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ANTROPOLOGIA, FILOSOFIA E PSICOANALISI: APPRENDERE DALLA "METAFISICA" DELL’ESPERIENZA...

LA NASCITA DELL’ESSERE UMANO E IL GIOCO DEL ROCCHETTO. Al di là del giogo di Edipo e Giocasta - di Federico La Sala

"LA FRECCIA FERMA". La connessione emersa tra il gioco del rocchetto del nipotino di Freud e la metafisica greca, e l’ipotesi marxiana che noi siamo ancora fermi nell’orizzonte dei greci ... non mostra noi stessi ancora fanciulli?!
giovedì 20 luglio 2023
FILI DI ’FUGA’ INTORNO A UN ROCCHETTO. Tracce per una discussione...*
Freud, in Al di là del principio di piacere (1920), riporta il caso di un bambino di un anno e mezzo che non piangeva mai quando la sua mamma lo lasciava per alcune ore, "sebbene fosse teneramente attaccato a questa madre che non solo lo aveva allattato di persona ma lo aveva allevato e accudito senza aiuto esterno".
"Ora questo bravo bambino aveva l’abitudine - che talvolta disturbava le persone che lo circondavano - di (...)

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> IL GIOCO DEL ROCCHETTO E LA NASCITA DELL’ESSERE UMANO. --- Freud: "L’Uomo di Ur ovvero l’uomo di "prima" - "il nonno che imparò qualcosa dal nipotino che con un rocchetto attaccato a un filo giocava al fort/da" (di A. Schiacchitano).

domenica 25 settembre 2022

L’UOMO MOSÈ E LA RELIGIONE MONOTEISTA, 1938 (VERSIONE INTEGRALE CON INTRODUZIONE) *

      • Prefazione del traduttore
      • Antonello Sciacchitano

L’Uomo di Ur ovvero l’uomo di “prima”

      • A tutto ciò che ha a che fare con l’origine della religione, certo anche dell’ebraica, aderisce qualcosa di grandioso che le nostre precedenti spiegazioni non hanno toccato.
      • S. Freud, L’uomo Mosè e la religione monoteistica.

Quanto prima

Come Abramo, più di Abramo, Freud merita il titolo di Uomo di Ur. Nelle 7000 pagine delle sue Gesammelte Werke le parole che cominciano con la sillaba Ur, con il senso di venire “prima” per importanza o per tempo, come Urteil, giudizio, Ursache, causa, Urvater, padre primitivo, Urverdrängung, rimozione originaria, Urzeit, preistoria, sono 2625 su 1909 pagine. In pratica, sfogli tre pagine e trovi un riferimento a qualcosa che “viene prima”.

Il titolo mi è stato suggerito dall’analisi statistica dei tre saggi che compongono l’ultima performance di Freud, il romanzo storico L’uomo Mosè e la religione monoteistica, che parla del non ebreo, venuto prima degli ebrei, loro padre primigenio nonché putativo. Da lacaniano potrei sviluppare considerazioni sulla sessuazione maschile dell’uno non castrato mentre tutti sono castrati. Preferisco fare un discorso più aderente alla scrittura freudiana. In realtà, il mio interesse per la ricorrenza della sillaba iniziale Ur nei testi freudiani è connesso a un problema epistemologico non futile: la rilevanza nel discorso di Freud del termine Ursache, “causa”, letteralmente la cosa che viene prima dell’effetto. Non c’entra Urlaub, “vacanza”. [...]

Il mio interesse per il problema eziologico in Freud risale al 1991, trent’anni fa, ai tempi del convegno romano Lacan in Italia. Allora lessi un testo, omesso dagli atti del convegno, intitolato “Preparare la scienza correggendo la posizione dell’etica”, tesi enunciata da Lacan nella prima pagina del suo saggio Kant avec Sade (1963).1 Alla luce dei successivi trent’anni di lavoro, la mia interpretazione di Lacan si è molto semplificata e precisata: la correzione dell’etica antica, che produsse la scienza moderna, fu la sospensione - il fenomenologo direbbe l’epochè ­- della nozione di causa. Il soggetto della scienza moderna agisce in modo autonomo e libero, non determinato da causalità estrinseche che lo precedano, neppure di tipo finalistico. Di conseguenza anche la produzione scientifica è poco eziologica.

