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Archeologia ed Ermeneutica..:

NEL "DISCO" DI FESTO... UNA STORIA D’AMORE. L’IPOTESI DI PADRE MADAU. Un articolo di Tito Siddi - a cura di Federico La Sala

Il fiore in bulgaro si chiama «ànghelma» che in greco vuol dire «messaggio». Per lo studioso francescano, si narra una storia d’amore sulle sponde del Mar Nero e del Danubio.
domenica 25 giugno 2006 di Federico La Sala
[...] Un giovane principe del popolo dei Traci si innamora di una principessa lontana, la nobile Pellicana figlia del re dei Pelagi. Ad aiutarlo nell’intento di impalmare la giovane e bellissima principessa è lo stesso padre del principe. Con l’aiuto del nobile genitore e delle tribù dei Daci, raffigurati nel disco col simbolo dei lupi, e degli Apuli raffigurati col simbolo delle api, il giovane principe dopo varie peripezie riesce a sposare l’innamorata. Dalla coppia regale nasce un (...)

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> NEL "DISCO" DI FESTO... --- CAGLIARI: MOSTRA. "Eurasia, fino alle soglie della storia", La Sardegna e il Caucaso. Una sorta di ellissi con due fuochi.

martedì 22 dicembre 2015

Al Palazzo di Città di Cagliari un percorso che documenta la vita delle civiltà tra il V e il I millennio avanti Cristo. Dal Caucaso alla società nuragica

Eurasia

Quelle civiltà che diedero inizio alla grande Storia

Centinaia i reperti esposti provenienti dai musei della Sardegna e dall’Ermitage.

Un ponte fra mondi lontani per la prima volta a confronto

di Marino Niola (la Repubblica, 22.12.2015)

La conoscenza poetica del mondo precede la conoscenza razionale degli oggetti. In quella lunga notte in cui cominciano a spuntare le prime luci della storia, i nostri lontani progenitori vivevano in un paesaggio sconfinato dove la natura la faceva da padrona. E la caccia e la raccolta erano le sole arti della sopravvivenza. Eppure l’ingegno, la fantasia e la curiosità di quegli uomini e di quelle donne li hanno fatti uscire dall’età della pietra, dando inizio a una straordinaria rivoluzione culturale. Nascono allevamento, agricoltura, sedentarizzazione, lavorazione dei metalli, tessitura. Nasce l’idea stessa di casa, che non è un semplice riparo ma una dimora. Come dire che habitat, abiti e abitudini arrivano insieme. E che coltura e cultura avanzano in parallelo. Facendo uscire dal loro isolamento i figli di quei bestioni primitivi di cui parla Giambattista Vico nella Scienza Nuova. Di qui scambi, commerci e merci. Viaggi e non più vagabondaggi.

È un punto di non ritorno che cambia il destino della specie. A questa transizione è dedicata la bellissima mostra Eurasia, fino alle soglie della storia. Capolavori dal Museo Ermitage e dai Musei della Sardegna.

Curata da Anna Maria Montaldo, direttore dei Musei Civici di Cagliari, insieme a Yuri Piotrovsky e Marco Edoardo Minoja, l’esposizione (da oggi al 10 aprile 2016) documenta la vita di questi uomini che, intorno al quinto millennio prima di Cristo, stavano sperimentando la più grande delle mutazioni antropologiche.

Una soglia temporale ma anche una start up immaginativa. Da allora, infatti, le società umane cominciano a raccontarsi e a descriversi. In forma di parole e in forma di oggetti. Cose e rappresentazioni che fanno da monumento-documento di un tornante decisivo del cammino dell’umanità. I curatori della mostra hanno sintetizzato questo cammino nella parola Eurasia.

Una sorta di ellissi con due fuochi. La Sardegna e il Caucaso. Mondi così lontani e così vicini, divisi da una distanza incalcolabile e uniti da una domanda di senso che accorcia le distanze. Disseminando il percorso di oggetti eloquenti. Pugnali di rame, anfore kurgan, vasi di Ozieri, statuine femminili di alabastro, monili d’oro e d’argento. E poi gli strumenti prodotti dalle arti della metallurgia. Incudini e martelli che hanno plasmato rame, bronzo, ferro e oro consegnando la fabbrica del fuoco, che muove i suoi primi passi, prima al mito e poi alla storia.

