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STORIA E MITO.

DANTE, ERNST R. CURTIUS E LA CRISI DELL’EUROPA. Note per una riflessione storiografica - di Federico La Sala

L’EUROPA IN CAMMINO. GIASONE, "L’OMBRA D’ARGO", E “VENTICINQUE SECOLI” DI LETARGO...
lunedì 25 marzo 2024
Foto: "La nave Argo con l’equipaggio" (Lorenzo Costa)
[...] Nel 1770 a Strasburgo, nei pressi del confine del Sacro Romano Impero con la Francia, Goethe “guarda un arazzo che narra le storie di Giasone, di Medea e di Creusa”, preparato “per le feste in onore dell’arrivo della sposa” di Luigi XVI di Borbone, Maria Antonietta d’Asburgo-Lorena che si stava trasferendo a Versailles, e così commenta: «dunque un esempio del più infelice matrimonio»! [...]
FILOLOGIA E (...)

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> DANTE, ERNST R. CURTIUS E LA CRISI DELL’EUROPA. --- E.R. Curtius e la "Letteratura europea e Medio Evo latino": «cioè circa ventisei secoli (calcolati da Omero a Goethe)» (di Corrado Bologna - "Doppiozero")

sabato 26 novembre 2022

E.R. Curtius: la crisi, le rovine e l’Europa

di Corrado Bologna (Doppiozero, 19 Novembre 2022)

      • La Crisi, le rovine

Quando Letteratura europea e Medio Evo latino (Europäische Literatur und lateinisches Mittelalter) uscì presso l’editore Francke di Berna, nel 1948, quell’Europa che brillava come un faro storiografico e culturale nel titolo era ridotta allo sfacelo, e lentamente cominciava a riprendersi dalla guerra più spaventosa che il mondo avesse mai patito. Dall’ammasso sconfinato di rovine materiali e spirituali che coprivano il continente, la sua coscienza annebbiata e d’improvviso sottratta all’incubo di un trentennio orribile impastato di frammentazioni e di scontri nazionalistici, di dittature feroci e di osceni stermini, con il libro di Ernst Robert Curtius sembrava risorgere un’impensata idea di unità, di compartecipazione, che due guerre mondiali avevano distrutto. La Crisi coinvolgeva l’intero Occidente, la sua immagine e la sua consapevolezza, i suoi progetti di futuro. E si badi, è la Crisi i cui ultimi scossoni, più di 70 anni dopo, fanno tremare ancora noi, per le stesse fratture, le stesse fragilità e volontà di potenza.

Rileggendo Curtius potremo non certo sottrarci al minacciato Armageddon, ma di sicuro tentare di cercare un Senso alla vicenda di irrazionalità e di catastrofe che continua a perseguitarci, alle nostre lacerazioni, ai nostri terrori apocalittici, al nostro continuo guardare a un’Europa unita il cui destino Curtius tracciava con nostalgia di conservatore, ma che oggi possiamo rimeditare da un punto di vista assai diverso, con questo capolavoro storiografico fra le mani. Un monumento alla storia della civiltà europea, finora introvabile, dopo l’esaurirsi della bellissima edizione curata da Roberto Antonelli per la Nuova Italia nel 1992 (io stesso collaborai, con fatiche enormi), ma per fortuna oggi riproposta in un’edizione altrettanto elegante da Quodlibet - pp. 923, euro 34 - con una nuova premessa di Antonelli, Trent’anni dopo.

Quel grande libro, immenso archivio erudito e mobilissima enciclopedia aperta, era soprattutto un Teatro della Memoria e della metamorfosi spirituale, secondo un modello che da Giulio Camillo e Giordano Bruno giungeva a Curtius attraverso Aby Warburg. Proponeva non solo «una storia», ma «una fenomenologia della letteratura», da vivere come riscatto di identità individuale e collettiva. Riprendendo l’idea warburghiana di un Atlante morfologico delle culture Curtius l’avrebbe chiamata anche «morfologia della tradizione». Nella Prefazione alla seconda edizione, datata dicembre 1953, neppure tre anni prima di morire (conoscendo la propria sorte volle, simbolicamente, che ciò avvenisse a Roma), Curtius sottolineava: «Il mio libro non è il prodotto di finalità puramente scientifiche, ma della preoccupazione per la salvaguardia della cultura occidentale». E non a caso evocava, con una straordinaria figura allegorica che era anche una mise en abyme del suo lavoro, il tappeto di resti di quella «tradizione occidentale» la cui «comprensione» postuma intendeva fondare:
-  «L’archeologia contemporanea ha fatto scoperte sorprendenti tramite la fotografia aerea da grande altezza. Attraverso questa tecnica si è riusciti ad esempio a riconoscere per la prima volta il sistema tardoromano in Africa del Nord. Chi si trova in basso davanti a un cumulo di macerie non può vedere l’insieme che la fotografia dall’aereo rende visibile. Ma questa fotografia deve essere ingrandita e comparata con la carta topografica. Una certa analogia con questo metodo offre la tecnica di ricerca letteraria che ho qui impiegato».

