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A Freud, gloria eterna !!!

"TEBE": IN VATICANO NON C’E’ SOLO LA "SFINGE" - C’E’ LA "PESTE"!!! Caro Benedetto XVI ... DIFENDIAMO LA FAMIGLIA!? MA QUALE FAMIGLIA - QUELLA DI GESU’ (Maria - e Giuseppe!!!) O QUELLA DI EDIPO (Laio e Giocasta)?! Una nota di Federico La Sala

LA "SACRA FAMIGLIA" DELLA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA E’ ZOPPA E CIECA: IL FIGLIO HA PRESO IL POSTO DEL PADRE "GIUSEPPE" E DELLO STESSO "PADRE NOSTRO" ... E CONTINUA A "GIRARE" IL SUO FILM PRE-EVANGELICO PREFERITO, "IL PADRINO"!!!
lunedì 25 febbraio 2008 di Vincenzo Tiano
[...] Con Erode, e come Erode, tutta la Gerarchia (dal Primo all’ultimo sacerdote) continua ad avere paura di perdere il potere e la proprietà ... e ‘uccide’, ‘uccide’, e ‘uccide’, in verità - non Gesù che è risorto e che ha vinto la morte (Ct. 8.6: “Amore è più forte di Morte”, trad. G. Garbini)! - il loro stesso padre, Giuseppe - dentro di sé e fuori di sé (‘dichiarando’ così di essere abissalmente distanti proprio da Gesù e dal messaggio eu-angelico!), e l’Amore, lo Spirito (...)

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lunedì 16 luglio 2007

CHI HA PROTETTO I PRETI PEDOFILI?

di Mario di Carlo (*)

Cifre astronomiche per il risarcimento dei danni alle vittime hanno determinato l’amministrazione controllata dal tribunale in diverse diocesi degli USA. Vicende simili hanno toccato l’Austria, il Belgio, il Brasile, la Croazia, la Francia, la Gran Bretagna, l’Irlanda e l’Italia *

http://www.italialaica.it/cgi-bin/news/view.pl?id=007435

Da Critica liberale n. 138

Da oltre un decennio i casi di pedofilia da parte di sacerdoti attirano l’attenzione e le censure dei media, della magistratura e della società civile. Negli Stati Uniti d’America il fenomeno ha assunto dimensioni talmente rilevanti (1 ) da richiedere prese di posizione ufficiali dell’allora Pontefice Giovanni Paolo II, una commissione di inchiesta ordinata dalla Conferenza dei Vescovi Cattolici e soprattutto cifre astronomiche per il risarcimento dei danni, che hanno portato all’amministrazione controllata dal tribunale (un istituto simile al fallimento) diverse diocesi. Vicende simili hanno toccato l’Austria, il Belgio, il Brasile, la Croazia, la Francia, la Gran Bretagna, l’Irlanda e l’Italia.(2)

Nel 2001 la Lettera apostolica Sacramentorum sancitatis tutela (a firma Giovanni Paolo II) e l’Epistola De delictis gravioribus (a firma Joseph Ratzinger) si occupano dei delitti canonici da attribuire alla cognizione della Congregazione per la dottrina della fede e tra questi dei delitti «contro la santità del sacramento della Penitenza» compresa l’«istigazione, profittando della circostanza della confessione, a peccare contro il sesto comandamento del Decalogo [non commettere atti impuri, ndr], se finalizzata a compiere peccato con lo stesso confessore» e dei delitti «contro la morale, cioè: delitto contro il sesto comandamento del Decalogo commesso da componente del clero con persona d’età inferiore ai diciotto anni». In questi documenti si fa riferimento alla Instructio Crimen sollicitationis emanata nel 1962 dal Sant’Uffizio presieduto dall’allora Pontefice Giovanni XXIII coadiuvato dal Prefetto card. Alfredo Ottaviani.

Tale documento era rimasto sino ad allora segreto essendo per sua espressa disposizione «da custodire accuratamente nell’archivio segreto della curia come regolamento interno da non pubblicare né da ampliare con note di commento». Negli Stati Uniti si ottenne che l’Instructio fosse prodotta in giudizio ed in questo modo si è venuti a conoscenza del documento che pubblichiamo di seguito , in estratto, nella traduzione di Gennaro Lopez, professore di Lingua latina presso l’Università di RomaTre. [su Italialaica nella rubrica I Documenti, ndr]

Nel 2006, poi, la Bbc ha trasmesso il documentario sull’argomento Sex crimes and the Vatican che è stato aspramente criticato da parte della Conferenza episcopale cattolica inglese. Lo stesso documentario è stato corredato di sottotitoli in italiano e reso disponibile via internet (3) in Italia suscitando lo scandalo di chi ignorava quei fatti e quei documenti e l’indignata protesta di alcuni settori del mondo cattolico (4). Ovviamente non ci occuperemo qui del documentario della Bbc ma dei documenti e di taluni fatti, cercando di fornire una guida alla lettura.

