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PIANETA TERRA. Fine della Storia o della "Preistoria"? "Pietà per il mondo, venga il nuovo sapere" (M. Serres, Distacco, 1986). Tracce per una svolta antropologica

OCCIDENTE, AGONISMO TRAGICO, E MENTE ACCOGLIENTE. Un contributo alle discussioni del FESTIVAL DI FILOSOFIA 2016 - di Federico La Sala

"Oriente e Occidente - scrive Nietzsche in "Schopenhauer come educatore" - sono tratti di gesso che qualcuno disegna davanti ai nostri occhi per beffarsi della nostra pavidità".
domenica 18 settembre 2016
Festival Filosofia 2016 - Agonismo
RIPRENDIAMO QUI
(VEDI:LE "REGOLE DEL GIOCO" DELL’OCCIDENTE E IL DIVENIRE ACCOGLIENTE DELLA MENTE - PDF)
il capitolo III della Terza parte del lavoro di Federico La Sala, La mente accogliente. Tracce per una svolta antropologica, Antonio Pellicani editore, Roma 1991, pp. 162-189: è un capitolo straordinario, per analisi e scrittura, dell’intera storia della filosofia occidentale. Buona lettura!
La Voce di Fiore (...)

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> OCCIDENTE, AGONISMO TRAGICO, E MENTE ACCOGLIENTE. --- Ignoranza da antropocentrismo culturale. A lezione dagli insetti: «Le api sono superiori» (di Rosi Braidotti).).

lunedì 19 luglio 2021

Io, filosofa del postumano, a lezione dagli insetti: «Le api sono superiori»

di Rosi Braidotti *

Adoro gli insetti perché nutrono una sublime indifferenza nei confronti di noi bipedi terrestri umani. Sono proprio l’opposto degli animali domestici, con i quali condividiamo fin troppo volentieri dolori e piaceri. È stupefacente pensare che i milioni di insetti che circolano in terra e per aria, non si curano minimamente di come noi li percepiamo o valutiamo. Non siamo noi il loro punto di riferimento, ma la terra stessa e il sistema cosmico-fisico nel suo insieme. Anche perché, nella stragrande maggioranza dei casi, noi umani non siamo capaci né di vederli né di sentirli, poiché il nostro dispositivo neuronale non ci consente l’udito infrasonoro, la visione microscopica o la recezione delle onde radar. Siamo limitati, a modo nostro. Moltissimi insetti invece, specialmente le api, sanno percepirci perfettamente anche a occhi chiusi, per via olfattiva.

Ignoranza da antropocentrismo culturale

Il nostro antropocentrismo ancestrale genera quindi una specie d’ignoranza collettiva o un deficit relazionale verso le altre specie. Siamo davvero in troppi a condividere la presupposizione - arrogante ed errata - che l’umano è l’apice della scala evolutiva. Le api sono magistrali nelle relazioni diplomatiche con noi: fanno come se la convivenza con gli esseri antropomorfici fosse consensuale e definitiva, invece non è così. Non sono addomesticate, ma collaborano con noi secondo un modello contrattuale relativamente chiaro. Citando Michel Serres lo definirei come un contratto socio-naturale. Lavorano per e con noi, condividendo profitti e rischi, ma tutto a modo loro. E difatti ogni tanto prendono e se ne vanno via in cerca di altre sistemazioni, svuotando le arnie e rompendo ogni legame con noi. Ritrovare gli sciami in fuga e riportarli nella casa predisposta per loro dagli esseri umani è un’operazione di carattere semi magico, frutto di sapienza antica, intuizioni primordiali e saper fare ancestrale. Non è da tutti saper comunicare con una specie cosi profondamente convinta della sua superiorità rispetto a noi. Certo, spesso poi le api ritornano nell’arnia, ma tanto sappiamo tutti che se ne andranno di nuovo, quando e come vorranno loro. A decidere sarà lei, l’ape regina - vero simbolo del femminismo postumano - che comunque è stata prescelta, eletta e nutrita dalle api lavoratrici, operaie qualificate in vari settori e specializzazioni. La vera potenza e forza costituente sono loro, anche se a determinare tempi e modi sarà lei.

