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MEMORIA, STORIA, E FILOLOGIA. L’AMORE NON E’ LO ZIMBELLO DEL TEMPO. Il ’cattolicesimo’ è finito...

GIOACCHINO DA FIORE, LA SORPRENDENTE “CARITÀ”, E IL DRAMMA DEL CATTOLICESIMO ATEO E DEVOTO. Una nota - di Federico La Sala

Di Gioacchino se si è conservato memoria del suo lavoro come del suo messaggio, lo si deve sicuramente alla sua "posterità spirituale" - è da dire con H. De Lubac, ma contro lo stesso De Lubac (...)
martedì 1 febbraio 2022
Foto: Stemma della città di San Giovanni in Fiore.
DIO E’ AMORE ("Charitas") O MAMMONA ("Caritas")?! L’AMORE NON E’ LO ZIMBELLO DEL TEMPO...
"È nostro altissimo dovere tenere sempre presenti e diligentemente imitare i luminosi esempi della ammirabile carità ...": "Mirae caritatis. De sanctissima eucharistia", della "Ammirabile Carità. La santa eucarestia", così è intitolata e così è tradotta la "Lettera enciclica" di Leone XIII,del 28 maggio del 1902:
MIRAE CARITATIS. LETTERA ENCICLICA (...)

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> GIOACCHINO DA FIORE, LA SORPRENDENTE “CARITÀ” --- «Così la forza di Gioacchino da Fiore ha conquistato la “mia” Costanza d’Altavilla». Intervista a Elisabetta Pellini (di E. Morrone).

domenica 25 dicembre 2022

L’INTERVISTA

«Così la forza di Gioacchino da Fiore ha conquistato la “mia” Costanza d’Altavilla»

L’attrice Elisabetta Pellini racconta la sua esperienza sul set de “Il Monaco che vinse l’Apocalisse”. «Location uniche per poesia e spiritualità»

di Emiliano Morrone (Corriere della Calabria, 24/12/2022

Dallo scorso primo dicembre è in postproduzione il film su Gioacchino da Fiore Il Monaco che vinse l’Apocalisse, diretto da Jordan River e prodotto da Delta Star Pictures con il sostegno della Fondazione Calabria Film Commission. L’uscita dell’opera cinematografica è prevista entro il 2025, l’anno del prossimo Giubileo ordinario della Chiesa, nel quale l’abate florense, vissuto tra il 1135 circa e il 1202, potrebbe essere beatificato, stando ad autorevoli fonti religiose. Nel XVI secolo il messaggio di Gioacchino - la profezia, direbbe il filosofo Gianni Vattimo, dell’emancipazione spirituale degli uomini - arrivò perfino nelle Americhe, come documentato dall’antropologo Georges Baudot nel volume “Utopía e Historia en México”, e lì fu determinante per la fondazione di diverse città, tra cui Puebla de los Angeles, oggi Puebla de Zaragoza, secondo uno studio di Silvia Castellanos de García, docente nell’Universidad National Autònoma de México. Eppure, proprio l’origine calabrese del monaco sembra essere penalizzante, per via di forti pregiudizi culturali che ancora gravano sulla (e nella) regione Calabria.
-  Abbiamo intervistato Elisabetta Pellini, che nel film - alla cui scrittura ha collaborato il filosofo italiano Andrea Tagliapietra, tra l’altro curatore del volume gioachimita “Sull’Apocalisse”, edito da Feltrinelli - interpreta il ruolo di Costanza d’Altavilla, madre di Federico II e grande estimatrice dell’abate Gioacchino, di cui Dante Alighieri riprese la teologia figurativa e cui Michelangelo Buonarroti si ispirò per i suoi affreschi nella Cappella Sistina. Il film in questione punta a divulgare la spiritualità e l’attualità del pensiero di Gioacchino da Fiore, ancora poco conosciute dal grande pubblico nell’era del consumismo digitale, del mercatismo e della globalizzazione imperanti. Peraltro, la speranza di vari amministratori locali calabresi è che il film possa far conoscere nel mondo il fascino della Sila, in cui sono state girate diverse scene di quest’opera di River, da tempo cultore appassionato dell’abate calabrese.

      • Elisabetta Pellini, lei interpreta Costanza d’Altavilla nel film Il Monaco che vinse l’Apocalisse. Chi era quel monaco e come lo considerava la regina Costanza, madre dell’imperatore Federico II?

«Nel film la regina Costanza intravede in quel monaco la figura spirituale più vicina cui affidare le sue preoccupazioni più intime. Nel segreto della confessione, Costanza, la madre di Federico II, imperatore del Sacro Romano Impero e re di Gerusalemme, manifesterà il suo più profondo riconoscimento. La regina Costanza decide di confessarsi con il monaco Gioacchino invece che con il Pontefice. Ciò perché aveva grande stima e fiducia nei suoi riguardi. Il gesto compiuto dalla regina Costanza entrerà nella storia. Nessuna regina fino ad allora si era mai confessata e inginocchiata davanti ad un monaco».

      • Dante Alighieri definì Gioacchino da Fiore il «calavrese abate», riconoscendogli la dote dello «spirito profetico». Crede che quel riferimento alla provenienza geografica di Gioacchino sia oggi un limite per la divulgazione del suo pensiero e della sua figura?