Innanzi tutto, come in qualsiasi analisi di un testo giuridico ci si può domandare se l’Instructio Crimen sollicitationis (d’ora in avanti l’Instructio) sia tuttora in vigore. Secondo l’autorevole, ma non convincente, parere del card. Julian Herranz «il documento del ’62 è stato abrogato nel 1983 dal Codice di diritto canonico». In senso contrario depone però la lettura della citata Epistola De delictis gravioribus del 2001 (d’ora in avanti l’Epistola) in cui si fa riferimento alla «direttiva Crimen sollicitationis (5) ancora vigente» da reinterpretare in funzione dei nuovi codici. La lettura congiunta dei canoni e dell’Epistola non fanno peraltro emergere sostanziali novità (6) ad eccezione dell’attribuzione delle cause in questione alla giurisdizione e competenza (sembrerebbe esclusiva e non più concorrente con quella dei tribunali diocesani) della Congregazione per la dottrina della fede.

Sembra utile chiarire, inoltre, che i testi normativi di cui si discute appartengono all’ordinamento canonico. Ne deriva che i termini delitto e reato si riferiscono non alla legislazione penale dello Stato ma a quella della Chiesa cattolica. Il crimen sollicitationis è il reato, canonico appunto, di istigazione ad atti sessuali con un sacerdote. Il par. 1 dell’Instructio, che definisce il reato di istigazione, fa riferimento alla confessione, come momento, luogo, circostanza o pretesto degli atti o conversazioni impure ed oscene.

I parr. 71, 72 e 73 stabiliscono, inoltre, che le stesse procedure e le stesse pene si applicano agli atti osceni peccaminosi di un appartenente al clero con una persona dello stesso sesso (definito crimen pessimus) nonché a «qualsiasi atto osceno esterno, gravemente peccaminoso, in qualunque modo compiuto o tentato da appartenente al clero con bambini di ambo i sessi o con esseri viventi non umani» (par. 73). Similmente l’Epistola si riferisce ai «Reati contro la santità del sacramento della Penitenza, cioè: [...] 2) istigazione, profittando della circostanza della confessione, a peccare contro il sesto comandamento del Decalogo, se finalizzata a compiere peccato con lo stesso confessore»; ed al «reato contro la morale, cioè: delitto contro il sesto comandamento del Decalogo commesso da componente del clero con persona d’età inferiore ai diciotto anni» (par. quarto). Come già detto i reati a cui i testi si riferiscono sono reati canonici. Evidentemente però taluni di quegli atti e, specificamente, gli atti sessuali con minori di anni sedici (o quattordici in taluni casi) costituiscono reato per il nostro codice penale, per l’esattezza il delitto previsto all’art. 609-quater (7) (oltre al caso della violenza sessuale per abuso di autorità ex art. 609-bis). Il diritto canonico quindi prevede delle proprie sanzioni per comportamenti che costituiscono reato anche per il diritto statale. Ma quale rapporto vi è fra le due sfere? In teoria nessuno, se non quello del dato oggettivo. Il diritto penale “canonico” dovrebbe disciplinare il processo canonico e le pene canoniche per il sacerdote provato colpevole dell’istigazione a peccare contro il sesto comandamento, il diritto penale “civile” dovrebbe disciplinare il processo e le pene contro chiunque (nel caso anche sacerdote) “compie atti sessuali con persona che al momento del fatto: 1) non ha compiuto gli anni quattordici; 2) non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia [..] persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore e’ affidato o che abbia, con quest’ultimo, una relazione di convivenza”.

Un punto di conflitto fra i due ordinamenti sembra però sorgere in relazione al segreto imposto dal diritto canonico. L’Instructio impone che questi casi «siano condotti nella massima segretezza e, una volta definiti con sentenza esecutiva, vengano coperti da silenzio perpetuo; tutti coloro che, in qualunque modo, sono personalmente addetti al tribunale, ovvero per il loro ufficio sono ammessi alla conoscenza delle questioni in causa, hanno l’obbligo di osservare inviolabilmente il segreto strettissimo, che vale comunemente come segreto del Sant’Uffizio, su tutto e con tutti, sotto pena di incorrere nella scomunica latae sententiae, ipso facto e senza altra dichiarazione, riservata alla sola persona del Sommo Pontefice, con esclusione anche della Sacra Penitenzierìa » (par. 11) e dispone per tutti una stretta formula di giuramento sull’osservanza del segreto. Tale giuramento deve essere prestato anche da «gli accusatori, coloro che sporgono denuncia e i testi» (par. 13). L’Epistola più succintamente stabilisce che «le cause di questa natura sono soggette al segreto pontificio», il più rigido dei segreti previsti dal diritto canonico dopo il sigillo della confessione (8).