Metafora = sfruttamento epistemologico

Noi umani invece siamo affascinati da questi insetti, alternando orrore e passione. La nostra cultura promuove un innamoramento generale specialmente nei confronti delle api. Anche quando le temiamo, o ci fanno ribrezzo, non ci lasciano mai indifferenti. E siamo golosi di miele e di propoli. Loro invece sono molto più attratte dai pistilli succulenti e tentacolari delle specie vegetali, carichi di polline e nutrienti vitali. L’umano in confronto è irsuto e insipido. Il problema però è che quando pensiamo a loro, noi umani precipitiamo in un vero delirio di analogie e metafore - un’overdose quasi infantile di entusiasmo nei loro confronti. La metafora è una forma di sfruttamento epistemologico e letterario, verso la quale dovremmo essere più critici. Prima viene l’ammirazione per la loro carrozzeria, il design visivo incorporato in quegli organismi cosi efficaci, un’estetica industriale avant la lettre capace perfino di sconfiggere la gravità. Non per nulla quelle forme compatte di api e vespe furono immediatamente recuperate dagli ingegneri della Piaggio negli anni Sessanta.

Gli insetti sono metafore viventi

Ma i voli in motorino sono pura metafora della velocità di fuga del capitale, e le loro ruote restano piantate in terra. Poi si scatena tutta la dimensione analogica morale. In un’ottica antropocentrica, gli insetti sono metafore viventi, figure araldiche distinte che evidenziano virtù specifiche alla nostra specie, non alla loro. La letteratura ma anche la filosofia straripano di bestiari moralizzanti, per esempio sulla moltitudine alata o strisciante di insetti come modello del proletariato globale, oppure del populismo organico e delle sue schiere indistinte di seguaci. Così l’ape laboriosa, al servizio della massa, simbolo della classe operaia nella propaganda politica di destra come di sinistra. Ma l’orgia associativa non si ferma: le fiabe, la cultura popolare ed i proverbi celebrano la cicala cialtrona, il calabrone scocciatore, le vespe moleste, le mosche noiose, gli scarafaggi schifosi, i ragni contorsionisti, le larve ributtanti. Per non parlare del miele, definito cibo divino...

Freud e l’esuberanza zoologica

La loro stessa esistenza punzecchia ed interpella la nostra integrità di homo/femina sapiens. «Ma come fanno a esistere, quegli esseri lì?», si diceva a casa mia ogni volta che appariva un insetto mostruoso. Forse la paura della diversità ha davvero radici non umane. La sessualità degli insetti d’altronde affascinava già Plinio il Vecchio e da allora le speculazioni degli umani sulla vita sessuale di questi organismi così radicalmente diversi dagli altri membri del regno animale continua ad accendere scenari fantasmatici torridi. Pensiamo alla mantide così detta religiosa, in realtà ninfomane assassina, le specie di cimici trans, capaci di cambiare e scambiare sesso, i casi di ermafroditismo e la promiscuità strategica dell’ape regina. La stessa rapidità dei cicli di vita e di riproduzione degli insetti, le combinazioni diverse e varie dei loro organi e sistemi sessuali, la mancanza di riferimenti visivi determinanti dell’appartenenza al genere fanno tutto per confondere ma anche eccitare l’immaginazione erotica umana. Loro invece, vanno avanti tranquilli nella loro esuberanza zoologica, infischiandosene di interpretazioni freudiane delle loro microscopiche proboscidi e pelosissime zampette.

