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Archeologia ed Ermeneutica..:

NEL "DISCO" DI FESTO... UNA STORIA D’AMORE. L’IPOTESI DI PADRE MADAU. Un articolo di Tito Siddi - a cura di Federico La Sala

Il fiore in bulgaro si chiama «ànghelma» che in greco vuol dire «messaggio». Per lo studioso francescano, si narra una storia d’amore sulle sponde del Mar Nero e del Danubio.
domenica 25 giugno 2006 di Federico La Sala
[...] Un giovane principe del popolo dei Traci si innamora di una principessa lontana, la nobile Pellicana figlia del re dei Pelagi. Ad aiutarlo nell’intento di impalmare la giovane e bellissima principessa è lo stesso padre del principe. Con l’aiuto del nobile genitore e delle tribù dei Daci, raffigurati nel disco col simbolo dei lupi, e degli Apuli raffigurati col simbolo delle api, il giovane principe dopo varie peripezie riesce a sposare l’innamorata. Dalla coppia regale nasce un (...)

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> NEL "DISCO" DI FESTO... UNA STORIA D’AMORE. L’IPOTESI DI PADRE MADAU. ---- Scavi a Creta, e precisamente sul sito di Plakias: Mediterraneo, ecco i primi navigatori

lunedì 6 giugno 2011

SCIENZA

Mediterraneo, ecco i primi navigatori

di Aristide Malnati (Avvenire, 5 giugno 2011)

Tutti a bordo! Si salpa! L’invito ad affrettarsi nella salita su un’imbarcazione pronta a prendere la via del mare, monito ormai consueto per passeggeri e marinai di ogni genere di natante, potrebbe trovare la prima ipotetica formulazione in un passato remotissimo, agli albori dell’avventura terrena, ancora in corso, dell’homo sapiens. Una recente scoperta ad opera di una missione archeologica greco-americana sta riscrivendo la storia della navigazione (e più in generale delle migrazioni di gruppi umani in ere lontanissime), facendone retrocedere l’origine di decine di migliaia di anni; viene enormemente spostato a ritroso il momento in cui i nostri lontanissimi antenati si avventurarono arditi a solcare tratti di mare, certamente limitati nella distanza, ma non per questo privi di incognite.

Gli scavi, diretti da Thomas Strasser (Providence College del Rhode Island) e da Eleni Passagopoulou (dipartimento di Paleoantropologia e speleologia della Grecia del Sud), sono stati eseguiti a Creta, e precisamente sul sito di Plakias. In particolare l’indagine si è concentrata su terrazzamenti in calcare, in grotte e in piccoli rifugi naturali, sede accertata di gruppi umani (l’homo sapiens, già nella sua fase di diversificazione) per un periodo lunghissimo: dal Pleistocene (130.000 anni or sono) fino all’Olocene (9.000 anni fa).

È in questo contesto è emerso un piccolo tesoro archeologico, capace di fornire informazioni preziose nella ricostruzione di momenti di quotidianità e di attività di quelle remotissime popolazioni: più di duemila pietre (o frammenti di pietra) palesemente antropiche, vale a dire intagliate dall’uomo. Piccoli oggetti di dimensioni minuscole (da un centimetro a un massimo di venti) in quarzo bianco, quarzite e rocce silicee: «Si tratta senza dubbio alcuno di rudimentali strumenti di lavoro, pensati per costruire qualcosa: una sorta di piccole asce, strumenti da taglio, oggetti affilati per limare, levigare e addirittura per forare», fa notare Eleni Passagopoulou dopo accurata analisi. E, sulla base della loro collocazione stratigrafica e di un’analisi geologica, si colloca la datazione di questi arnesi addirittura alla prima fase di occupazione dell’area, dunque a 130.000 anni or sono.

Ma quale fu la funzione di utensili litici così specifici, trovati in così gran numero e soprattutto gli unici reperti lì rinvenuti? Gli studiosi avanzano un’ipotesi affascinante e per nulla peregrina, in quanto basata sulla comparazione con manufatti simili, anche se di epoche molto più recenti: sarebbero serviti a costruire forme arcaiche di imbarcazioni, la cui conformazione ovviamente non possiamo neppur minimamente immaginare; imbarcazioni destinate però a percorrere piccoli tratti di mare così da permettere a gruppi umani seminomadi la costante ricerca di nuovi territori ideali per periodi di stanzialità più o meno lunghi. Alla luce di tale interpretazione compirebbe un notevole balzo a ritroso il momento in cui l’uomo iniziò a solcare la distesa marina; momento fino a un recente passato collocato attorno al 30.000 a. C. I primi uomini iniziarono a percorrere le acque dei mari e dei grandi fiumi, secondo lo storico della navigazione Piero Dell’Amico, utilizzando galleggianti fortuiti: si reputa che il tronco d’albero più o meno sagomato, incavato già di propria natura o espressamente scavato dall’uomo - definito tecnicamente "imbarcazione monossile" - sia stato il primo manufatto a comparire in epoca preistorica aprendo la strada allo sviluppo della nautica; e si potrebbe supporre che proprio un simile natante, preparato con gli strumenti litici rinvenuti, sia stato utilizzato dai protonavigatori cretesi.

Ma c’è di più. È evidente che i primi tentativi di compiere tragitti sull’acqua siano stati fatti mantenendosi lungo le coste, compiendo un percorso il più possibile privo di incognite. Nel caso dei navigatori di Creta siamo di fronte già a piccole traversate in mare aperto, facilitate certo dal gran numero di isole presenti nell’Egeo, ma non per questo semplici e sicuramente possibili solo con navi in qualche modo solide.

Questo aspetto risulta comprensibile, tenendo conto che la piccola comunità del sito di Plakias non fu certamente autoctona, ma che lì arrivò a più ondate da terre lontanissime, come già hanno mostrato ricerche di paletnologia; probabilmente questo ceppo, autore di più passaggi migratori intermedi prima di arrivare a Creta, si originò nel continente africano (nelle vallate dell’attuale Kenya o Etiopia), culla di quei gruppi umani vincenti nell’arcaica lotta di selezione e capaci poi di spingersi fino al bacino del Mediterraneo e nell’area del Vicino Oriente. E simili movimenti migratori - hanno stabilito i ricercatori - iniziarono in un periodo attorno al 200.000 a. C. e continuarono oltre il 130.000, quando appuntò si formò e rimase lungo tempo stabile la remota comunità di Plakias.

Aristide Malnati


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