Sul bordo della Crisi, nella derelitta Waste Land del dopo il Diluvio, di cui restituiva una visione “dall’alto” ricomposta con superba analisi dall’ammasso di detriti della Storia, Letteratura europea e Medio Evo latino venne alla luce come un libro pedagogico-terapeutico e lucidamente profetico. «This fragments I have shored against my ruins», diceva uno degli ultimi versi della Waste Land: ma già nei Cantos di Pound emergeva la figura allegorica delle «rovine puntellate» con i «frammenti» della storia e della letteratura universali. Il poemetto di Eliot era apparso nel 1922, e Curtius nel ’48 muove dall’idea eliotiana che «il senso storico sia senso dell’atemporale e del temporale [...] insieme» e renda così lo scrittore (e il critico) «consapevole del suo posto nel tempo, della sua contemporaneità» (Tradition and the Individual Talent, 1919).

Nel 1992 Roberto Antonelli rilevava come «una delle chiavi fondamentali per l’interpretazione e la fruizione dell’opera» sia appunto «di tipo pedagogico»: Letteratura europea e Medio Evo latino è «un “manuale” della tradizione letteraria europea per il giovane europeo; un “memoriale” per il prossimo millennio». Adesso, “trent’anni dopo”, riconosce finemente come «la “longue durée” di Curtius (e di tutti gli altri, fino alle Annales) sembra [...] rappresentare, in prospettiva storico-critica, la necessità (innanzitutto degli intellettuali novecenteschi) di dare un Senso alla modernità», e dunque «l’estremo tentativo di attualizzare il passato», combattendo così per controllare con strumenti simbolici «la Crisi e le crisi».

Nel 1948, quando la crisi dell’umano come conquista di comunità era esplosa nella più orrenda cancellazione delle radici condivise, Letteratura europea e Medio Evo latino individuava per l’unità europea un’origine non razziale ma culturale, e una coscienza comune, un territorio della memoria condivisa vasto e profondo. La storia di un millennio di segreta continuità sotterranea, carsica, veniva sottoposta a un’analisi micro- e macroscopica, «per scomporla (come fanno i reagenti chimici) e per evidenziarne l’intima struttura»: secondo la dichiarazione di Hugo Schuchhardt eletta da Curtius tra le epigrafi inaugurali del libro, «la combinazione paritetica del microscopico e del macroscopico rappresenta l’ideale della ricerca scientifica».

In un nodo mai prima d’allora riconosciuto, l’Antichità si stringeva così con il Medio Evo e con la Modernità, e affiorava un’idea, anzi un progetto di Moderno fondato sulla tenuta della Bildung, la formazione umanistica degli individui e delle comunità, capace di resistere alle spaventose crisi politico-istituzionali, militari, economico-sociali, che trascinavano l’Europa nell’abisso della Crisi totale. Nel momento in cui si procedeva ai primi tentativi di «europeizzazione del quadro storico», e si ponevano le basi per quella che dieci anni più tardi (1958) sarebbe diventata la prima Comunità Europea (oggi, ampliata ma sempre più bisognosa di una politica davvero condivisa al di là della saldatura degli interessi economici, la chiamiamo Unione Europea), Curtius per la prima volta rimeditava con dottrina larghissima e con un mirabile sguardo storico-antropologico l’idea di Europa, la sua tradizione ininterrotta anche se ormai definitivamente incrinata, il suo pensiero e la sua letteratura, riconoscendovi «un organismo che partecipa di due insiemi culturali, quello antico-mediterraneo e quello moderno-occidentale».