La sessualità multi-specie

Minuscole ed impegnatissime, le api sono delle costruzioni morfologiche improbabili ed incomprensibili ibride e nomadi per eccellenza. Davvero inquietanti, questi abitanti del nostro pianeta! Libere e ferocemente affamate di contatti impollinanti, le api praticano quotidianamente una sessualità multi-specie, visitando fiori e piante in quantità industriale. I poteri trasformativi delle metamorfosi larvali, i ritmi delle loro mutazioni, le qualità virali che le contrassegnano intimidiscono e seducono gli umani. La nostra temporalità si avvicina molto di più a quella degli elefanti che ai ritmi di vita e di amore di farfalle, libellule o api. Le api hanno un ritmo esistenziale straordinario, sincronizzato con l’asse terrestre e solare, che permette loro di vivere in un tempo-spazio immenso, un’ecosfera cosmica, che loro contrassegnano con sistemi di riconoscimento in termini di gradi di calore, odore, intensità e profumo. Questa differenza radicale mi interpella. Le api mi sfidano a sviluppar un rapporto non-antropocentrico all’alterità che esse stesse rappresentano nella mia mente fin troppo umana.

Lo sciame digitale

Dovremmo inventarci una maniera non-antropocentrica di rapportarci alle api, che sono una delle forze motrici della Terra, un pianeta che non ci appartiene, come del resto dovremmo fare con tutti gli organismi non-umani. Umanizzarli significa ridurre la loro specificità. Osservare le api e studiarle per me è un apprendistato alla soggettività postumana. Ma non ci si libera dell’antropocentrismo in un batter d’occhio. Avvicinarsi alle api implica un cambiamento corporeo, un divenire-insetto che richiede l’acquisizione di sensi, facoltà e modi di percezione che non fanno parte del patrimonio genetico umano.

L’apicultura, anche come filosofia pratica del divenire, esige duro lavoro. La tecnologia contemporanea offre interessanti possibilità di aumentare le capacità corporee e neuronali umane, inserendo processi di trasformazione postumana. Nel mondo d’oggi, gli insetti e in particolare le api hanno ispirato le immagini dominanti dello sciame digitale, il nugolo di mega-bytes che circola in rete, cioè nel sistema ragnateloso dell’elettronica. Internet insegue ed imita il paradigma dell’insetto come artigiano cosmico. Micro-cellule alate, particelle elementari volanti: non c’è drone che non sogni di poter diventar ape, e difatti i droni stanno diventando piccolissimi.

Entità naturali e culturali, ecologiche e tecnologiche

Per gli umani, le api tracciano dei percorsi di diventare insetto che richiamano questi modelli tecnologici, ma di fatto si appoggiano sul contratto social-naturale che le api hanno saputo perfezionare nel corso di millenni. I soggetti postumani odierni sono entità naturali e culturali, ecologiche e tecnologiche allo stesso tempo. Ciò che li contraddistingue è il fatto di essere immanenti a un territorio, cioè di essere capaci di riconoscere e rispettare le radici materiali e terrestri della loro esistenza. In questo senso, divenire ape è anche un modo di far sparire l’umano nel seno della complessità del nostro pianeta: diventare terreste, divenire impercettibile. Elementari, complesse, atmosferiche e terresti, volanti e caserecce, vagabonde e precise, le api trasportano, traspongono e traducono incessantemente tra gli elementi, le entità, le specie e le cose. Il loro ronzio rende udibile il boato delle alte sfere, la loro attività molto specializzata produce effetti di ibridazione costante. Il loro volo ha il potere di riportarci a terra, di restituire la specie umana all’appartenenza profonda ad un pianeta di cui non sappiamo e non vogliamo aver cura. Imparare dalle api significa anche studiare le radici ecologiche del nostro essere, l’eterogeneità che ci permette di sopravvivere e di prosperare in uno scambio continuo con gli altri, umani e non umani.

L’etica della relazione

L’etica della relazione è il fattore decisivo che ci collega, anche affettivamente, agli altri. Il ronzio cosmico delle api m’interpella davvero e a volte mi spaventa. Scandisce i ritmi di un’etica del divenire collettivo. Ribadisce l’inter-dipendenza a livello molecolare ed ecologico, senza eliminare le differenze. È seduttivo ed esigente al tempo stesso - come può esserlo la materia vivente, nel momento in cui ci rendiamo conto che la vita non ci appartiene e che gli ospiti al banchetto delle dee alate siamo proprio noi.

* SETTE - CORRIERE DELLA SERA, 14.07.2021 (ripresa parziale - senza immagine).


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