Inventando la dinamica, Galilei sospese la nozione di causa del moto; infatti, inconcepibile per gli antichi, ammise il moto inerziale del mobile che prosegue il proprio percorso rettilineo a velocità uniforme in assenza di forze che lo modifichino. Si tratta di un moto che non ha un prima perché è già da prima: è causa di sé stesso. La nuova scienza corregge l’etica delle cause; meno deterministica dell’antica, diventerà espressamente probabilistica con la meccanica quantistica. Freud non registra l’evento; non parla di probabilità ma di verosimiglianza, grazie a due premesse, una individuale, l’altra collettiva. Per Freud non c’è ragione di pensare in termini probabilistici; “prima” di ogni altra viene la verità certa del parricidio; per la lingua tedesca probabilità e verosimiglianza si dicono allo stesso modo, Wahrscheinlichkeit. Per il tedesco è verosimile, cioè attendibile, che il “dopo” sia simile al “prima” in nome del principio di ragione.

Semplice, ma non per questo facilmente accettabile. La resistenza dei freudiani ad accettare la correzione dell’etica è dovuta al fatto che Freud stesso non si corresse. Non sospese la causa. Infatti, nella sua metapsicologia le cause pulsionali spadroneggiano; i suoi testi metapsicologici sono scorribande narrative che raccontano sempre la stessa favola del prima, che vien prima, e del dopo, che vien dopo. In questo senso la “nuova scienza” freudiana, la junge Wissenschaft di Freud, nacque antica: per ogni effetto psichico presupponeva un “prima”, una causa psichica, la pulsione, che determina “dopo” la soddisfazione libidica (chiusura causale). Pur non conoscendo Aristotele,2 che arrivò a lui contrabbandato dall’antica medicina di Ippocrate, Freud praticò l’aristotelico scire per causas: pretendeva di comprendere, begreifen, gli effetti psichici, riconoscendone le cause. Freud distingueva le cause efficienti, le pulsioni sessuali, dalle cause finali, le pulsioni di morte. Le prime sono veramente prime nel senso che vengono prima nel produrre la soddisfazione sessuale; le seconde si potrebbero dire cause ultime, nel senso che vengono dopo il trauma e tendono ad acquietare ogni tensione libidica post-traumatca.

Queste sono le due facce del “prima” che domina tutta la metapsicologia freudiana, degna della migliore tradizione alchemica, prolungata e confermata dalla psicologia archetipica di Jung, sua figlia naturale, da Freud non riconosciuta. Ho giustificato a sufficienza la mia ricerca statistica sulle ricorrenze di Ur in Freud? Tento, allora, di dare una spiegazione scientifica, documentata testualmente, di quel che nel terzo saggio sull’Uomo Mosè e la religione monoteistica Freud chiamò “imperativo bisogno di causalità”3 (gebieterisches Kausalbedürfnis). Tento di spiegare, senza voler comprendere, un fenomeno di pensiero assai diffuso dentro e fuori dalla psicanalisi; pretendo erklären al posto di begreifen; miro al “come” e sospendo il “perché”.

Devo innanzitutto dire che per il senso comune la transizione verso la moderna forma di scientificità che, ripeto, non è deterministica ma probabilistica, non è facile da comprendere, quindi da accettare. Il fenomeno si spiega storicamente, però, e non sarebbe difficile da comprendere. Dal 22 giugno 1633, quando si concluse con la condanna il processo della Chiesa cattolica a Galilei, alla scienza moderna i moderni resistono. Non perché siano particolarmente religiosi. Alla nuova forma di scienza, basata sulle “sensate esperienze e necessarie dimostrazioni” resistono allo stesso modo sia credenti sia non credenti, perché non vi trovano verità eterne da far proprie ma solo congetture, cioè verità incerte, addirittura “non vere”, ma false, che procedono dal falso al meno falso. Anche Freud resistette alla scienza moderna. In biblioteca non aveva le opere né di Galilei né di Cartesio. Non citò mai Galilei nelle Gesammelte Werke, affascinato com’era da Leonardo, più artista che uomo di scienza. Il senso comune, compreso quello psicanalitico, pretende verità certe, anche se false. Da Freud in poi, il senso psicanalitico si basa sulla verità mitologica dell’Edipo, un’esemplare verità narrativa, pre-cartesiana, posta assiomaticamente al di là di ogni dubbio, quindi non scientifica. Freud la riconosceva come il suo shibboleth.

