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LA COSCIENZA A POSTO. Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti

L’URLO DI ITALO CALVINO (1980). PER L’ITALIA E PER LA COSTITUZIONE

C’era un paese che si reggeva sull’illecito. Non che mancassero le leggi, né che il sistema politico non fosse basato su principi che tutti più o meno dicevano di condividere (...)
domenica 22 gennaio 2012 di Federico La Sala
L’urlo di Pier Paolo Pasolini (1974)

LA COSCIENZA A POSTO
(Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti)
di Italo Calvino*
C’era un paese che si reggeva sull’illecito. Non che mancassero le leggi, né che il sistema politico non fosse basato su principi che tutti più o meno dicevano di condividere. Ma questo sistema, articolato su un gran numero di centri di potere, aveva bisogno di mezzi finanziari smisurati (ne aveva bisogno perché (...)

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> ITALO CALVINO, La memoria del mondo --- Una “clinica dell’anima” che resiste da duemila anni. Bibliotech - Borges sognava una biblioteca illimitata.

lunedì 2 novembre 2015

Una “clinica dell’anima” che resiste da duemila anni

di Alberto Manguel (la Repubblica, 2.11.2015)

Platone, nel Timeo, racconta che quando uno degli uomini più saggi di tutta la Grecia, lo statista Solone, visitò l’Egitto, un vecchio sacerdote gli disse che i greci erano come bambini, perché non possedevano tradizioni realmente antiche o insegnamenti «canuti per l’età». In Egitto, proseguiva orgoglioso il sacerdote, «tutte quante le cose che sono accadute presso di voi o qui o in altro luogo di cui abbiamo sentito notizia, se ve ne sia qualcuna che sia onorevole, o grande, o che si sia distinta per qualche altra ragione, sono state scritte qui nei templi e vengono conservate».

Questo progetto tanto ambizioso prese forma durante la dinastia tolemaica. Nel III secolo a.C., più o meno nello stesso periodo in cui Platone scriveva i suoi dialoghi, i re egiziani ordinarono che ogni libro esistente nel mondo conosciuto venisse raccolto e collocato nella grande biblioteca che avevano fondato ad Alessandria. Di questa biblioteca non si sa quasi nulla, a parte la sua fama, eppure, come uno dei fantasmi più illustri della storia, la Biblioteca di Alessandria è divenuta l’archetipo di tutte le biblioteche. Le biblioteche hanno le forme e le dimensioni più diverse. Possono essere enormi come la Biblioteca Vaticana o minuscole come quella del campo di concentramento per bambini di Birkenau, dove le bambine più grandi custodivano otto volumi che dovevano essere nascosti ogni sera per evitare che i secondini nazisti li confiscassero.

È nella natura delle biblioteche esistere nel pericolo costante di essere distrutte, dalla guerra, dai parassiti, dal fuoco, dall’acqua o dalle dabbenaggini della burocrazia. Ma oggi il pericolo maggiore viene da cambiamenti sconsiderati che rischiano di far perdere alle biblioteche il loro triplice ruolo tradizionale: custodi della memoria della nostra società, fornitrici dei resoconti delle nostre esperienze e degli strumenti per esplorarle, e infine (non meno importante) simboli della nostra identità.

Dai tempi di Alessandria le biblioteche rivestono una funzione simbolica, ma dalla metà del Novecento sembrano trattate come semplici magazzini di una tecnologia giudicata defunta non sono considerate degne di adeguata conservazione e finanziamenti. Eppure resistono. Decise a sopravvivere in un’epoca in cui l’atto intellettuale ha perso quasi tutto il suo prestigio, le biblioteche sono diventate in buona parte centri sociali.

Ma se si vuole che diventino il cuore di centri sociali più ampi, allora occorreranno cambiamenti operati in modo consapevole da un’istituzione intellettualmente forte che ne riconosca il ruolo esemplare, preservando la centralità del libro e insegnandoci che cosa possono fare i libri; mostrarci le nostre responsabilità gli uni verso gli altri, aiutarci a mettere in discussione i nostri valori e minare i nostri pregiudizi, fornirci il coraggio e l’ingegno per continuare a vivere insieme e offrirci parole illuminanti che ci consentano di immaginare tempi migliori. Secondo lo storico greco Diodoro Siculo, le biblioteche dell’antico Egitto recavano scritte sopra l’ingresso queste parole: «Clinica dell’anima».

(Traduzione di Fabio Galimberti)


Benvenuti nelle Biblio-tech

C’è chi digitalizza il proprio patrimonio librario chi si trasforma in museo chi organizza eventi chi fa accordi con Google

Nell’era della crisi del libro e della concorrenza della Rete ecco come cambiano le vecchie biblioteche

di Raffaella De Santis (la Repubblica, 2.11.2015)

All’entrata della Boston Public Library c’è scritto “free to all”, aperta a tutti. La prima biblioteca pubblica al mondo è fondata nel 1852 dal finanziere Joshua Bates con questo intento: mettere i libri a disposizione di chiunque. Ma oggi, nell’era di Internet, che fine fanno le biblioteche? Per sopravvivere cambiano pelle: alcune puntano sulla tecnologia, altre si reinventano come musei, organizzano mostre e vanno a caccia di eventi da proporre al pubblico.

I numeri non confortano. In Gran Bretagna negli ultimi dieci anni sono state chiuse 350 biblioteche e in Canada la biblioteca pubblica di Toronto è stata salvata in extremis grazie a una campagna di mobilitazione caldeggiata da Margaret Atwood. Ovunque sono stati tagliati i finanziamenti, è stato ridimensionato il personale e le ore di apertura al pubblico sono diminuite. In Italia, secondo una ricerca fatta dal Centro per il Libro e dall’Istat, nel 2012 risultavano chiuse 224 biblioteche di pubblica lettura sulle 3.854 che avevano risposto all’indagine (su un totale di 6.890 censite) e nel 2013 88 (su un campione di 5.842).