      • Mediterraneo e Occidente

Mai come ai nostri giorni queste due categorie dialettiche evocate da Curtius a metà del Novecento, mediterraneo e occidentale, che mi sembra la critica abbia del tutto ignorato nell’esame di Letteratura europea e Medio Evo latino, appaiono coerenti non solo con il passato, ma, quasi profeticamente, con il futuro, che è il nostro presente ancora una volta colmo di ansia e di terrore. Nel momento in cui esplode con rischi giganteschi un’opposizione ciclopica fra l’“Occidente” e quell’“Europa orientale” che in Mosca incarnò miticamente la “terza Roma”, «politica e letteratura si dimostrano ancora una volta strettamente collegate e il rapporto fra Unione politica europea e letteratura europea come letteratura - e formazione - dei giovani Europei non è stato non solo risolto ma neppure affrontato»: così scrive Antonelli in Trent’anni dopo, datato “Luglio 2022”, richiamando esplicitamente la crisi ucraìna e la frattura palese fra Unione Europea e «un paese - la Russia - che geograficamente è in buona parte europeo, ma che dall’Unione è staccato» e ormai contrapposto in uno scontro che di giorno in giorno minaccia di trasformarsi nel terzo (e definitivo) conflitto mondiale. Questo libro della Crisi è un libro terapeutico per ogni crisi: anche per quella culturale e identitaria che l’Europa e l’Occidente stanno vivendo. Non salverà il mondo, ma di certo ci aiuterà a cercarvi un Senso.

Nel 1948 Ernst Robert Curtius era già uno dei più grandi filologi e critici letterari su scala internazionale. Lui, alsaziano, segnato per destino dallo scontro secolare tra Francia e Germania per il possesso di quella regione di confine, nel 1919, subito dopo la disfatta del Reich tedesco, aveva pubblicato il suo primo libro importante, Die literarischen Wegbereiter des neuen Frankreich (I pionieri letterari della nuova Francia), in cui tesseva un quadro lucido e innovativo della grande letteratura contemporanea maturata “al di là del Reno”, esaltando André Gide, Romain Rolland, Paul Claudel, André Suarès, Charles Péguy, ma soprattutto tratteggiando «una peculiare natura, tipicamente francese», della Bildung umanistica ancor viva nel cuore della modernità. Lo scandalo fu enorme. I nazionalisti tedeschi, umiliati dalla pace di Versailles siglata proprio nell’estate di quel 1919, gridarono al tradimento, giacché l’Alsazia-Lorena, occupata nel 1870, era stata definitivamente restituita alla Francia. E come una provocazione politica fu accolto quel libro in tedesco di un tedesco d’Alsazia dedicato allo «spirito francese nella nuova Europa» (esattamente così Curtius avrebbe intitolato un suo nuovo volume nel 1925, contenente fra l’altro il primo saggio europeo sull’ancora incompiuta Recherche proustiana).

Eppure I pionieri letterari della nuova Francia, specie nella conclusione, che rimeditava il rapporto fra lo «spirito» francese e quello tedesco alla luce delle rovine della prima Guerra mondiale, per Curtius non era un libro ideologicamente connotato, e invece conteneva il germe di una storia spirituale e culturale dell’Europa millenaria che trent’anni più tardi sarebbe sbocciata pienamente in Letteratura europea e Medio Evo latino. Posseggo una copia della terza edizione ampliata e definitiva (1923) di Die literarischen Wegbereiter, donata nel marzo 1929 da Curtius a un’archeologa inglese che lavorava a Roma, Eugénie Strong. La dedica autografa assume un valore straordinario, se la si colloca nel contesto storico-biografico, lanciando lo sguardo già al capolavoro del 1948: «Alla Signora Strong, in Roma, ove i popoli del nostro Occidente si rivelano allo sguardo dello spirito nella loro Armonia, questo libro sulla Francia l’autore tedesco dedica all’amica inglese in segno di ringraziamento. Ernst Robert Curtius, marzo 1929». Si comprende meglio l’importanza di questo documento ricordando che il 19 gennaio di quell’anno, proprio a Roma dove si trovava in semestre sabbatico, Curtius aveva assistito alla celebre, rivoluzionaria conferenza di Aby Warburg alla Biblioteca Hertziana sull’Antico romano nella bottega del Ghirlandaio, accompagnata da un gran numero di tavole costellate di fotografie, e ne era rimasto profondamente colpito. Fu quel giorno che si innamorò del metodo d’indagine di una morfologia della cultura cristallizzata in tratti ideologico-stilistici decisivi, come «sopravvivenza di un’immagine», «engramma» (in quel periodo Warburg usò anche la categoria di «dinamogramma»), «inversione energetica riguardo l’interpretazione di antiche formulazioni di pathos (Pathosformeln)». Non a caso vent’anni dopo quella conferenza Curtius dedicò Letteratura europea e Medio Evo latino a Warburg e al suo sconfinato teatro della Memoria (l’Atlante di Mnemosyne), e ad un maestro della filologia romanza, Gustav Gröber: due numi tutelari della millenaria, coerente continuità romano-europea.