«Dante gli esprime il proprio riconoscimento non solo in una terzina. Va detto che la Divina Commedia è veramente intrisa di forza gioachimita. Non tutti sanno che leggendo il capolavoro della Divina Commedia si legge anche il pensiero di Gioacchino. Per esempio, nel Canto XXXIII del Paradiso, Dante contempla le tre Persone divine e, con una grandiosa raffigurazione, illustra il mistero della Trinità. Per esempio, quando Dante scrive “Nella profonda e chiara sussistenza/ dell’alto Lume parvermi tre giri/ di tre colori e d’una contenenza;/ e l’un da l’altro, come iri da iri,/ parea reflesso, e il terzo parea foco,/ che quinci e quindi igualmente si spiri”. Lì Dante illustra i tre cerchi trinitari di Gioacchino da Fiore presenti nel Liber Figurarum, un’edizione del quale è conservata a Oxford».

      • Come si è preparata per interpretare il suo ruolo?

«Ho letto lo stralcio del copione e poi ho avuto un incontro con il regista, prima delle riprese per lavorare sul personaggio di Costanza d’Altavilla. River usa un metodo tutto suo, pone molta attenzione alla preparazione, fornendo gli strumenti necessari per l’avventura cinematografica. Poi sul set si gira. Il regista indica la via, ma poi è l’attore che deve percorrerla. River cerca, insomma, di lasciare gli attori liberi di esprimersi per arrivare all’anima del personaggio. Nel film c’è una crew, una squadra molto importante e attenta ai particolari. Ognuno ha messo un po’ della propria arte. Per il trucco, Vittorio Sodano ha usato l’aerografo, in modo da renderlo il più naturale possibile. Non ci sono molte foto e materiali sull’immagine della regina Costanza, ma all’epoca si usava il caolino per truccarsi e nascondere le imperfezioni. Il costumista Daniele Gelsi è stato attento a ogni particolare del costume e mi ha consigliato dei movimenti per rendere l’abito più visibile e anche per entrare nell’epoca di Costanza d’Altavilla. Per il resto ho seguito il mio istinto di attrice e sono entrata per magia in quel contesto storico. È stato bellissimo. Le scenografie erano magnifiche. Le luci del direttore della fotografia, Gianni Mammolotti, hanno creato l’atmosfera giusta e intima per il grande incontro della regina Costanza con Gioacchino da Fiore, il monaco che vinse l’Apocalisse».

      • Che cosa l’ha più colpita della storia e del carattere di Costanza d’Altavilla?

«L’umiltà regale e la ricerca della spiritualità per il figlio Federico II».

      • Il film è stato in parte girato nel territorio di San Giovanni in Fiore, dove chiari segni del profetismo e della spiritualità di Gioacchino sono ancora presenti. Che impressione ha ricevuto da quei luoghi silani?

«Sono stata sul set in occasione delle riprese girate nel Lazio, successivamente a quelle realizzate nelle location calabresi. Per ora ho avuto modo di conoscere le splendide location della Sila soltanto virtualmente, poiché il regista, per farmi entrare nella scia spirituale del film, mi ha inviato un link per visionare alcune scene girate proprio a San Giovanni in Fiore. Ho visto per esempio la scena della tonsura di Gioacchino, girata nella cripta dell’Abbazia Florense. Nello specifico, si tratta di una vera immersione nella luce divina».

      • Quali sono, a suo avviso, le difficoltà nella realizzazione di un film su un personaggio come Gioacchino da Fiore, poco noto al grande pubblico e in un contesto culturale molto diverso dagli anni ’80, in cui uscirono il libro e poi il film Il nome della rosa?

«Ci sono molte ambientazioni simili alla famosa pellicola “Il nome della rosa”. Anzi, direi di più: nel film “Il Monaco che vinse l’Apocalisse” ci sono location uniche, davvero spettacolari, con uno stile in cui la poesia e la spiritualità saranno i punti di forza».

      • Che cosa può a suo avviso rappresentare nel panorama culturale, non soltanto italiano, il film Il Monaco che vinse l’Apocalisse?

«Da quello che mi è parso di percepire l’opera non si limita a eventi storici, ma li riporta in vita per farli vivere e amare. Affronta tematiche atemporali e universali come il coraggio, la costanza, la vittoria della vita sulla morte, la fraternità, l’amore».

      • Quando potrebbe uscire il film?

«La produzione non ha ancora annunciato la data di uscita, ma ha però confermato che sarà distribuito in tutto il mondo entro il Santo Giubileo del 2025».

      • Che lettura dà il film della vita di Gioacchino rispetto al suo rapporto con la Chiesa?

«Sappiamo che è in corso la causa di beatificazione di Gioacchino da Fiore e non è escluso, come trapela da importanti fonti religiose, che la Chiesa lo proclami beato entro il prossimo Giubileo del 2025. Certo, la Chiesa è in forte ritardo, sono infatti passati oltre 800 anni. Ma forse ciò doveva avvenire in quest’era, della “terza età”».

      • Come sono andate le riprese in Calabria?

«Nell’estate scorsa sono state girate le riprese in Calabria, ma non ho avuto modo di esserci. So che sul set ci sono stati molti colleghi attori e che l’amministrazione comunale di San Giovanni in Fiore e la presidente della provincia di Cosenza, Rosaria Succurro, è stata al fianco della produzione dandole il massimo supporto. All’uscita del film, se sarò invitata, verrò volentieri a presentarlo Calabria, insieme al regista e alla produzione». (redazione@corrierecal.it)


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