Freud non fu un caso unico e neppure raro. Tuttora si resiste alla scienza in nome del riduzionismo; i lacaniani di scuola parlano di preclusione del soggetto da parte del discorso scientifico, classificato come paranoico. La diffidenza nei confronti della scienza anima i movimenti negazionisti. Freud l’aveva capito: un percorso di psicanalisi si fa strada attraverso resistenze. Credeva che fossero le resistenze ad accettare la mitologia edipica; molto più semplicemente e molto più in generale si resiste a un sapere che prescinda da enti a priori, le cause prime, le verità edipiche comprese. Sospendere la verità, vuol dire cadere nell’incertezza e questo non piace molto, anzi per nulla, a molti. L’uomo pretende certezze, non importa quanto false. I preti lo sanno bene, prima e meglio dei filosofi. Le certezze religiose o metafisiche sono più gradite delle congetture scientifiche, che non sono né vere né false, come il moto inerziale.

Mi preme chiarire che non sto parlando da antifreudiano. La mia critica a Freud è troppo pertinente per formularsi all’esterno del pensiero freudiano. Questa nuova traduzione dell’Uomo Mosè dovrebbe bastare a testimoniare la mia amicizia per Freud, il mio modo di “tornare a Freud”. Riconosco che il riferimento al “prima” è una premessa necessaria al freudismo per passare dalla psicologia individuale alla collettiva, da Freud chiamata, a mio parere riduttivamente, “psicologia delle masse”, Massenpsychologie, che è pure il tema prevalente dell’Uomo Mosè nella versione di “massa ebraica”. Freud stesso riconobbe che non è facile passare dall’individuale al collettivo.4 Senza affrontare lo scivoloso argomento della posizione di Freud verso la civiltà,5 qui mi limito ad affermare che il riferimento al “prima” è indispensabile a Freud per tradurre analogicamente la psicologia individuale in collettiva, grazie alla nozione comune ad entrambe di “tempo di latenza” (Latenzzeit). L’intero paragrafo C del terzo saggio sull’Uomo Mosè sviluppa tale analogia.6 Qualche riga più in là aggiunse sconsolato: “Non fu però facile introdurre la rappresentazione dell’inconscio nella psicologia delle masse”.7 Aveva forse intuito che non si può appiattire il collettivo sull’individuale?

E dopo?

Per parlare della verità, sono costretto ad allargare l’orizzonte, passando dalla statistica alla filosofia, in cui mi limiterò a intingere l’alluce. Nella logica del prima, il “prima” è l’assioma e il “dopo” il teorema; in linguaggio freudiano il dopo si chiama nachträglich, in lacanese après-coup: entrambi porgono la verità del prima che prima non si sapeva. L’eziologia gioca nell’intervallo tra il prima e il dopo; la sua verità deve attraversare un tempo di latenza, che meno ontologicamente di Freud preferisco chiamare “tempo di sapere”.8

Aristotele fondò la conoscenza eziologica: verum est scire per causas. In questo apoftegma si annodano i tre termini del gioco epistemologico antico: verità, sapere, causa. Si gioca alle seguenti condizioni: la verità è una, cioè è riassumibile in un concetto, e il sapere la riconosce come causa, applicando il principio di ragion sufficiente, per cui ogni effetto ha una causa. Il pensiero antico non conosce il non concettuale; ignora il “non tutto” di Lacan o le classi proprie di von Neumann, che non sono elementi di un insieme. Ammette solo l’universale “buono”, secondo Hegel, cioè il tutto che è uno. Nel linguaggio di Totem e tabù, il totem è ciò che unifica il clan e ne fa un insieme in funzione del Nome del Padre. In senso più astratto, ciò che unifica il tutto nell’uno è la sua causa, cioè la sua sufficiente ragion d’essere. In effetti, il totem è il capostipite del clan. Siamo in pieno discorso ontologico, dove sapere è sapere le cause, che precedono gli effetti. Il tandem prima/dopo è il veicolo su cui viaggia la verità storica, pedalando sulla verità materiale, nota dicotomia freudiana.

