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COS’ E’ QUESTO GOLPE?

L’URLO DI PIER PAOLO PASOLINI (1974). PER L’ITALIA E LA COSTITUZIONE

martedì 20 giugno 2006 di Federico La Sala
COS’E’ QUESTO GOLPE?
IO SO...
di Pier Paolo Pasolini (Corriere della Sera, 14 novembre 1974)
Io so.
Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe" (e che in realtà è una serie di "golpe" istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.
Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi (...)

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> L’URLO DI PIER PAOLO PASOLINI (1974). PER L’ITALIA E LA COSTITUZIONE --- "Pasolini after Dante" (E. Patti, 2016). Rec.ne (di Paolo Desogus).

venerdì 8 gennaio 2021

Emanuela Patti, Pasolini after Dante. The ‘Divine Mimesis’ and the Politics of Represen-tation , Cambridge, Modern Humanities Research Association, 2016, pp. 178.

di Paolo Desogus *

Con Pasolini after Dante. The ‘Divine Mimesis’ and the Politics of Representation Emanuela Patti aggiunge alla critica pasoliniana uno studio destinato a riaprire il fronte della discussione sulle fonti che hanno contribuito a costruire l’impianto poetico e teorico dello scrittore friulano. Il volume non ha però il solo merito di ricostruire filologicamente il legame tra Dante e Pasoli-ni, ma ha anche quello di rischiarare, alla luce della lettura della Commedia , quell’intreccio di questioni che unisce linguistica, riflessione poetica e politica nella prospettiva di una mimesi capace di coniugare tradizione letteraria e sperimentazione stilistica, realismo e vitalismo, ideologia ed empirismo assunto come antidoto anti zdanoviano.

Il titolo del volume potrebbe per questo trarre in inganno: ‘dopo Dante’ non indica tanto una successione o un passaggio di testimone, quanto la capacità della Commedia di attualizzarsi nell’orizzonte storico di Pasolini per assumere, attraverso la propria specificità linguisti-ca e stilistica, il carattere di funzione in grado di integrare questioni sia letterarie che politiche apparentemente slegate tra loro. Nell’ottica pasolinaina il nome di Dante costituisce infatti la punta emergente su cui convergono la lettura degli scritti di Antonio Gramsci sul ‘nazionale-popolare’, la riflessione sul tema del plurilinguismo condotta in primo luogo sotto il magiste-ro di Gianfranco Contini e l’analisi delle nozioni di figura e di realismo a partire dagli studi compiuti da Erich Auerbach.

Come emerge dal volume di Patti, il principale luogo in cui questa funzione si esercita è quello della lingua, intesa come sistema espressivo e come spazio comunitario che mette in contatto voci, passioni ed esperienze del reale. La parola in questo senso non è mai neutra: essa vive insieme ai corpi che la parlano e che si confrontano con la realtà. Il plurilinguismo, la concezione figurale e la commistione degli stili della Commedia si inseriscono in questo senso nella riflessione intorno agli usi letterari della parola altrui e in particolare al regresso nella lingua dei subalterni. Quello che però è cruciale è che soprattutto negli anni Cinquanta questa apertura all’altro è alla base dell’originale rilettura pasoliniana delle note sulla let-teratura nazionale-popolare dei Quaderni del carcere.

La prospettiva gramsciana di rivivere i sentimenti delle classi lasciate ai margini della storia, sintetizzandoli ed elevandoli a materia artistica, trova infatti in Pasolini una soluzione linguistica che non ha altri esempi nel dibattito letterario italiano dell’epoca, troppo spesso segnato da un contenutismo di scarse ambizioni e dall’incapacità di riflettere sul problema dello stile.

Il nesso Gramsci-Contini-Auerbach stabilito sotto l’egida dantesca va però anche oltre la produzione letteraria. Se la lingua costituisce la materia per l’elaborazione dello stile e per il regresso nell’alterità subalterna, allo stesso modo essa è il luogo di verifica delle trasformazioni storico-politiche: nei margini di possibilità dello stile lasciati dalla lingua l’autore misura infatti il grado di penetrazione della cultura dei consumi nella vita sociale dei parlanti. La stessa crisi del realismo degli anni cinquanta, che aveva guidato la stesura dei romanzi romani, non poteva che emergere dall’analisi della lingua, che l’autore sente trasformarsi e mano a mano alienarsi fino a coinvolgere i suoi stessi parlanti e i loro modi di vivere e sentire il mondo.

Come mostra Patti nell’ultima parte del volume, l’opera che meglio riesce a sintetizzare questa trasformazione è La Divina Mimesis , le cui prime stesure risalgono all’inizio degli anni sessanta, in prossimità della nascita della Neoavanguardia. In questo romanzo felicemente incompiuto, l’autore si confronta con un paesaggio linguistico definitivamente mutato che neutralizza la possibilità di una letteratura nazionale-popolare fondata sulla pluralità linguisti-ca delle classi subalterne ricavata da Dante. Allo stesso modo Pasolini vede fallire il modello dello scrittore che si pone come punto di mediazione tra cultura alta e cultura bassa. Il risul-tato è una riflessione esemplare sull’autorialità, che nella Divina Mimesis si risolve nella messa in scena del proprio agire, del proprio essere e lottare.

* Fonte: «Studi pasoliniani. Rivista internazionale», n. 11, 2017.


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