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ECCLESIA DE EUCHARISTIA (Giovanni Paolo II, 2003). Il cristianesimo non è un "cattolicismo": il ’cattolicesimo’ è morto.

INDIETRO NON SI TORNA: GIOVANNI PAOLO II, L’ULTIMO PAPA. PER IL DIALOGO A TUTTI I LIVELLI: UT UNUM SINT. Un omaggio a WOJTYLA: UN CAMPIONE "OLIMPIONICO", GRANDISSIMO. W o ITALY !!! - di Federico La Sala

Il "Dio" dei nostri ’padri’ e delle nostre ’madri’ è il "Dio" dei viventi, non dei morti !!! LA "SACRA FAMIGLIA" DELLA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA E’ ZOPPA E CIECA: IL FIGLIO HA PRESO IL POSTO DEL PADRE DI GESU’ E DEL "PADRE NOSTRO". E’ ORA DI RESTITUIRE "L’ANELLO DEL PESCATORE" A GIUSEPPE, PER AMARE BENE MARIA!!!
domenica 1 maggio 2011
[...] Che Egli viva in eterno, nella verità e nella pace - e nella memoria e nel cuore del nostro tempestoso presente storico, in lotta per portare alla luce una nuova - e più degna di noi stessi e di noi stesse - concezione dell’umano e del divino [...]
“DUE COLOMBI”, “DUE SOLI”. A KAROL J. WOJTYLA - GIOVANNI PAOLO II, in memoriam (03.04.2005)
GUARIRE LA NOSTRA TERRA. Lettera aperta a Israele (già inviata a Karol Wojtyla) sulla necessità di "pensare un altro (...)

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lunedì 18 settembre 2006

Se un Papa sbaglia

di Siegmund Ginzberg *

Anche i papi sbagliano. Ma non era mai successo che un Papa riconoscesse un proprio errore (non un errore passato della Chiesa o di un suo predecessore). Quale «errore»?

Non un errore di dottrina, ma l’aver detto qualcosa che poteva essere frainteso, «ritenuto offensivo per la sensibilità dei credenti musulmani». Insomma un errore politico. La «sensibilità» è un fattore politico, non religioso, non teologico. Bisogna dare atto a Benedetto XVI di aver riconosciuto, con la sua «autocritica» senza precedenti, che il mondo del dopo 11 settembre è un’immane, micidiale polveriera, estremamente instabile, dagli equilibri enormemente complessi ed aleatori.

Una polveriera in cui anche i ragionamenti, anche le parole possono essere utilizzate come detonatori da chi lavora per farla esplodere. «In questo momento desidero solo aggiungere che sono vivamente rammaricato per le reazioni suscitate da un breve passo del mio discorso all’Università di Regensburg ritenuto offensivo per la sensibilità dei musulmani, mentre si trattava di una citazione di un testo medioevale, che non esprime in alcun modo il mio pensiero personale», le parole con cui il papa ieri all’Angelus ha auspicato di «placare gli animi» e «chiarire il vero significato del mio discorso, il quale nella totalità era ed è un invito a un dialogo franco e sincero, con grande rispetto reciproco».

L’«autocritica» coglie l’essenziale: il fatto che ci sono solo due direzioni in cui si possono muovere le cose: verso l’inasprirsi di un «conflitto di civiltà» o, all’opposto, verso una composizione di tensioni stratificate e cristallizzate. Papa Ratzinger «in questo momento» tiene a chiarire soprattutto una cosa: che lui è per la seconda strada, e che, se quello che ha detto poteva essere frainteso, interpretato nel senso opposto, fornire scuse a chi cerca di spingere in senso opposto, se ne rammarica. C’era stato chi lo aveva invitato a «non cedere», «non ritrattare». Mandare al diavolo chi non ha capito o non vuole capire la denuncia della violenza, delle guerre sante (di tutte le guerre sante, anche quelle in difesa dei valori della cristianità e dell’Occidente, anche quelle per portare democrazia, modernità e libertà). Si potrebbe obiettare, con fondamento, che non aveva niente di cui scusarsi, che i fomentatori di odio avrebbero potuto benissimo servirsi di qualsiasi altra scusa e pretesto, come hanno fatto ripetutamente (si pensi alla vicenda delle «vignette»), che le reazioni sono spropositate e a giustificarle non basta il fatto che molti governanti islamici debbano barcamenarsi coi propri estremisti, che sarebbe stato meglio sentire anche dal mondo islamico moderato una denuncia altrettanto forte della violenza e dei miti della jihad. Le «sensibilità» non giustificano gli orrori e il fanatismo. Ma ci sono, e influiscono sull’essenziale.

Il passo «incriminato», considerato poco rispettoso verso l’islam e il suo profeta, era quello messo in bocca ad uno degli ultimi imperatori di Bisanzio ormai accerchiata dai turchi, Emanuele II Palelogo: «Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava». Serve ad introdurre un’affermazione ben più decisiva del contesto. E cioè che «Dio non si compiace del sangue», e che «agire contro ragione è contrario alla natura di Dio». Il dialogo dell’imperatore con un saggio persiano rientra in secoli di polemiche religiose bizantine, piene di affermazioni ben più aggressive e offensive, all’inizio contro le «eresie» in genere, poi contro gli ebrei, e infine contro i maomettani. Anzi, rispetto a quelle, secondo molti studiosi, rappresenta una svolta, introduce l’elemento del dialogo «alla pari», che poi sarebbe sfociato in innumerevoli «dialoghi» tra un cristiano, un ebreo e un musulmano, fino al capolavoro dell’illuminista Lessing, Nathan il saggio. Certo è del tutto legittimo citare un testo antico per sostenere un concetto di oggi. Ma dubbi sull’opportunità della citazione sono venuti anche da esponenti cattolici. «Avrei sperato che il pontefice dicesse qualche parola per distinguersi», la reazione di Khoury, il dotto professore di Munster che ha raccolto gli scritti del polemisti bizantini citati nella lezione del papa. E troviamo convincente l’obiezione del cardinale Renato Martino, per cui «la storia non si può interpretare coi criteri che abbiamo oggi. In passato ci sono stati altri criteri, altre maniere di giudicare le cose. Adesso dobbiamo aiutare l’avvenire, che non si costruisce se non con il dialogo». Le «sensibilità» sono accentuate anche dal fatto che Ratzinger, ancora cardinale e non ancora papa, non aveva a suo tempo esitato a dire la sua, controcorrente, su temi squisitamente politici come la prospettiva di accettare nell’Europa unita un paese islamico come la Turchia. «La Turchia ha sempre rappresentato nel corso della storia un altro continente, in permanente contrasto con l’Europa. Ci sono state le guerre con l’Impero bizantino, pensi anche alla caduta di Constantinopoli, alle guerre balcaniche e alla minaccia per Vienna e l’Austria...», aveva detto in una sua intervista di un paio d’anni fa a le Figaro. Se da Istanbul e da Ankara hanno reagito male, è certamente anche per questo.

Poteva un papa dire di più per «non essere capito male»? C’è chi ha notato che potrebbe, taglierebbe la testa al toro, se solo facesse esplicitamente proprie le affermazioni del Concilio Vaticano II sull’argomento, volute dal un suo predecessore che a Istanbul era stato a lungo nunzio: «La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini... La Chiesa guarda anche con stima i musulmani che adorano l’unico Dio (...). Se, nel corso dei secoli, non pochi dissensi e inimicizie sono sorte tra cristiani e musulmani, il sacro Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e a esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà». * www.unita.it, Pubblicato il: 18.09.06 Modificato il: 18.09.06 alle ore 13.27


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