Si cambia passo, ma sulle denunce restano tanti «se»
di Luca Kocci (il manifesto, 10 febbraio 2012)
Negli ultimi dieci anni oltre quattromila casi di abusi sessuali commessi da preti e religiosi su bambini, ragazze e ragazzi minorenni sono stati segnalati alla Congregazione vaticana per la dottrina della fede. Lo rivela il cardinale statunitense William Levada, prefetto dell’ex Sant’uffizio, a cui, secondo una disposizione del 2001 di papa Wojtyla, i vescovi dovrebbero comunicare tutti i casi di abuso e di violenza da parte di sacerdoti contro minori di cui sono a conoscenza.
Benché alto - quattromila in dieci anni significa più di un caso al giorno - il numero sembra assai inferiore alla realtà: Michael Bemi e Patricia Neal (del National catholic risk retention group e del National catholic services) parlano di «almeno centomila vittime solo negli Usa» dal 1950 ad oggi. Cifre degne di una guerra in cui lo stupro viene utilizzato come arma.
In questo caso, però, si parla di pedofilia ecclesiastica, al centro dei lavori del simposio internazionale sull’abuso sessuale Verso la guarigione e il rinnovamento che si è chiuso ieri sera alla Pontificia università gregoriana di Roma, con vescovi e preti in rappresentanza di 110 conferenze episcopali.
Un incontro senza precedenti, che segna un evidente cambio di passo rispetto al passato in cui la parola d’ordine era negare il fenomeno. Ma non ancora una svolta: su un punto, quello dell’obbligo da parte dei vescovi di denunciare alle autorità civili l’autore delle violenza, le parole dei rappresentanti del Vaticano non sono chiare.
Come non è chiara la Lettera circolare della Congregazione per la dottrina della fede del maggio 2011 inviata alle Conferenze episcopali di tutto il mondo per aiutarle a preparare le «linee guida per il trattamento dei casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici»: si invita ad «ascoltare le vittime» e a «proteggere i minori», a garantire «un’adeguata formazione a sacerdoti e religiosi» e a «vigilare» sui loro comportamenti, fino a «limitare l’esercizio del ministero da parte di un chierico » o a dimetterlo se riconosciuto colpevole. Si chiede anche di «collaborare» con le autorità statali, perché l’abuso sessuale dei minori «rappresenta anche un crimine perseguibile dal diritto civile», sebbene «i rapporti con le autorità possano variare da Paese a Paese», precisa mons. Charles Scicluna, promotore di giustizia - una sorta di pm - della Congregazione per la dottrina della fede. E comunque mai se la notizia dell’abuso fosse stata appresa in confessione.
Una collaborazione con tanti "se" e "ma". Eppure, spiega Marier Collins - una donna irlandese di 66 anni violentata da un prete quando ne aveva 13 ed era ricoverata in ospedale - «avevo 47 anni quando parlai del mio abuso per la prima volta» ma «l’inizio della guarigione per me è stato il giorno in cui il mio aggressore in tribunale ha ammesso la sua colpa».
In Italia, per ammissione dello stesso Bagnasco, la Cei riconosce oltre cento casi di abusi compiuti negli ultimi dieci anni. A maggio verranno presentate le «linee guida» per «affrontare la questione in spirito di giustizia, avendo premura - spiega - in primo luogo per le vittime degli abusi e curando in particolare la formazione dei futuri sacerdoti». E chissà se si farà cenno anche alla giustizia terrena.