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UOMINI E DONNE. LA NUOVA ALLEANZA di "Maria" e di "Giuseppe"!!! AL DI LA’ DELL’ "EDIPO", L’ "AMORE CONOSCITIVO". SULL’USCITA DALLO STATO DI MINORITA’, OGGI. In memoria di Kurt H. Wolff.

lunedì 6 dicembre 2021
TONDO DONI. Attenzione: nella cornice "raffigurate la testa di Cristo e quelle di quattro profeti" (Galleria degli Uffizi)? Ma, per Michelangelo, non sono due profeti e due sibille?!

Per l’ “amore conoscitivo” - In memoria di Kurt H. Wolff
SULL’USCITA DALLO STATO DI MINORITA’, OGGI.
Note per un nuovo patto sociale
di Federico La Sala *
"Per recuperare la salute, il nostro mondo ha bisogno di una duplice cura: la rigenerazione (...)

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> UOMINI E DONNE: "Dio, Patria, e FAMIGLIA", "Credere, obbedire, e combattere"?! La ... NUOVA ALLEANZA di ’Maria’ e di ’Giuseppe’!!!

mercoledì 5 luglio 2006

QUANDO SI DICE FAMIGLIA di Anna Bravo (La Repubblica, 04.07.2006)

Nei decenni tra i ’50 e i ’70 veniva descritta come un vero inferno Per paradosso quasi un quarto in Italia sono costituite da una sola persona

Chi parla di minacce alla tradizione pensa alle unioni tra omosessuali

C’è chi vuole più dialogo con i genitori e chi si sente assediato dalla loro amicizia

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Che la Chiesa insista sulla sua concezione di famiglia, e che i cattolici, politici o non, ci si confrontino, è naturale. Altra cosa però è vedere nelle nuove unioni un simbolo di disimpegno e libertinaggio, come se chi sceglie di convivere non sapesse che la libertà non significa vuoto di norme, significa misurarsi con un campo di vincoli accettati o autodecisi. Altra cosa è anche il rifiuto di riconoscere che la famiglia "regolamentare" gode di uno statuto privilegiato, e di un radicamento simbolico così profondo che a volte non ce ne rendiamo conto.

Per questo colpisce il tono bellicoso e insieme disperato con cui la Chiesa parla di minacce mosse alla famiglia da altri tipi di unione, o dell’eclissi nella società di ogni riferimento a dio, che legittimerebbe, oltre all’aborto, alla contraccezione e alla fecondazione assistita eterologa, l’apologia dell’unione «monoparentale, ricostituita, omosessuale, lesbica» - parole di un recente documento del Pontificio Consiglio per la famiglia.

Ci sono invece molti indicatori di segno opposto. In tutti i programmi di governo, la famiglia fa da leit-motiv, omaggiata, usata come carta di scambio, certificato di affidabilità, misura delle (spesso disattese) politiche di welfare, e da poco intestataria di un proprio ministero. Quando si propone di riconoscere un diritto all’una o all’altra forma di convivenza, non si manca mai di far notare che, pur non essendo una famiglia "normale", ne ha le caratteristiche di stabilità e di impegno reciproco; e si crea senza volerlo una scala gerarchica, dove in vetta stanno le coppie di fatto eterosessuali e di lunga data, al fondo quelle omosessuali, al fondo del fondo le e gli omosessuali singoli. Facilitazioni e sostegni vengono indirizzati prioritariamente al nucleo familiare o a una sua componente, esempio classico gli aiuti alle donne in quanto madri. Fra tanto parlare di famiglia, i diritti dell’individuo scolorano, e non solo sulle grandi questioni teorico-politiche, ma nella quotidianità. Ci sono mutui a tasso ridotto per le giovani coppie, dubito ce ne siano per un diciottenne che voglia mettere su casa da solo, e che allo stesso diciottenne si possa erogare un contributo per la scuola.

