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SOGNO E PENSIERO. SOGNO, DUNQUE SONO CREATIVO

mercoledì 10 giugno 2009
Ansa» 2009-06-08 22:59
DOPO UN SOGNO CI SVEGLIAMO PIU’ CREATIVI
ROMA - I sogni sono un propulsore della creatività, del pensiero creativo che porta alla soluzione ai problemi, infatti è durante la fase REM del sonno, quella in cui si sogna appunto, che il nostro cervello massimizza le sue (...)

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> SOGNO E PENSIERO. SOGNO, DUNQUE SONO CREATIVO ---- «Teatro del sogno, da Chagall a Fellini». Da Chagall a Fellini, l’immaginazione come conoscenza (di Marco Garzonio).

venerdì 24 dicembre 2010

Da Chagall a Fellini, l’immaginazione come conoscenza

di Marco Garzonio (Corriere della Sera, 24.12.2010)

I sogni aiutano a capire il presente e ad immaginare il futuro. Basta prestare loro attenzione. Ma non tutte le epoche riconoscono il valore dell’irrazionale e il coraggio di affidarsi alla fantasia traducendo l’ispirarsi alle immagini oniriche anche in suggerimenti per l’agire pratico. Si va da momenti in cui progetti vengono annunciati nel nome di un sogno (vedi Kandinsky, padre dell’astrattismo: «Ogni opera nasce dall’inconscio» , o l’ «I have a dream» di Martin Luther King) a tempi nei quali invece individuo e sociale optano per riferimenti sicuri; temendo ciò che è nuovo o diverso, si pongono sulla difensiva, non levano lo sguardo oltre l’uscio di casa preoccupati di preservare le conquiste acquisite. Si può dire che da sempre compagna della vita è un’oscillazione fra due tendenze della psiche: una che punta su utilità e immediatezza e ha bisogno del controllo d’una coscienza che tende a irrigidirsi e finisce per essere un po’ persecutoria; l’altra curiosa del nuovo, fiduciosa in quel che viene, disponibile ad aprirsi anche al mistero e all’ignoto.

La mostra «Teatro del sogno, da Chagall a Fellini» , in corso a Perugia sino al 9 gennaio 2011, ha un significato che va oltre l’evento, in quanto entra nel vivo della dialettica tra propensione raziocinante/conservativa e aspirazione a traguardare gli orizzonti. Rappresenta uno sprone importante a prendere sul serio i sogni. A partire dal titolo, che contrasta i luoghi comuni, secondo cui il sogno sarebbe esperienza privata, elusiva, rifugio di desideri improbabili e di conflitti celati, immagini che si dissolvono al risveglio, lasciando magari l’amaro in bocca o il senso frustrante dell’evanescenza quando si torna a ciò che per la mentalità corrente conta: la concretezza del quotidiano.

Ricorrendo al teatro, invece, si evocano le funzioni della dinamica drammaturgica, si mettono in luce conflitti interni ed esterni al sognatore e il suo ruolo, si aiuta la trasformazione interiore del soggetto, che nel racconto dell’avventura onirica si confessa (con effetti catartici), e di chi ascolta la narrazione del sogno. Col dialogo tra le parti e lo scambio di vissuti la coscienza comune cresce: lo sa chi frequenta teatri. Un’idea del ruolo responsabilizzante del sogno viene da Jung che per primo applicò alla scena onirica la metafora drammaturgica e scrisse nel 1916: «Chi sogna è scena, attore, suggeritore, regista, autore, pubblico e critico insieme» . E il freudiano Fausto Petrella in anni più recenti ha potuto teorizzare la «mente come teatro» .

È un percorso naturale il confronto che la mostra fa con il «secolo sognatore» , quel Novecento che si inaugura con L’interpretazione dei sogni di Freud e sviluppa nel pensiero, nelle arti, nella letteratura l’affrancamento dalla visione positivista e dalla ripetitività dei linguaggi, sovvertendo modelli sperimentati. Le avanguardie che spalancano le porte all’irruzione dei contenuti inconsci e cercano forme originali in cui plasmarli sono poi anche alimento e riflesso di utopie e «grandi sogni» collettivi, fra rivoluzioni, palingenesi sociali, tragedie. Anche le parole non sono più sufficienti a star dietro ai sogni; l’avanguardia stessa diventa «neo» , poi «trans» e altro ancora.

Lo si vede nelle opere esposte a Perugia, che sarebbero potute essere più rappresentative nella scelta, ma che comunque offrono l’esempio di autori che si sono misurati con le atmosfere dell’inconscio: Chagall, innanzi tutto; poi, tra gli altri, Boccioni, Böcklin, Dalí, de Chirico, Ernst, Klee, Klinger, Magritte, Miró, Nomellini, Previati; per arrivare a Chia, Paladino, Schnabel, Salle. Il cinema, a sua volta, offre in mostra i riferimenti a Buñuel, Beckett, Hitchcock e in particolare a Fellini, di cui scorre un corto che monta straordinarie sequenze d’antologia. Per suggestioni più che per argomentazioni esplicite il «Teatro del sogno» segnala un’inversione di rotta nel panorama di un diffuso sentire civile povero, ripiegato, senza slanci.

Da Perugia cioè esce una forte spinta a mollare i particolarismi, a volare alto, rivalutare fantasia e universo immaginale, a un pensare per simboli aggreganti che può riconciliare l’individuo con se stesso e rendere solidali gli uomini tra loro. Conferma di un possibile nuovo corso viene da Pisa, dove, sino al 23 gennaio, si tiene un’altra mostra di grande suggestione: «Joan Mirò. I miti del Mediterraneo» che andrebbe visitata insieme a quella perugina.

Dalle opere e dalle frasi murali che le accompagnano spicca l’idea che Miró ha della ricerca artistica come «opera aperta» . Anche il sogno è così: nessuna interpretazione può esaurirne i significati. E il quadro- le parole di Miró suonano epigrafe per entrambe le realtà- «deve fecondare l’immaginazione».


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