Non a caso Prometeo, l’uomo che ruba la scintilla agli dei della folgore e la dona ai mortali, è l’eroe eponimo della civiltà. Il personaggio simbolo della techne, cioè la capacità tutta umana di trasformare la natura con il lavoro. “Sudate o fuochi a preparar metalli”, dicevano i poeti barocchi che di questo tornante sono stati i più geniali esploratori. Perché lo hanno detto in poesia e dipinto in immagini esonerandosi dal tentativo, peraltro vano, di spiegarlo in concetti.

Come dire che hanno usato le lenti potentissime della metafora alata, che sorvola spazi e tempi. Ed è quel che fanno i curatori della mostra spingendo il visitatore verso un autentico volo pindarico che avvicina lembi estremi della storia e della geografia.

E perfino la parola Eurasia, più che un semplice titolo, è un programma. Un ponte fra mondi lontani ma soprattutto una password di questo progetto nato nell’alveo della candidatura di Cagliari a capitale europea della cultura per il 2019. E che si è concretizzato in questa bellissima esposizione.
-  Eurasia, infatti è anche un acronimo. Ciascuna lettera fornisce una chiave di lettura.

E, come Ermitage, il prestigioso museo di San Pietroburgo che ha prestato le sue preziose collezioni archeologiche.

U come unione di culture.

R come la rivoluzione neolitica che ha mutato le sorti dell’umanità.

A come antropologia, la disciplina che studia le diverse dimensioni del pianeta-uomo.

S come Sardegna, l’isola-continente che con la sua storia millenaria e con la cultura nuragica diventa un paradigma del Mediterraneo.

I come immaginazione, la facoltà che apre la scatola nera dell’umano e ritrova i fili nascosti che costituiscono il tessuto comune della storia.

A come archeo-logia, che indaga le profondità del passato e ce lo rende di nuovo contemporaneo.

E in questa Eurasia del quinto millennio avanti Cristo ritroviamo le tracce di noi stessi, le premesse di quel che siamo diventati. Il nostro Oriente. Quella dimensione aurorale che da Erodoto in poi ha fatto del Caucaso, dell’Indo e della Mezzaluna Fertile le regioni dell’anima di un Occidente in cerca di orientamento e di origine. Parole che non per nulla hanno la stessa etimologia. E anche quando l’origine è svanita nelle nebbie del tempo ne restano le tracce e le connessioni.

Consegnate, come dice Pietro Clemente, in un bellissimo testo che arricchisce il catalogo, al mondo delle cose, alla cultura materiale, agli oggetti del lavoro contadino, agli strumenti del mondo nuragico o caucasico. Dove è possibile riconoscere forme, stabilire nessi, tra modi di vita apparentemente lontani e incomunicanti. È in questo mare, dove è facile naufragare, che è bello navigare oscillando tra lo stupore della differenza e la fascinazione della somiglianza.

Come quando il visitatore si trova davanti le perturbanti statue sarde di Monte Prama, grande attrattiva del Palazzo di Città. Cui i curatori, con felice scelta espositiva, hanno accostato i Kurgan di Majkop, straordinari monumenti funerari della Repubblica russa di Adigezia. Con i loro scheletri colorati che affiorano da millenni anni di storia in tutta la loro carica engmatica.

Amplificata da uno straordinario corredo di leoni rampanti, di anelli preziosi, di monili principeschi, di placche ornamentali. Chili di oro e d’argento che dovevano accompagnarli nell’ultimo viaggio. Entrambi eroi, i giganti sardi e i simulacri russi, hanno bucato la barriera del tempo e si ripresentano ai nostri occhi come emergenze del senso. Pieni di una ulteriorità onirica che ci invita ad addentrarci in quella foresta di simboli che separa e unisce il nostro Oriente e il nostro Occidente.


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