Due millenni dopo Aristotele, Hume fece crollare il castello eziologico dello Stagirita. Il principio di ragion sufficiente è privo di valore trascendentale. È un semplice pretesto euristico basato sull’abitudine a constatare l’associazione tra la causa supposta e il suo effetto reale. Certo, conserva un valore soggettivo, che sarà ripreso da Kant nelle sue categorie, ma non ha valore oggettivo: non è un fatto, anche se serve a stabilire fatti. Per esempio, non serve a dimostrare che i vaccini provocano l’autismo. Serve solo come bias di conferma a stabilire e diffondere fake news: se c’è l’effetto vuol dire che c’è stata la causa; se è bagnato per terra, è perché “verosimilmente” ha piovuto. Wittgenstein chiuse il discorso nell’unico libro pubblicato in vita; stabilì che credere al nesso di causa ed effetto è pura superstizione.9 La psicanalisi direbbe che il discorso eziologico è un delirio con un nocciolo di verità.

Fine di Ur? Non del tutto. Finisce il principio di ragion sufficiente basato sul tempo cronologico del prima/dopo. Resta valida la causazione, Verursachung, al tempo zero, quando l’effetto produce sé stesso, senza dover attendere la causa, perché è causa di sé stesso, causa sui, diceva Spinoza. È il caso dei processi a retroazione positiva o negativa. Per esempio, il ghiacciaio si scioglie perché si scioglie: tanto minore la massa, tanto più facile è che si scaldi e quindi si sciolga. La psiche sarebbe un ghiacciaio, causa di sé stesso? L’ipotesi è interessante, ma per ora non abbiamo sufficienti attrezzi teorici per darne un modello credibile.

Freud ci prova, abbozzando una psicologia della religione. Avverte oscuramente un “prima”: la presenza di quella cosa non concettuale che è l’infinito, ma non lo nomina, come nell’esergo riportato.10 Non siamo lontani da Avvenire di un’illusione di un decennio prima, dove Freud parla di sentimento oceanico alla base del senso religioso, cui lui stesso sarebbe estraneo. Mentiva. Nel romanzo qui tradotto il prima, grandioso, e il dopo, un po’ meno, sono personificati ed esaltati. Sulla scena compaiono ben due padri fondatori: il Mosè egizio, sacerdote del dio Aton, e il Mosè madianita, prete del dio vulcanico Yahwè. Tra i due Mosè Freud infila il parricidio del primo, elemento cardine, nonché sintomatico, della propria personale mitologia edipica, anche se storicamente verosimile. Il monoteismo ebraico sarebbe il ritorno del primo dio rimosso nelle vesti del secondo.

Mitologia a parte, il romanzo freudiano coglie una verità che non è storica ma scientifica: la verità dell’infinito. In proposito la statistica non lascia dubbi: il termine “infinito” (unendlich) non ricorre nel romanzo di Mosè. Proprio per questo sostengo non tanto paradossalmente che il romanzo abbia come protagonista sotto traccia - Freud direbbe rimosso - l’infinito, che si presenta in scena con due maschere: la maschera dell’uno e la maschera del due. L’accoppiamento produce l’infinito con la maschera di Dio. Siamo difronte all’“emergere dell’idea di un unico grande Dio”.11

Freud ha difficoltà a “capire perché debba esserci un dio unico, perché proprio il progresso dall’enoteismo al monoteismo acquisti il significato predominante”.12 Si limita a giustificarlo come psicogenesi di un’idea coatta legata al ritorno del padre nel parricidio rimosso. Cercherò di allargare il discorso con una considerazione matematica elementare, anzi assiomatica.