Su tale segreto sorgono due domande, la prima sul senso che esso assume nel suo contesto e la seconda sulla possibilità che influenzi ed ostacoli il corso della giustizia dello Stato.

A giustificazione del silenzio i commentatori di parte ecclesiastica hanno argomentato che dal punto di vista pragmatico la consegna assoluta del silenzio servirebbe a garantire l’onorabilità di accusato ed accusatore o accusatrice fino al termine del processo, per ragioni di garantismo, nonché a consentire ai testi di farsi avanti senza esporsi, ma mai di impedire a costoro di rivolgersi o collaborare con l’autorità giudiziaria statale. A conferma di ciò si è sottolineato come il paragrafo 15 (in realtà i parr. 15-18) impongano la denuncia, quasi sempre a pena di scomunica. L’argomento però è debole. Tali autori dimenticano infatti di precisare che l’obbligo di denuncia non si riferisce alla denuncia alla magistratura dello Stato ma alla denuncia alle autorità ecclesiastiche, per lo stesso principio per cui quelle norme si occupano dei reati “canonici” e non “civili”. Non spiegano neppure come mai il segreto è posto non solo per il tempo necessario a definire il processo, con garantismo estremo, ma sia un “silenzio perpetuo”. Peraltro il garantismo, così come comunemente inteso, è un’esigenza molto poco sentita dal diritto canonico, che, a titolo di esempio, non conosce il principio di legalità e certezza delle pene. Più convincente, ma non più confortante, la spiegazione che dal punto di vista teologico è offerta dal card. Herranz, il quale richiama tre princìpi: «evitare lo scandalo, tutelare la libertà dei testi, garantire il corso della giustizia», in ragione del fatto che «nella Chiesa chi governa deve cercare il bene delle anime». In altre parole lo scandalo che potrebbe sorgere dalla notizia del peccato (che qui è il reato canonico) rischierebbe di smarrire altre anime, a tutela delle quali primariamente è posto il vincolo del segreto. L’argomento, ovviamente, è un fondamento sufficiente ai credenti, ma non gli si può negare una logica. Eppure anche qui qualche altra domanda sorge. Non si vedono altre esigenze meritevoli di essere valutate assieme al timore di uno scandalo? Dov’è la pietà per le vittime e la considerazione delle sofferenze e dei turbamenti che costoro sono costretti a subire anche a grande distanza dagli avvenimenti? Ha senso prevedere una pena canonica più grave per la vittima che violi il vincolo del segreto (scomunica riservata al Pontefice) piuttosto che per il reo (dimissione dallo stato clericale)? Ma soprattutto, che senso può avere non offrire una fattiva collaborazione una volta che lo scandalo sia venuto alla luce? In quella stessa logica il silenzio successivo allo scandalo sembra aggravare lo smarrimento dei fedeli, piuttosto che aiutarli. Basti un esempio. Nel 2002 la Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti insediò una commissione di laici, il “National Review Board”, incaricata di verificare, tramite audizioni, ricerche, incontri ed interviste l’applicazione della Carta per la protezione dei bambini e dei giovani di cui la Conferenza si era dotata. Dopo un anno il suo presidente si dimise in polemica con alcuni vescovi, dopo aver affermato che i comportamenti di cui era venuto a conoscenza (rifiutare di deporre, distruggere i nomi dei colpevoli, nascondere, offuscare, minimizzare) rispondevano più all’atteggiamento di una famiglia mafiosa che a quello di una comunità di fede (9).