Il pericolo ha però messo in moto il cambiamento. Di fronte al rischio di sparizione le biblioteche vogliono reinventarsi. E lo fanno in due direzioni: da una parte diventando sempre più digitali, dall’altra trasformandosi in spazi espositivi, sale concerto, luoghi di incontro e letture pubbliche. «La nostra idea è quella di presentare la biblioteca come fosse un museo, sul modello di quanto già avviene alla British Library di Londra», dice Andrea De Pasquale, direttore della Biblioteca nazionale centrale di Roma, nella quale lavorano poco più di 200 persone e che conserva sette milioni di volumi. La biblioteca ha da poco allestito uno spazio dedicato a Elsa Morante che ricostruisce lo studio di via dell’Oca 27, quello affacciato su Piazza del Popolo, dove l’autrice de La Storia si rintanava a scrivere (ci sono la sua scrivania, la sua macchina da scrivere, le sue carte) e sta per aprire un piccolo museo dedicato a Pier Paolo Pasolini, che sarà inaugurato mercoledì prossimo.

Insomma, se la British Library mette in mostra gli autografi di Shakespeare perché non farlo anche noi? A Milano, alla Biblioteca Braidense, c’è una sala dedicata a Lalla Romano, grazie alle donazioni di manoscritti e mobili fatte dagli eredi. Ma se da una parte si punta su incunaboli, autografi, carteggi, dall’altra si cerca di sbarcare in rete. Le tre principali biblioteche statali italiane, Roma, Napoli e Firenze, hanno aderito al progetto Google, che prevede la digitalizzazione entro il prossimo anno di 500mila volumi. «Mandiamo a digitalizzare cinquemila volumi ogni settimana», racconta De Pasquale.

La Bibliotech italiana ha preso il via da un paio d’anni, ma già conta più progetti. Accanto al trasferimento dei libri su Google (solo di quelli fuori dal diritto d’autore) c’è il progetto “Magazzini Digitali”, una piattaforma online per conservare ebook e materiale internet che non abbia un corrispettivo cartaceo. Il magazzino, dunque, non è più un archivio polveroso, dove perdersi tra pile di documenti, è una nuvola che vive solo sul web. I documenti (tutti nativi digitali) vengono custoditi in tre differenti server, di modo che se un sito perde le informazioni, i dati continuano ad esistere negli altri due.

Il problema con il digitale sono i costi di conservazione e di aggiornamento, molto più alti. Giovanni Bergamin, responsabile dei servizi informatici della Biblioteca nazionale di Firenze, spiega: «Bisogna investire soldi per evitare l’obsolescenza del software e dell’hardware, ma il vantaggio è che grazie ad Internet aumenta l’accessibilità ai documenti». Per consultare le collezioni digitali delle biblioteche è stata creata Media Library Online, una rete a cui hanno aderito 4000 biblioteche pubbliche. “Free to all”, la scritta all’entrata della Boston Public Library, potrebbe tranquillamente essere usata come motto della rete. Da noi la digitalizzazione al momento si ferma alla seconda metà dell’Ottocento, ma negli Stati Uniti sono stati digitalizzati tutti i libri non oltre il 2004, fino a quando un contenzioso con gli editori ha costretto Google a fermarsi.

Ora che alle biblioteche arriveranno nuovi fondi dalla legge di Stabilità del Mibact, bisognerà vedere come verranno redistribuiti i 45 milioni messi a disposizione (sono previste anche cinquecento nuove assunzioni). Di certo alla Nazionale di Roma andranno cinque milioni di euro (finanziamento raddoppiato rispetto al passato) e tre andranno a quella di Firenze, in cui attualmente lavorano 157 persone e che conserva sei milioni e 700 mila volumi e 120mila periodici (oltre a quattro mila incunaboli, un milione di autografi e 25mila manoscritti). Dice però Rossana Rummo, direttrice generale Biblioteche: «Sono soprattutto le biblioteche di pubblica lettura a svolgere un ruolo importante di aggregazione sociale, come la rete delle biblioteche romane che svolge un ruolo importante in zone degradate della città ». A questo tipo di realtà di quartiere, si rivolge la campagna “Libriamoci” promossa dal Centro per il Libro, che punta a incentivare la lettura tra i ragazzi delle scuole anche attraverso iniziative nelle biblioteche comunali.

Tra i modelli di biblioteca del futuro a cui noi mediterranei guardiamo c’è l’Idea Store di Londra, un posto in cui seguire corsi di ogni tipo: fotografia, scrittura, perfino cucina. Non a caso qualcuno l’ha ribattezzate biblioteca Starbucks. Alla nazionale di Napoli (che custodisce più di 1700 papiri preziosissimi ercolanesi, oltre a 19mila manoscritti, 4.563 incunaboli, un milione e 800mila volumi a stampa) si è appena organizzata una mostra sul cibo. «Ci interessa raccontare la nostra storia, far conoscere la nostra identità e il cibo fa parte della nostra cultura », spiega la direttrice Vera Valitutto.

Forse è qui il segreto delle biblioteche, nella loro capacità di adattamento ai tempi. In Italia il processo è appena iniziato. Due anni fa John Palfrey, studioso americano esperto della rete, pubblicava un libro intitolato proprio Bibliotech. Sosteneva: «La biblioteca ha bisogno di un aggiornamento » e ne incoraggiava la mutazione digitale. La biblioteca mutante ha preso forma, tra papiri e pagine web. Borges sognava una biblioteca illimitata. Oggi quel sogno potrebbe avverarsi, ma sul web.


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