Il termine Geist, «spirito», che brillava nella dedica alla Strong («in Roma, ove i popoli del nostro Occidente si rivelano allo sguardo dello spirito nella loro Armonia»), era già nel titolo del libro del ’25, Französischer Geist im neuen Europa (Lo spirito francese nella nuova Europa). Esso va interpretato non in prospettiva idealistica, ma in una dimensione che mi spingerei a definire antropologica, sulla stessa linea storiografica di armonizzazione europea a cui Curtius non aveva mai smesso di pensare. L’accostamento delle tre civiltà, francese, tedesca, inglese, sotto il segno dell’Armonia occidentale che Roma riesce a «cristallizzare» (il termine è esplicito in Die literarischen Wegbereiter), rappresenta già la mappa storico culturale del territorio sterminato di Letteratura europea e Medio Evo latino.

      • La Bildung umanistica in crisi

Ma per capir meglio il valore di questa insistenza sui concetti di «spirito europeo» e di «armonia» fra le culture si dovrà insistere su due tappe fondamentali per il maturare, in Curtius, dell’idea di Bildung, «forma spirituale» e «quintessenza della cultura laica»: in sostanza, Umanesimo. La prima è appunto la partecipazione alla conferenza di Warburg, a Roma, nel gennaio 1929 imperniata sull’Atlante di Mnemosyne, da cui Curtius trasse l’idea di un Atlante storico-antropologico della civiltà letteraria europea, al cui centro sta la categoria di Pathosformel come motore retorico-mnemotecnico di una longue durée della Memoria culturale (già nel 1912, nel saggio famoso su Schifanoja, Warburg, richiamandosi alle ricerche darwiniane, aveva parlato di «historische Psychologie des menschichen Ausdrucks», «psicologia storica dell’espressione umana»).

Solo due mesi dopo la «cerimonia teatrale» della Hertziana, che Silvia De Laude ha definito «l’atto con cui la “storia di fantasmi per adulti” dell’Atlante è ufficialmente resa pubblica e consegnata dal suo autore a chi la sfoglierà dopo di lui», nella dedica a un’inglese del suo libro in tedesco sulla cultura francese, convocando a Roma «i popoli del nostro Occidente» in cerca di una rinnovata «Armonia», Curtius parlava già una lingua warburghiana. Era abituato a studiare le forme retoriche di articolazione della parola, a differenza dei molti spettatori specialisti di immagini. Però colse immediatamente la novità metodologica ed epistemologica di quell’arduo, complesso affresco che attraversava civiltà, luoghi, tempi, individuando affinità, resistenze, sopravvivenze, riemersioni del rimosso, attualizzazioni di idee antiche attraverso il riuso e la manipolazione di figure archetipiche conservate e trasformate, in un ininterrotto concatenarsi di momenti di inerzia e di catastrofe .

Warburg studiava la vicenda psico-culturale della civiltà non solo europea, ma occidentale (con fondamentali aperture etnologiche, per esempio nel viaggio presso i Pueblos americani), fra Rinascimento e Modernità. Curtius era interessato alla “lunga durata” della civiltà romana fino al Medio Evo, con un ponte lungo che giungeva alla Modernità, senza fermarsi sull’ormai troppo burckhardtiano-warburghiano Rinascimento. Verso quest’epoca provava «un deciso rifiuto», come «l’epoca scelta da uno dei più felici revivals dell’anima guglielmina», secondo quanto rilevò finemente Lea Ritter Santini in uno scritto magnifico (Il piacere delle affinità) con cui aprì una sua splendida scelta di saggi, Letteratura della letteratura (Il mulino 1984). L’integrazione fra il Medio Evo di Curtius e il Rinascimento di Warburg, entrambi fluidamente aperti verso la Modernità, restituisce un’enciclopedia aperta, un archivio vivente della civiltà europea.

Per la prima volta Letteratura europea e Medio Evo latino lancia uno sguardo d’aquila, vasto e acutissimo nei dettagli, sulla totalità della cultura europea, «cioè circa ventisei secoli (calcolati da Omero a Goethe)», e così edifica un ponte di continuità fra la civiltà romana e la sua sopravvivenza nella modernità, sotto il segno di una contemporaneità legata al «“presente atemporale”, che è la caratteristica specifica della letteratura»: infatti «per la letteratura, tutto il passato è presente», e la «letteratura europea» è non tanto una “storia”, quanto «un’“unità intellettuale” che sfugge alla nostra osservazione quando viene frazionata in più parti distinte».

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