRA DI TROIA: L’ANALISI DI CARLO LEVI. Una nota - di Federico La Sala

"Il peccato che deve finire è l’adorazione da parte dell’uomo di una cosa umana, di un idolo bestiale, che è animale araldico, mostro adorato, religione statale, guerra e schiavitù"
lunedì 3 agosto 2015
[...] nel Cristo si è fermato a Eboli, c’è "la scoperta prima di un mondo nascente e delle sue dimensioni, e del rapporto di amore che solo rende possibile la conoscenza" [...] egli ha ben compreso - come scrive all’editore Einaudi nel 1963 - non solo "la Lucania che è in ciascuno di noi", ma anche "tutte le Lucanie di ogni angolo della terra" [...] A suo onore e memoria, possono valere (in un senso molto prossimo) le stesse parole del "Finnegans Wake" di Joyce, riferite a Giambattista (...)

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> L’EUROPA, LA LUCANIA, E LA GUERRA DI TROIA -- "Paura della libertà". Carlo Levi indaga il sentimento che ha generato il fascismo

giovedì 21 giugno 2018

Libro

Quella libertà che fa paura

Carlo Levi indaga il sentimento che ha generato il fascismo

di Mario Fortunato (l’Espresso, 17.06.2018)

È veramente una sorpresa leggere oggi “Paura della libertà” (Neri Pozza, pp. 154, € 15) di Carlo Levi (1902-1975), “poema filosofico”, secondo il suo stesso autore, scritto fra il 1939 e il 1940 nel nord ovest della Francia, a La Baule - mentre l’Europa cominciava quell’esercizio di autoannientamento definito Seconda guerra mondiale - ma pubblicato solo nel 1946, all’indomani del grande successo di “Cristo si è fermato a Eboli”.

La riscoperta del testo (mai più ristampato come autonomo dal 1964) si deve a Giorgio Agamben che firma un’introduzione di poche e limpide pagine, in cui racconta fra l’altro come a suo tempo il libro sia stato malinteso o forse semplicemente non capito dall’intellighenzia comunista a cui pure Levi fu legato soprattutto negli anni Sessanta.

In effetti, già nel suo tono direi sapienziale, nella scrittura misteriosa e avvolgente, Levi sembra provenire da un altro pianeta, rispetto al dibattito italiano delle idee nell’immediato dopoguerra. Né Gobetti né Gramsci sembrano presiedere a queste pagine, ma casomai (è un suggerimento di Agamben) Mauss e Durkheim. Levi individua nella “paura della libertà” - cioè nel segreto ma essenziale desiderio di schiavitù, che si annida nelle masse soprattutto metropolitane del XX secolo - il sentimento che ha dato luogo al fascismo (oggi, con la crisi del modello della democrazia rappresentativa, siamo a un passo dal medesimo clima emotivo).

Per analizzare tale paura, lo scrittore si cala nei centri nervosi da cui il suddetto sentimento origina, trasformandosi in sistema: l’opposizione tra il sacro e il religioso, l’analisi dello Stato come idolo sociale, il ruolo della guerra quale nucleo originale della massa moderna, il linguaggio e la funzione dell’arte, l’idea della morte.

Allo Stato-idolo, Levi contrappone lo “stato di libertà”: che corrisponde a una sostanziale fuoriuscita dal modello di sviluppo capitalistico che, secondo lui, non può che perpetuare «l’eterno fascismo italiano». La sua è una proposta di “libertà nelle passioni”, che mi pare oggi di un’attualità politica davvero, ma davvero sorprendente.


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