Il timore dello scandalo insomma, sembra rispondere non solo alla tutela del benessere spirituale dei fedeli, ma anche, se non soprattutto, alla tutela dell’immagine pubblica della gerarchia cattolica come illibata maestra di pubblici costumi, alla tutela delle casse delle diocesi (laddove queste potrebbero essere aggredite per via dei risarcimenti dei danni) e, non ultimo, alla stabilità di gerarchie mai davvero abituate al confronto e allo scrutinio trasparente e democratico (10). Ma veniamo al secondo punto, può il segreto imposto dal diritto canonico collidere con il diritto dello Stato? Ovviamente queste considerazioni non possono che essere svolte relativamente all’ordinamento italiano. Come giustamente affermato da molti osservatori, il nostro diritto penale non impone al semplice cittadino l’obbligo di denunciare i reati di cui sia venuto a conoscenza se non nel caso di reati contro la personalità lo Stato puniti con l’ergastolo (artt. 364 c.p. e 333 c.p.p.). Il prelato che venga a conoscenza del reato in ragione del suo ufficio può ritenere, anche a torto, di non sporgere denuncia contro il suo sottoposto, senza per questo violare la legge. Ma qui sembra esserci un passo oltre. La normativa in questione infatti non si limita a chiedere o suggerire il silenzio ma lo impone. Per di più lo impone non solo all’autorità ecclesiastica, ma a chiunque venga a conoscenza dei fatti di causa e soprattutto lo impone alla vittima. L’art. 378 c.p. punisce a titolo di favoreggiamento personale «chiunque, dopo che fu commesso un delitto per il quale la legge stabilisce l’ergastolo o la reclusione [...] aiuta taluno a eludere le investigazioni dell’Autorità, o a sottrarsi alle ricerche di questa». Le modalità con cui l’Instructio chiede il rispetto del silenzio, un giuramento formale orale e scritto, e le pene canoniche previste, fino alla scomunica, sembrano essere tali da condizionare fortemente la volontà di coloro che volessero rivolgersi alla giustizia dello Stato. Se questo integri il favoreggiamento, o l’induzione a non rendere dichiarazioni all’autorità giudiziaria di cui all’art. 377-bis c.p., spetterebbe ad un giudice accertarlo tenuto conto di tutte le circostanze di fatto. Peraltro la responsabilità penale è personale e andrebbero individuati i necessari collegamenti di causalità e colpevolezza. Da coloro che invece sostengono che il principio di leale collaborazione con le autorità supera l’imposizione del silenzio attendiamo l’indicazione di tutti i casi in cui la gerarchia ecclesiastica ha ritenuto di dover collaborare al benessere della società indicando alla giustizia questi crimini e questi criminali, senza coprirli e senza portarli in giro per le parrocchie di mezzo mondo.

(*) Mario Di Carlo è ricercatore della Fondazione Critica liberale e coordinatore della Consulta Romana per la laicità delle Istituzioni.

NOTE

(1) Per un’ampia documentazione di veda il sito www.bishop- accountability.org .

(2) Cfr. S. Bolognini, Preti pedofili: tolleranza e titubanza, “Critica liberale” 135-137, gennaio-marzo 2007, p. 102.

(3) Il documentario è andato successivamente in onda il 31 maggio 2007 durante la trasmissione Anno Zero di Rai 2.

(4) A. Galli, Infame calunnia via internet, “Avvenire”, 19-5-2007; M. Introvigne, La congiura degli ignoranti, “Il Giornale”, 23-5-2007 e Molto rumore per nulla, in www.cesnur.org; M. Politi, intervista con J. Herranz, “La Repubblica”, 24-5-2007.

(5) “Quia Instructio Crimen sollicitationis hucusque vigens, a Suprema Sacra Congregatione Sancti Officii edita die 16 mensis martii anno 1962, recognoscenda erat novis Codicibus canonicis promulgatis”.

(6) Cfr. in part. i canoni 1387 e 1395.

(7) Art. 609-quater, co. 1 (Atti sessuali con minorenni) «Soggiace alla pena stabilita dall’articolo 609-bis chiunque, al di fuori delle ipotesi previste in detto articolo, compie atti sessuali con persona che al momento del fatto: 1) non ha compiuto gli anni quattordici; 2) non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia l’ascendente, il genitore, anche adottivo, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia, con quest’ultimo, una relazione di convivenza».

(8) Cfr. Costituzione apostolica Secreta continere, Acta apostolicae sedis 1974, pp. 89-92.

(9) “Catholic News Service”, 19 giugno 2003.

(10) Non ci si può esimere da notare, inoltre, che la sciagurata politica di trasferimenti dei sacerdoti in odore di pedofilia è (o era) il retaggio di una cultura che fatica a confrontarsi con (e ad accettare) i dati scientifici.

Nella rubrica I documenti: CRIMEN SOLLICITATIONIS (16 Marzo 1962), EPISTOLA (18 maggio 2001)

(15-7-2007)

* Il Dialogo, Lunedì, 16 luglio 2007


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