Altri segnali vengono da dove meno ci si aspetterebbe, per esempio dalle rilevazioni statistiche. Mi chiedo quanti hanno notato che per definire chi abita da solo si ricorre in genere all’espressione "famiglia unipersonale", acrobazia concettuale che assimila il singolo individuo a una realtà per definizione plurale, fatta di relazioni e condivisione di tempi e spazi. E’ un fenomeno importante, che continua a crescere sull’onda delle trasformazioni demografiche e culturali. Nel 2001 esistevano 5 milioni e 210 mila nuclei singoli: «quasi un quarto delle famiglie italiane - scriveva l’Istat senza rilevare l’ossimoro - è costituito da persone sole»; nel 1951 non arrivavano a un decimo. Ricondurre a una categoria unica tutte le tipologie abitative è una pratica della Ue, e nella scelta del termine italiano può aver pesato il richiamo alla familia latina, che indica sia appartenenza sia convivenza. Ma il paradosso resta, offusca le differenze fra chi sceglie di abitare da solo e chi ci è costretto da una vedovanza o da un divorzio, blocca le domande all’origine, peggio ancora tramanda l’idea che non ci sia altro modo di vivere e di definirsi. Con il risultato mirabolante che si può non avere una famiglia, ma non si può non essere una famiglia; che si può essere privi di parenti, ma è impossibile evitare di essere parenti di se stessi (il che è prerogativa riservata al dottor Jekill e a mister Hyde, oppure alle personalità multiple della psicopatologia).

Non è una questione di dettaglio, e non è il solo caso in cui i criteri "oggettivi" si rivelano molto meno neutri di quel che tendiamo a pensare. E’ diverso censire la casalinghità come professione o come condizione. E’ diverso istituire una casella apposita per le persone transgender oppure computarle fra i maschi o le femmine. Ne ha preso atto l’Università di Torino, dove è stato introdotto il doppio libretto per i/le transessuali in attesa della nuova identità, il primo con i dati anagrafici originari da depositare in segreteria, il secondo, da presentare agli esami, con il nome e il genere sessuale prescelti. E’ un modo di ridurre il disagio che assomiglia al nuovo rapporto fra la politica e il dolore auspicato da Stefano Rodotà.

A me sembra addirittura che verso la famiglia ci sia un atteggiamento protettivo-reverenziale, almeno su alcuni terreni. Penso ai crimini familiari, dall’omicidio alle percosse, e al loro trattamento mediatico: quasi ignorato il tema della responsabilità personale, si chiamano in causa il cosiddetto raptus di follia e/o la società atomizzata, sorda alle difficoltà altrui; quasi mai la famiglia, nonostante il suo corredo durevole di aggressività e frustrazioni. Di recente il termine "conflitto generazionale" ha subito uno slittamento di significato: anni fa lo si riferiva allo scontro giovani/anziani su libertà e valori, oggi qualcuno lo applica alla competizione nel lavoro e nelle carriere - e la famiglia sguscia fuori indenne. Per quanto i telefilm polizieschi pullulino di agenti senza marito e con molto successo, si contano sulle dita di una mano le star che dichiarano pubblicamente di non essere interessate alle gioie domestiche.

Di qui a considerare la famiglia il migliore dei mondi possibili forse non manca molto, e sarebbe un’ironia se si pensa alle critiche e alle lotte dei decenni ’50, ’60, ’70. Critiche motivate. Se la famiglia non era l’inferno descritto in tanti racconti, pièces teatrali, riunioni di autocoscienza; se non era il comodo campo di concentramento teorizzato da Betty Friedan nella Mistica della femminilità (Ediz. di Comunità,1964), si trattava comunque di una struttura autoritaria, claustrofobica, spesso gonfia di dolore, solitudine, astio - e senza uno spiraglio per il dialogo. Andandosene da casa, un minorenne dei primi anni Sessanta scriveva al padre: «Ti prego solo di una cosa. E’ l’ultimo favore che ti chiederò nella vita, e hai il dovere di farmelo: non denunciarmi». (Lettere dei capelloni italiani, a cura di Sandro Mayer, Longanesi, 1968). Il tocco melodrammatico non rende meno vero il vuoto di comunicazione.

