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ADAMO, EVA ... E L’EDEN?

Archeologia, preistoria, e storia
domenica 18 giugno 2006 di Federico La Sala
[...] A Göbekli Tepe, in Turchia, i ricercatori hanno riportato alla luce un complesso architettonico preistorico che potrebbe aver ispirato la narrazione biblica: una fertile collina che già nell’Età della pietra era un monumentale centro sacro dedicato al culto del serpente. Vicino alla grotta della nascita di Abramo [...]
GUARIRE LA NOSTRA TERRA: VERITA’ E RICONCILIAZIONE. Lettera aperta a Israele (già inviata a Karol Wojtyla) sulla necessità di "pensare un altro Abramo" (...)

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> ADAMO, EVA ... La mela e la coscienza della colpa. Una storia psicoanalitica infinita (di Marco Garzonio).

venerdì 5 febbraio 2010


-  La mela e la coscienza della colpa
-  Una storia psicoanalitica infinita

di Marco Garzonio (Corriere della Sera, 5 febbraio 2010)

I miti sono un condensato di esperienze finite nell’inconscio, per la gran parte. Rinviano a una base storica, a un «in principio», e narrano fatti e personaggi che di quegli eventi son stati protagonisti.

Mito sta proprio a dire «racconto». Nel corso del tempo il filo narrativo subisce modificazioni e adattamenti sino a raggiungere la forma espositiva giunta sino a noi. I miti costituiscono materiale molto utile per il lavoro analitico.

Primo, perché si tratta di vicende «esemplari» del comportamento umano. Secondo, perché la ricostruzione delle stratificazioni successive al nucleo primigenio- dove essa è possibile- dà conto delle trasformazioni della psiche collettiva, cioè di come essa ha reagito agli impulsi, dei passaggi che ha attraversato, dei punti fermi che ha raggiunto a poco a poco nel corso dello sviluppo, contribuendo a determinare quello che chiamiamo inconscio culturale. Terzo, perché essi, i miti, mostrano come vi sia un’attitudine costante della mente umana a produrre immagini, cioè a rappresentare in linguaggio figurativo e drammaturgico i contenuti di ciò che accade e turba, di vagliare le suggestioni ad alta tonalità affettiva. Il fine è di prendere le distanze dalle emozioni troppo forti, di proteggersi, di non rimanerne sopraffatti. Il «discernimento», parola che so cara ai biblisti - basterebbe pensare all’uso ricorrente di essa nella pastorale del cardinal Martini- configura l’esercizio di questa funzione critica, basata costitutivamente su ragioni psichiche.

E quando si dice, con Pascal, che «il cuore conosce ragioni che la ragione non conosce» si fa riferimento proprio a quella realtà che chiamiamo «totalità psichica», all’essere umano considerato nella completezza delle sue funzioni, dal pensiero al sentimento. Quarto, i miti contengono al proprio interno dei nuclei energetici, cioè elementi che anche a distanza di epoche e di luoghi mantengono la propria carica e sono in grado di sprigionarla, di lasciarla fluire nel momento in cui noi siamo in grado di individuarli, di stabilire con essi un contatto e un collegamento, di attingere alla loro forza.

La cacciata dal Paradiso Terrestre come condanna di un comportamento riprovevole è in estrema sintesi il nucleo di un mito: quello delle origini. In un poderoso scenario il narratore biblico dà conto di un evento, quasi esponesse dei fatti che ha davanti a sé nel momento stesso in cui li racconta. In una sequenza di quadri suggestivi descrive come Dio ha dato vita all’universo e come l’uomo, che di quell’Eden era stato posto al centro perché lo custodisse e da signore ne potesse godere, ha trasgredito l’unico comandamento impartitogli dal suo creatore: non mangiare il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male. A quella disubbidienza originaria segue il castigo: principia il faticoso cammino degli uomini e delle donne sulla terra. Sulle spalle - conclude il racconto biblico- essi recano il fardello del senso di colpa per il delitto che hanno commesso. La psicoanalisi ha affrontato quel mito, cercando di ricostruire le varie componenti ascrivibili a fonti ancora più remote, che sarebbero poi confluite nella Genesi e che l’autore di questa avrebbe adattato per renderlo accettabile e comprensibile all’Israele del X secolo avanti Cristo. Non è qui la sede per una rassegna delle tante congetture che sono state fatte. Ma conta registrare, per sommi capi, parte del patrimonio interpretativo cumulato. Molti autori hanno creduto di riconoscere alcuni motivi specifici all’inizio della colpa e della punizione che ne è seguita. S’è parlato del desiderio sessuale, grazie al quale l’uomo si rende indipendente. Si è fatto riferimento all’uccisione del padre perpetrata al fine di prendere il suo posto e della lotta tra i fratelli nel disputarsi successione e divisione dell’eredità.

Qualcuno ha anche ipotizzato un carattere incestuoso della relazione fra Adamo ed Eva, in quanto questa è detta «madre dei viventi», lettura che rinvierebbe ad una equiparazione tra le figure di Adamo e di Edipo e alla contaminazione con la cultura mediterranea delle Grandi Madri. Stabilendo poi paralleli con i culti animisti si è risaliti anche alla venerazione delle forze della natura, ipostatizzate col proposito di rendersele amiche; il riferimento è a un culto totemico dell’albero, venerato e divinizzato al punto che, mangiandone i frutti, l’uomo potesse incorporare forza e potere e diventare quindi come lui: un Dio.


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