Una rassegna a New York
I lettori americani alla riscoperta dell’opera letteraria di Pasolini
di Gian Maria Annovi (il manifesto, 06.12.2007)
Tra i molti progetti di Pier Paolo Pasolini lasciati incompiuti al momento della sua morte, c’è la sceneggiatura per un film su San Paolo ambientato a New York, città che Pasolini visitò per la prima volta nel 1966, per presentare il Vangelo secondo Matteo. Nel pubblico c’era anche una giovanissima Patti Smith, folgorata dalla carica rivoluzionaria che emergeva da quel film. Lo ha ricordato lei stessa qualche sera fa, durante un incontro alla Casa Italiana di New York, nell’ambito di una rassegna organizzata dall’Istituto di Cultura Italiana, che in questi giorni si propone di ripercorrere l’opera di quello che il New York Times ha definito «il più prodigioso talento italiano» del secolo scorso. A diciassette anni dalla prima retrospettiva pasoliniana organizzata dal MoMa, la manifestazione - Pier Paolo Pasolini: Poet of Ashes - intende presentare al pubblico newyorkese un ritratto a tutto tondo del nostro «poeta delle ceneri».
Negli Stati Uniti, infatti, dove Pasolini è tra gli artisti italiani più studiati e apprezzati, la sua figura viene associata soprattutto alla produzione cinematografica. Nonostante le buone traduzioni antologiche, non ultima quella curata da Norman MacAfee, ad oggi non esistono in America studi di rilievo sulla sua opera poetica, e anche l’interesse per la sua narrativa - se è vero che la titanica traduzione di Petrolio ad opera di Anna Goldstein viene svenduta on-line per pochi dollari - resta circoscritto a opere giovanili come Ragazzi di vita. Anche la produzione saggistica, a parte una discreta traduzione di Empirismo eretico, è ancora pressoché sconosciuta al pubblico statunitense.
Eppure l’America - quella dell’accademia e degli intellettuali metropolitani, ovviamente - non può non amare Pasolini: l’eretico, il marxista, l’omosessuale. Anche Pasolini l’ha amata l’America, ma quella «giovane, disperata, idealista» che raccontava entusiasta - in una intervista intitolata Un marxista a New York - a una Oriana Fallaci divertita e spaventata dalla sua gioiosa ingenuità. Fa sorridere infatti rileggere quella intervista, dove Pasolini scambiava una New York «magica, travolgente e bellissima», con l’America intera, divisa dalla follia della guerra del Vietnam.
Nel 1969, però, alla sua seconda visita newyorkese, il poeta - che già maturava le riflessioni sul genocidio culturale degli italiani, causato anche da un consumismo ben incarnato dagli Stati Uniti - si stupiva che tutto a New York gli apparisse «sospeso e come morto». È proprio questa capacità di abiurare se stesso che rende l’opera di Pasolini ancora nuova e sorprendente, e che forse permette alla sempre più contraddittoria America di oggi di rispecchiarsi in questo poeta delle ceneri, «più moderno di ogni moderno», sempre rinascente dalle proprie rovine.