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"Non lasciateci soli".

SALVARE Il manifesto !!! Ciò che è in gioco è la libertà d’informazione, la democrazia - a cura di Federico La Sala

Non è come le altre volte, non è la solita ciclica difficoltà, è una faccenda molto più seria.
mercoledì 1 ottobre 2008 di Federico La Sala
[...] Perché sappiate che questo nostro esperimento antimercato rischia di chiudere. Noi ce la mettiamo tutta ma la risposta spetta a voi lettori de il manifesto e ai non lettori che tuttavia pensano che questo giornale sia un utile personaggio nella commedia, o tragedia, che stiamo vivendo [...]

LA RESA DEI CONTI. ECCO PERCHE’ RISCHIAMO LA PELLE
di Francesco Paternò (il manifesto, 24 giugno 2006)
E’ anomalo che un’anomalia duri da più di (...)

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> SALVARE Il manifesto !!! --- La sfida disperata del “manifesto” Rischio chiusura. Lutto per la morte del fondatore Aldo Natoli (di Beatrice Borromeo)

mercoledì 10 novembre 2010

La sfida disperata del “manifesto”

Rischio chiusura. Lutto per la morte del fondatore Aldo Natoli

Il calabrone non vola più. Diceva Luigi Pintor, uno dei padri fondatori del manifesto, che il suo giornale è come un calabrone, la stessa metafora usata dagli economisti per descrivere l’Italia: ha le ali troppo pesanti per volare, per le leggi della fisica non dovrebbe stare in aria eppure, da 40 anni, il calabrone comunista sopravvive in edicola.

di Beatrice Borromeo (il Fatto, 10.11.2010)

Solo che, da quando il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha cancellato il diritto soggettivo delle testate ad accedere ai contributi pubblici, nel bilancio del manifesto sono venuti a mancare 3 milioni e 700 mila euro all’anno. E tra edicola e abbonamenti vende appena 20 mila copie, zoccolo sempre duro ma insufficiente, mentre dalla pubblicità incassa 1,7 milioni all’anno. Soldi che non bastano a coprire i costi di una redazione di 90 persone, da sei mesi senza stipendio. “C’è un riccone in Italia che può comprare il manifesto per farlo restare così com’è?”, si è chiesto scherzando ma non troppo sulle colonne del Corriere della Sera un altro dei padri del manifesto, Valentino Parlato. Perché l’autotassazione dei lettori che ha salvato il quotidiano fino a oggi (come le vendite a prezzi maggiorati o la richiesta di comprare a 50 euro il best of del giornale) non basta più, e anche le linee di credito dei banchieri simpatizzanti si sono prosciugate.

IL DIRETTORE del manifesto Norma Rangeri non prende sul serio l’ipotesi del cavaliere bianco, anche perché molti in redazione (e tra i lettori) preferirebbero chiudere che consegnarsi a qualcuno che possa dettare la linea politica a un progetto culturale e giornalistico che da sempre si compiace di essere “autonomo, libero e senza padroni”. Il problema è che di soluzione alternative non se ne vedono. La Rangeri fatica a immaginare una via d’uscita dal profondo rosso che vive il quotidiano comunista: “Dobbiamo riuscire a sopravvivere per i prossimi tre mesi e raddoppiare la pubblicità”. Ma anche lei sembra considerarlo più un miracolo che un progetto industriale: per attrarre gli inserzionisti serve una crescita delle vendite, difficile da ottenere senza investire sul prodotto (il manifesto è praticamente l’unica testata ancora in bianco e nero). E i soldi per farlo proprio non ci sono.

“Non vogliamo morire a 40 anni ma in redazione c’è profondo sconforto. Mandare in stampa un giornale che da sei mesi non paga chi ci lavora è difficilissimo. Questa volta la possibilità di chiudere è seria”, dice la Rangeri mentre prepara un paginone per ricordare Aldo Natoli, storico fondatore del quotidiano, scomparso due giorni fa a 97 anni. “Gli volevo bene, ma non lo sentivo da tempo - spiega un altro del gruppo fondatore, Lucio Magri - e poi odio i necrologi, così vincolati a ricordi appiattiti”.

Da un autobus di Londra, Luciana Castellina ricorda al telefono che Natoli “diceva che il Partito comunista era una giraffa, perchè si distingueva dagli altri. E Aldo era la giraffa nella giraffa, un intellettuale raffinatissimo e unico”. Per la Castellina la fine del manifesto - fondato nel 1969 da un gruppo di dirigenti del Pci espulsi dal partito perché si rifiutavano di avallare l’invasione sovietica della Cecoslovacchia - è dovuta alla “scomparsa della politica tutta” più che alla sconfitta della sinistra radicale e alla sua assenza in Parlamento.

IL MANIFESTO, sostiene la Castellina, “non può che essere la prima vittima della morte della politica. Era nato legato a un concetto, a un movimento. Non è mai stato un giornale in senso tradizionale, era un vero soggetto politico”. E quindi, lo ammette proprio Valentino Parlato, non ci può essere molta speranza: “Un quotidiano comunista fatica a sopravvivere se i comunisti non esistono più. L’unico che ancora li nomina è Berlusconi”.


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