Prima di dedicarmi al temuto excursus matematico, mi soffermo un attimo per smontare un clamoroso “falso” freudiano, che può ostacolare la comprensione di quanto precede. Mi riferisco all’affermazione, già presente in Totem e tabù e ribadita in L’Uomo Mosè, che in Descent of Man (1872), l’unica opera di Darwin che Freud aveva in biblioteca, Darwin13 abbia esposto il mito dell’orda primitiva (die Urhorde), retta da un “forte stallone” (ein starke Männchen), Lacan direbbe l’uno non castrato, che teneva per sé tutte le donne, un’evidente fantasia di desiderio di Freud. Darwin non amava la mitologia; preferiva ragionare. Non parlò mai né di stalloni né di orde ma di piccole comunità (small communities). Il fatto curioso è che Freud abbia utilizzato proprio questo termine (kleine Gemeinschaften14) per descrivere le organizzazioni sociali dei fratelli espulsi (ausgetrieben) dall’orda paterna. Noi freudiani dobbiamo accontentarci di verità latenti nel delirio di Freud.15

[...]

In termini freudiani, non esiste Mosè al di fuori del monoteismo. In altri termini, il monoteismo è condizione necessaria per l’esistenza di Mosè. Ossia, la verità del monoteismo è che, se c’è un solo Dio, c’è il suo profeta. Non vale il viceversa - se c’è il suo profeta, c’è il suo Dio - come vorrebbe farci credere Freud. L’assioma potenza, che non ho sfruttato a fondo, getta luce all’attaccamento sintomatico di Freud al problema monoteistico. Chiaramente a Freud non interessava il problema teologico se esistesse un dio unico o multiplo. A Freud interessava dimostrare che il suo popolo fosse unico come unico era il suo dio. Questo è anche il tratto sintomatico della freudiana Massenpsychologie: la massa è una e unica, perché identificata a un ben preciso Führer. Che altro fu Mosè? Il Führer dell’esodo degli ebrei dall’Egitto. Nel caso specifico dell’ebreo Freud un Führer reale causò il suo esodo da Vienna. La storia è fatta di simmetrie, di corsi e ricorsi equivalenti anche se diversi.

Il quarto assioma è il vero è proprio assioma dell’infinito in atto, che si può formulare semplicemente così: esiste un insieme infinito,22 posto che un insieme sia infinito se non è finito. Bourbaki fa notare che tuttora non si sa derivare l’assioma dell’infinito dagli altri assiomi, come l’assioma della parallela (un tipico assioma dell’infinito) dagli altri assiomi euclidei. Tuttavia si danno diversi modelli di infinito: i numeri interi sono infiniti numerabili, i numeri reali sono infiniti non numerabili, e non sono i soli modelli di infinito. Esiste un’interessante congettura di Cantor, si potrebbe dire un nuovo assioma insiemistico, come tale riconosciuto solo negli anni Sessanta del secolo scorso: tra l’infinito numerabile degli interi e l’infinito non numerabile dei reali non esistono infiniti intermedi, come tra 0 e 1 non esistono altri numeri interi.

Mi fermo qui perché ho la sensazione che la verità matematica dell’infinito non giovi alla “causa” del monoteismo, che si avvantaggia di più con la verità storica, derivata dalla materiale. La matematica, infatti, non è il discorso né dell’uno23 né del prima, in particolare non è un discorso sulle cause. Euclide precedette Galilei di 18 secoli nella sospensione delle cause. Il triangolo rettangolo non causa il teorema di Pitagora, che è la conseguenza logica dell’unicità dell’angolo retto (IV postulato) e della parallela a una retta per un punto (V postulato).

Perciò lascio la parola a Freud nella sua introduzione al Mosè del 9 agosto 1934, che non fu pubblicata, perché ben ci prepara alla lettura del suo romanzo. Dopo tutto l’uomo di Ur, l’uomo del prima/dopo, il nonno che imparò qualcosa dal nipotino che con un rocchetto attaccato a un filo giocava al fort/da, è homo in fabula. La sua storia è contraddittoria: da una parte assume l’assenza di tempo nell’inconscio, dall’altra basa sul tempo eziologico tutta la sua metapsicologia. Il romanzo fu il suo trucco per dominare la contraddizione, innestando la sincronia simbolica dei Mosè nella diacronia reale degli ebrei. Un’ammirevole performance, immaginaria, purtroppo inimitabile.

      • [...]

*Fonte: http://www.psychiatryonline.it/node/9124 (ripresa parziale - senza note).


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