Più che valutare se le critiche fossero estremizzate - d’accordo, su vari punti lo erano - qui è interessante guardare alle trasformazioni che rimbalzavano da un ambito all’altro.

Cambiavano le leggi. In molti paesi si legalizzava l’aborto assistito, compresa l’Italia, dove si introduceva anche il divorzio, si abrogava il divieto di propaganda anticoncezionale, si cancellava il delitto d’onore, mentre il codice del 1975 sanciva la parità fra i coniugi. Soprattutto cambiavano i rapporti. Denunciata come fabbrica di personalità autoritarie funzionali alle dittature, base dell’oppressione delle donne, regno dell’ipocrisia, associazione mercantile, la famiglia si è praticamente reinventata, ha contrattato nuovi modelli di relazione, più libertà per i giovani, più tolleranza in tema di rapporti sessuali e di uso del denaro; ha dato alla figura dei genitori un’impronta più (forse troppo) paritaria. Le comuni alternative si sono dimostrate molto meno vitali. Ma c’è qualcosa che non bisogna mai dimenticare: se la famiglia si è umanizzata, è perché qualcuno ha osato chiamarla disumana.

Oggi non sono molti quelli/e che si fanno carico di vagliare il "nuovo corso", senza lasciarsi ipnotizzare dalla buona fama riconquistata dalla famiglia. Eppure, nonostante i grandi passi avanti, i problemi non mancano, e non sono solo quelli innescati dalle tecniche procreative, che rendono la distinzione fra pubblico e privato sempre più precaria. In certe convivenze fra genitori novantenni e figli più che maturi, oppressori e oppressi possono scambiarsi le parti; in altre, madri e padri più invecchiano più esigono controllo e potere. Negli assegni di mantenimento riconosciuti a soggetti adulti, sani e in grado di lavorare, è implicita una visione della famiglia come surrogato a vita delle provvidenze per la disoccupazione. I bambini, con il loro potente istinto a conservare quello che hanno, possono patire di trovarsi al centro delle convivenze più variegate; fra i giovani c’è chi ancora soffre per la mancanza di un dialogo con i genitori, e chi è assediato dalle profferte di amicizia e complicità. Molte donne continuano a dibattersi nell’alternativa figli/carriera, o a sfinirsi nello sforzo di tenerli insieme. E sarebbe facile continuare.

Una Chiesa moderata e amorevole potrebbe dare un contributo di saggezza, di conoscenza (più da parte dei confessori che dei teologi) di equanimità, rinunciando innanzitutto a pretendere che lo Stato tratti le altre forme di convivenza come concorrenti abusive. La rivalità può esserci, perché no; le nuove unioni ampliano le opportunità di scelta e i possibili contraenti, forse logorano l’appeal già vacillante del matrimonio. Ma in che modo un Pacs potrebbe concretamente danneggiare una famiglia? In che modo, se non con misure restrittive e intrusive, una legge potrebbe disincentivare un processo che è essenzialmente culturale? Forse bisognerebbe imparare da quei parroci che danno la comunione ai divorziati e sepoltura ai suicidi, in attesa che le interpretazioni dottrinarie cambino - a volte è successo.

Fra gli amici delle unioni eterodosse, mi sembra ci sia il problema opposto dell’autolimitazione preventiva. E dunque sarebbe bene tenere a mente una verità sperimentata dalle donne: affrettarsi a mediare con le proprie convinzioni prima ancora di studiare una mediazione con quelle altrui, non aiuta, finisce anzi per farci arrivare al confronto già rimpiccioliti e indeboliti.


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